CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 27468 depositata il 27 settembre 2023
Lavoro – Licenziamento inefficace – Riassunzione – Indennità sostitutiva preavviso – Società cessionaria – Inammissibilità
Fatto
1. Con sentenza 18 giugno 2020, la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale accoglimento dell’appello del lavoratore indicato in epigrafe, ha dichiarato inefficace il licenziamento intimatogli dalla società datrice il 28 dicembre 2015, condannandola alla riassunzione del primo entro tre giorni o, in alternativa, a risarcirgli i danni patiti con un’indennità pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e a corrispondergli l’indennità sostitutiva del preavviso, in misura ad essa corrispondente per la sua intera durata (pari a quindici giorni di calendario): entrambe le somme oltre accessori di legge. Nel resto, essa ha rigettato il gravame avverso la sentenza di primo grado, di reiezione delle domande del predetto, non riconoscendogli una data di licenziamento anteriore alla suindicata, né la tutela reintegratoria richiesta, non trattandosi di licenziamento nullo, ma inefficace, cui applicabile la tutela prevista dall’art. 8 legge n. 604/1966.
2. Con atto notificato il 7 settembre 2020, A. s.r.l. semplificata, premessa la propria legittimazione, quale società cessionaria dell’azienda, all’impugnazione della sentenza, ai sensi dell’art. 111, quarto comma c.p.c., ha proposto ricorso per cassazione con un motivo sostanzialmente unico. Essa ha documentato di essere succeduta a titolo particolare nel diritto controverso, quale avente causa, per effetto del trasferimento con atto del 30 marzo 2017, dalla società appellata, datrice del lavoratore e dichiarata fallita dal Tribunale di Ascoli Piceno con sentenza dell’11 novembre 2019 nelle more del giudizio di appello, introdotto con ricorso depositato il 12 settembre 2019 e proseguito fino alla sua definizione, senza interruzione né riassunzione nei confronti del fallimento.
Al ricorso ha resistito il lavoratore con controricorso, mentre il fallimento della società cedente, ritualmente intimato, non ha svolto difese.
3. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
4. Entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
5. La causa, già fissata per una precedente pubblica udienza, è stata rinviata all’odierna per indisponibilità del relatore, con reiterazione della memoria finale da entrambe le parti.
Ragioni della decisione
1. Con unico motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 43, terzo comma l. fall., 301, 304 c.p.c., per la preclusione di ogni attività processuale dopo la dichiarazione di fallimento della società appellata, in difetto di interruzione ope legis del giudizio.
2. Esso è inammissibile.
3. In via di premessa, è indubbia la legittimazione del successore a titolo particolare nel diritto controverso ad impugnare la sentenza resa nei confronti del proprio dante causa, allegando il titolo che gli consenta di sostituire quest’ultimo, essendo a tal fine sufficiente la specifica indicazione dell’atto nell’intestazione dell’impugnazione, qualora il titolo sia di natura pubblica e quindi di contenuto accertabile, incontestato o non idoneamente contestato dalla controparte (Cass. 11 aprile 2017, n. 9250; Cass. 15 maggio 2020, n. 8975): come appunto nel caso di specie, per la documentata successione della ricorrente nel diritto controverso, siccome cessionaria dell’azienda della società appellata, datrice del lavoratore appellante, per atto di trasferimento del 30 marzo 2017 (Cass. 3 maggio 2010, n. 10653; Cass. 26 agosto 2014, n. 18258), specificamente indicato nell’intestazione del ricorso per cassazione ed allegato sub 3 ad esso.
4. È noto che, in caso di apertura del fallimento, l’interruzione del processo sia automatica ai sensi dell’art. 43, terzo comma l. fall., ma che il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione – per evitare gli effetti di estinzione stabiliti dall’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 l. fall. per le domande di credito – decorra dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte. E che tale dichiarazione, qualora non sia già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176, secondo comma c.p.c., debba essere notificata alle parti o al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dall’ufficio giudiziario (Cass. s.u. 7 maggio 2021, n. 12154, in particolare, in motivazione sub p.ti da 35 a 37; Cass. 30 maggio 2023, n. 15227).
Sicché, ferma l’automatica interruzione del processo ai sensi dell’art. 43, terzo comma l. fall., fino alla sua riassunzione o prosecuzione nel termine, a norma dell’art. 305 c.p.c., decorrente dal momento come sopra individuato, il giudizio verte in uno stato di quiescenza di fatto, per la preclusione di ogni ulteriore attività processuale, che, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza (Cass. 15 febbraio 2007, n. 3459; Cass. 2 novembre 2010, n. 22268; Cass. 15 gennaio 2018, n. 790).
Tuttavia, essendo le norme regolanti l’interruzione del processo preordinate alla tutela della parte colpita dal relativo evento, l’unica legittimata al rilievo della nullità è tale parte, che è la sola a potersi dolere dell’irrituale continuazione del processo nonostante il verificarsi della causa interruttiva; e pertanto, la mancata interruzione del processo non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, né eccepita dall’altra parte come motivo di nullità (Cass. 13 novembre 2009, n. 24025; Cass. 19 agosto 2016, n. 17199).
5. Nel caso di specie, la ricorrente, cessionaria dell’azienda dalla società cedente fallita, pur legittimata all’impugnazione della sentenza della Corte d’appello, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso (il risarcimento del danno e il pagamento dell’indennità sostitutiva di preavviso, cui la sua dante causa è stata condannata in favore del lavoratore, già dipendente della predetta, per accertata illegittimità del licenziamento impugnato), non può dedurre la nullità relativa, a tutela della parte colpita dall’evento interruttivo (nel caso di specie: la società cedente fallita intimata, che nell’odierno giudizio non ha svolto attività difensiva), per l’irrituale continuazione del processo nonostante il verificarsi della causa interruttiva.
6. Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza, con distrazione al difensore anticipatario, secondo la sua richiesta e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore anticipatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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