CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 27735 depositata il 2 ottobre 2023
Lavoro – Licenziamento – Lavoro straordinario – Recesso in assenza di regolare comunicazione in forma scritta – Rigetto
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 896/2019, la Corte d’appello di Reggio Calabria definitivamente pronunziando sull’appello proposto da D.P. e M.F., lavoratori di Mult.Ser.Fer. (MFS) , nonché sull’appello proposto da F.S. S.p.A. e sull’appello proposto dal Consorzio Nazionale Cooperative Pluriservizi (CNCP) avverso la sentenza del giudice del lavoro di Reggio Calabria depositata il 15 febbraio 2017 così provvedeva: in parziale accoglimento dell’appello proposto da D.P. riformava la sentenza impugnata solo relativamente al quantum del credito spettante al lavoratore che rideterminava in € 2516, rigettava tutti gli altri appelli regolando di conseguenza il pagamento delle spese processuali.
Per quanto ancora di interesse in questa sede, la Corte di appello ha confermato l’esclusione dell’esistenza di una fattispecie di interposizione illecita di MFS rispetto a T. Spa dedotta in giudizio dai lavoratori ricorrenti relativamente ai periodi di lavoro svolti presso la sede ferroviaria di Crotone e di Lamezia Terme Centrale; sostenendo in particolare che non vi fosse alcuna prova che il personale T. esercitasse un potere direttivo, gerarchico e disciplinare sui dipendenti MFS ed in particolare sui due appellanti.
Quanto al licenziamento del febbraio 2007 impugnato per vizio di forma la Corte d’appello ha accertato che i ricorrenti fossero stati invece licenziati per iscritto con lettere di licenziamento consegnate personalmente dal teste M. ai due ricorrenti quando erano rientrati dalla malattia.
In relazione alla domanda di lavoro straordinario svolta dai lavoratori, la Corte d’appello ha sostenuto che mancasse la prova della pretesa.
Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i lavoratori D.P. e M.F. con otto motivi al quale hanno resistito con controricorso CNCP , T. S.p.A.
I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa ex art 380bis.1., primo comma c.p.c.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso, in relazione al riconoscimento degli straordinari, i ricorrenti hanno dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nonché degli artt. 5 CCNL CONFLUENZA FISE e 22 CCNL Attività Ferroviarie, dell’art. 36 Cost., dell’art. 2099 c.c. e dell’art. 5 comma 5 d.lgs. n.66/2003, ex art. 360, comma 1 n.3 c.p.c., avendo la Corte d’appello errato ad affermare che la prova dello straordinario non continuativo fosse più rigorosa di quella dello straordinario continuativo; ed, alla luce di tale scorretto criterio, sostenuto che non potesse essere accolta la domanda dei lavoratori che avevano indicato con precisione le settimane in cui avevano prestato lavoro straordinario; laddove essendo dall’istruttoria emerso che i ricorrenti avessero lavorato sempre quantomeno per 40 ore settimanali doveva ritenersi provato che avessero lavorato lo stesso numero di ore anche nelle specifiche settimane dedotte in lite; per questa via la Corte d’appello aveva violato il senso e la lettera dell’art. 2697 c.c.; ed aveva perciò illegittimamente negato gli emolumenti spettanti secondo le citate norme contrattuali che fissano in 38 ore l’orario normale settimanale.
Il motivo è inammissibile perché mira, in realtà, al riesame della valutazione del compendio probatorio, in un caso di doppia conforme; laddove la Corte di appello nel richiamare testualmente le dichiarazioni dei testimoni M. e M. aveva già effettuato una valutazione di incompletezza e contraddittorietà della prova rigorosa dello straordinario che conduceva a negare la dimostrazione delle 40 ore di lavoro settimanali necessarie allo scopo ( piuttosto che delle 38 ore di lavoro, solo ordinarie). A tale compiuta valutazione nulla può aggiungere l’ulteriore e superflua considerazione sulla natura più rigorosa della prova dello straordinario non continuativo, come quello indicato dai ricorrenti; sicchè neppure rimane integrata la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della prova, né delle altre norme collettive e giuridiche indicate nel motivo di ricorso.
2.- Con il secondo motivo il ricorso deduce la nullità della sentenza per omessa e/o apparente motivazione in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. mancando la prova rigorosa della comunicazione del recesso atteso che il lavoratore che aveva consegnato le lettere di licenziamento era dipendente di una ditta terza ma non ricordava quando e in che circostanze ciò fosse avvenuto.
3.- Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame di fatti decisivi consistenti nella consegna delle lettere di licenziamento ai lavoratori e perché il rapporto di lavoro del signor M.R. intercorreva con azienda diversa da quella dei ricorrenti.
4. Con il quarto motivo si deduce in relazione all’articolo 360 comma 1 numero 3 c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli articoli 2 e 5 della legge 604/1966, dell’art. 48 CCNL attività ferroviaria, degli artt. 1334, 1335 2697 c.c. nonché dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. avendo la Corte d’appello ritenuto legittimo un recesso in assenza di una sua regolare comunicazione in forma scritta ed avendo inoltre considerato pervenute le comunicazioni di recesso, nonostante queste non siano mai entrate nella sfera di conoscibilità dei lavoratori e non fossero loro nominativamente indirizzate; dovendo comunque affermarsi in ipotesi che se il M. abbia consegnato tali fax ai ricorrenti cio’ era certamente avvenuto fuori dai locali e dall’orario di lavoro e da parte di un soggetto che non era stato a tal fine incaricato da MSF ed era dunque privo di potere rappresentativo e direttivo nei confronti dei ricorrenti.
4.1. I motivi due, tre e quattro, da analizzare unitariamente perché connessi, sono inammissibili perché in buona parte si rivolgono alle statuizioni formulate dal giudice di primo grado e perché mirano al sovvertimento della valutazione in fatto, logicamente effettuata dalla Corte d’appello, circa la consegna delle lettere di licenziamento ai due lavoratori; su cui nella sentenza si afferma chiaramente che secondo la deposizione del teste M. emerge “con certezza” che il medesimo testimone avesse consegnato le lettere di licenziamento MFS ai due lavoratori su cui egli appose personalmente la firma; lettere ricevute quando i due lavoratori erano in malattia e che egli consegnò loro personalmente al rientro dalla malattia.
La Corte d’appello ha rilevato inoltre che i due ricorrenti si erano limitati a eccepire il vizio di forma dei licenziamenti mentre non era in discussione la giustificazione degli stessi.
Mentre neppure sussiste, all’evidenza, nessun vizio di omessa o apparente motivazione in quanto la motivazione esiste ed è anche esauriente; così come non esiste alcun omesso esame di fatti decisivi atteso che in realtà la Corte ha esaminato testualmente il fatto della consegna delle lettere di licenziamento ai lavoratori; mentre non è rilevante ai fini della legittimità della mera consegna dell’atto di licenziamento la questione che M.R. intrattenesse un rapporto di lavoro con azienda diversa da quella dei ricorrenti. Essendo comunque emerso in giudizio che il predetto M.R. fungesse da responsabile per conto di un’altra cooperativa collegata a MFS in quanto anch’essa appaltatrice di servizi attraverso la mediazione di CNCP, essendo M. R. senz’altro l’interfaccia a Crotone tra MSF e T. o Fer. Servizi.
Vale in ogni caso anche a questo proposito l’ulteriore motivo di inammissibilità che deriva dalla ricorrenza di un’ipotesi di doppia conforme in cui si versa nel caso di specie.
5.- Con il quinto motivo viene denunciata ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 115 c.p.c. ed ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. per omesso esame di fatti decisivi (mansioni prevalenti dei ricorrenti, ruolo effettivo dei capisquadra, eterorganizzazione ed eterodirezione da parte di personale T., uso esclusivo di substrato produttivo di proprietà di T.), per avere la Corte d’appello affermato in relazione alla domanda di interposizione illecita che il datore di lavoro dei due ricorrenti fosse MFS e non T. o Ferservizi.
6.- Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 27 in relazione agli artt. 20, 29 e 30 del d.lgs. 276/2003 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. in quanto la sentenza impugnata era gravemente ingiusta e palesava un totale dispregio delle norme in materia di interposizione di manodopera.
Il quinto e il sesto motivo sono inammissibili poiché in realtà rivolti a contestare la valutazione della prova effettuata dalla Corte d’appello in materia di individuazione del datore di lavoro dei ricorrenti.
La Corte d’appello, con valutazione mirata agli specifici rapporti dedotti in giudizio, ha in realtà fatto corretta applicazione dei principi giuridici distintivi sempre affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di appalto illecito o di manodopera (v. da ultimo, Cass. sentenza n. 18455 del 28/06/2023), affermando giustamente che la relativa questione si dovesse risolvere nella corretta individuazione del datore di lavoro, secondo lo schema unanimemente utilizzato dalla giurisprudenza e dalla dottrina in merito alla perfetta sovrapponibilità delle tematiche della interposizione e di quelle della individuazione della subordinazione.
Tanto premesso, la Corte ha poi affermato, con valutazione insindacabile in questa sede di legittimità, che non vi fosse mai stato alcun appalto di mera manodopera perché i lavoratori erano stati diretti da M.R. dipendente per un certo periodo di un’altra cooperativa collegata a MFS; di tale soggetto si avvaleva MSF quale responsabile di fatto; egli era l’interfaccia a Crotone tra MSF e T. o Ferservizi ( mentre nessuno si era spinto a sostenere che fosse un dipendente T. o Ferservizi). M.R. dava le istruzioni diceva cosa fare ai lavoratori, assegnava turni e l’orario di lavoro. Per quanto riguarda il periodo di lavoro svolto a Lamezia Terme era stato poi accertato che i lavoratori venissero diretti da un caposquadra MSF che era punto di riferimento per tutto il territorio della Calabria; inoltre sul posto vi era un caposquadra sempre dipendente di MSF tale Rocca Vincenzo che predisponeva i turni di lavoro e impartiva le direttive. Per quanto attiene invece al “servizio auto al seguito”, la Corte d’appello con propria autonoma discrezionale valutazione delle prove ha affermato che tale servizio fosse minoritario rispetto al carico principale che rimaneva pur sempre quello delle pulizie rispetto al quale andava modulata la decisione della causa.
Anche la conclusione assunta con riferimento allo specifico servizio in questione, corrisponde ad una plausibile conclusione di merito, scevra da vizi logici e giuridici, la quale resiste alle censure formulate in ricorso con le quali parte ricorrente pretende in realtà di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.
La Corte d’appello ha pure correttamente premesso che l’appaltatrice deve potersi determinare autonomamente nella conduzione aziendale, nella direzione del personale, nella scelta delle modalità e dei tempi di lavoro, pur nell’ambito di quanto richiesto dalla committente. E che questi elementi tipizzanti erano emersi dalle deposizioni testimoniali nella fattispecie. Ed ha concluso che nel caso di specie non vi fosse alcuna prova che il personale T. esercitasse un potere direttivo, gerarchico, disciplinare sui dipendenti MFS ed in particolare sui due lavoratori appellanti.
In sintesi, alla stregua delle premesse, nessuna violazione di legge né alcuna omissione di fatti decisivi rilevanti ha commesso la Corte d’appello nella valutazione dell’inesistenza di una fattispecie di illecita interposizione di manodopera.
7.- Con il settimo motivo il ricorso lamenta la condanna alle spese legali in appello, in applicazione dell’articolo 91 c.p.c. e del Dm 55/2014.
Il motivo viene travolto in conseguenza del rigetto del ricorso.
8.- L’ottavo motivo attiene alla riproposizione delle questioni, delle istanze istruttorie e delle domande implicitamente rigettate, assorbite e/o non affrontate dalla Corte d’appello. Non si tratta di un motivo di impugnazione e risulta in realtà collegato allo straordinario ed alla domanda relativa alla retribuzione equivalente alla CLC (carta libera circolazione), assorbita in conseguenza del rigetto della domanda di illecita interposizione.
9.- In conclusione il ricorso deve essere respinto per le ragioni esposte.
10.- Le spese processuali seguono il regime della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo a favore di ciascuno dei controricorrenti CNCP, T. S.p.A. nei cui confronti i ricorrenti vengono condannati in solido; con raddoppio del contributo unificato, ove spettante, nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di lite del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 4000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, in favore di ciascuno dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13 (ndr comma 1 -bis dello stesso articolo 13), se dovuto.
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