CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 37740 depositata il 23 dicembre 2022
Danno non patrimoniale da “perdita di chance” – Responsabilità sanitaria – Condotta negligente del medico curante – Danno biologico permanente
Fatti di causa
1. – Con ricorso affidato a due motivi, L.C., V.A. ed E.V.A., quali eredi di G.A. (deceduto nelle more del giudizio di primo grado), hanno impugnato la sentenza della Corte di appello di Lecce, resa pubblica in data 29 gennaio 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Città che, a sua volta, aveva solo parzialmente accolto la domanda di risarcimento danni proposta originariamente dal loro dante causa, condannando la ASL Lecce al pagamento dell’importo di euro 6.890,00, oltre accessori, a titolo di danno biologico temporaneo (30 giorni di inabilità temporanea assoluta e 60 giorni di inabilità temporanea relativa al 50%) patito dallo stesso G.A..
2. – La Corte territoriale, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), osservava, in base alle risultanze delle consulenze tecniche espletate in corso di giudizio, che: a) in occasione della visita del 6 ottobre 2005, nonostante le condizioni che presentava G.A. (paziente che “aveva subito un importante infarto del miocardio”, con esecuzione di un intervento di angioplastica, e che “lamentava dispnea notturna con ortopnea”), i medici – dopo il controllo della pressione arteriosa e l’esecuzione di un elettrocardiogramma – lo avevano “congedato senza ulteriori approfondimenti” e, segnatamente, senza aver proceduto alla ricerca degli “indici di citosi miocardica per verificare, anche prudenzialmente, se i sintomi” fossero correlabili “ad un’ulteriore condizione acuta del miocardio”; a.1) “tale omissione” aveva “rappresentato sicuramente un comportamento non conforme ad un corretto atteggiamento diagnostico”; b) il paziente, poi, nella notte tra il 10 e l’11 ottobre, subiva “un’ulteriore necrosi cardiaca a livello degli stents precedentemente posizionati, nella zona cardiaca già interessata dalla precedente ischemia”, venendo adesso praticata soltanto la sera dell’11 ottobre una coronarografia e, dunque, essendosi realizzata “un’ulteriore incongruenza di tipo assistenziale dovuta al ritardo nell’effettuazione dell’esame”; c) tale ritardo, tuttavia, secondo quanto evidenziato dai consulenti tecnici d’ufficio, non aveva “in concreto determinato alcun danno a carico del paziente avendo il secondo infarto interessato un’area già necrotica del miocardio”; d) era, quindi, assente la prova “sul nesso eziologico fra il comportamento censurato e il danno da invalidità permanente”; e) “(i)n disparte dalla questione della ammissibilità di domanda di risarcimento da perdita di chance formulata dagli appellanti solo con la comparsa conclusionale depositata in questo grado di giudizio”, la condotta omissiva colposa dei medici aveva cagionato al paziente solo un danno da “invalidità temporanea nella misura accertata e liquidata dal tribunale”; f) erano, invece, “(m)eno puntuali … le osservazioni formulate dai consulenti nominati in questo grado, i quali hanno fatto riferimento esclusivamente ad una perdita di chance avuto riguardo alle possibilità diagnostico terapeutiche non realizzatesi per la condotta omissiva dei medici curanti. Sul punto, quindi, in assenza, peraltro, di appello incidentale della ASL, la sentenza di primo grado merita conferma”.
3. – La ASL Lecce ha resistito con controricorso.
Il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso e ad esse si è anche riportato in sede di discussione orale.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c., «violazione artt. 112 e 132 c.p.c. – nullità della pronuncia per assenza di motivazione – motivazione apparente e perplessa – omessa pronuncia – violazione ed erronea interpretazione dei principi in tema di danno non patrimoniale da “perdita di chance”».
La Corte territoriale avrebbe solo genericamente fatto riferimento alle CC.TT.UU. espletate nei due gradi di giudizio, senza considerare le critiche di illogicità e contraddittorietà (anche per la redazione di due distinte bozze di parere) ad esse mosse dai consulenti di parte nominati da essi attori e disattendendo immotivatamente le richieste di rinnovo delle operazioni peritali.
Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente “ritenuto inammissibile la domanda di perdita di chance formulata nella memoria conclusiva”, ben potendo tale domanda ritenersi ricompresa in quella di risarcimento di “tutti i danni derivanti dalla illecita altrui condotta”, non richiedendosi “una specifica domanda”.
1.1. – Il motivo è infondato.
1.1.1. – Quanto al profilo di censura che lamenta un radicale vizio motivazionale della sentenza impugnata, varrà osservare che la motivazione adottata dalla Corte territoriale (cfr. sintesi al § 2 dei “Fatti di causa”) non incorre in alcuna anomalia motivazionale tale da rendere la motivazione stessa irrispettosa del c.d. “minimo costituzionale”, con conseguente violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. (tra le molte, Cass., S.U., n. 8053/2014), giacché essa si snoda secondo un percorso argomentativo del tutto intelligibile, non palesando insuperabili contraddizioni intrinseche.
Del resto, la sostanza delle doglianze di parte ricorrente dà evidenza di come le stesse siano orientate a far valere, piuttosto, un vizio motivazionale (di insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione) secondo il paradigma di cui alla previgente formulazione (non applicabile ratione temporis al presente giudizio di legittimità) del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (e, in tal senso, depone la stessa giurisprudenza richiamata in ricorso – cfr. pp. 10 e 11 – a sostegno delle ragioni di impugnazione), senza che sia dato rinvenire nelle stesse censure la deduzione, specifica, di un vizio di omesso esame di fatto storico decisivo, alla stregua della disposizione vigente del citato n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (al cui paradigma va ricondotta anche la censura sulla difformità dei risultati di più c.t.u. espletate nel corso dei giudizi di merito: Cass. n. 31511/2022), là dove, peraltro, i fatti storici dedotti dai ricorrenti sono comunque quelli già valutati ed apprezzati dal giudice di appello.
1.1.2. – Quanto all’ulteriore profilo di censura, occorre anzitutto prendere atto che la formulazione della domanda di risarcimento per la perdita di chance soltanto con la comparsa conclusionale nel grado di appello è circostanza pacifica: essa non solo emerge dalla sentenza impugnata, ma è ammessa dagli stessi ricorrenti (e ribadita dalla ASL controricorrente: pp. 8 e 9 del controricorso), i quali, per l’appunto, si dolgono che la Corte territoriale avrebbe dichiarato inammissibile la domanda anzidetta (p. 22 del ricorso).
Invero, il giudice di appello, pur rilevando la questione di ammissibilità della domanda di risarcimento della perdita di chance, ha omesso di pronunciarsi sullo specifico punto, lasciandola “(i)n disparte” rispetto alla delibazione del fondo della stessa pretesa risarcitoria, che ha ritenuto di respingere.
Tuttavia, l’inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., e, correlativamente, dell’obbligo del giudice di secondo grado di non esaminare nel merito tale domanda, è rilevabile d’ufficio in sede di legittimità, poiché costituisce una preclusione all’esercizio della giurisdizione, che può essere verificata nel giudizio di cassazione (Cass. n. 28302/2005; Cass. n. 4318/2016).
Ciò premesso, va ribadito, in linea con l’orientamento prevalente di questa Corte e ormai consolidato (tra le altre: Cass. n. 21245/2012; Cass. n. 13491/2014; Cass. n. 25886/2022), che, in tema di responsabilità sanitaria, la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance (nella specie, di guarigione di un prossimo congiunto, in conseguenza d’una negligente condotta del medico che l’ebbe in cura), deve essere formulata esplicitamente e non può ritenersi implicita nella richiesta generica di condanna del convenuto al risarcimento di “tutti i danni” causati dalla morte della vittima.
E tanto perché la “chance” non è una mera aspettativa di fatto e, quanto in particolare alla chance c.d. non patrimoniale, consiste nella privazione della possibilità di un miglior risultato sperato, incerto ed eventuale (la maggiore durata della vita o la sopportazione di minori sofferenze) conseguente – secondo gli ordinari criteri di derivazione eziologica – alla condotta colposa del sanitario ed integra evento di danno risarcibile (da liquidare in via equitativa) soltanto ove la perduta possibilità sia apprezzabile, seria e consistente. Ne consegue che la domanda risarcitoria del danno per la perdita di chance, anche non patrimoniale, è, per l’oggetto, ontologicamente diversa dalla pretesa di risarcimento del pregiudizio derivante dal mancato raggiungimento del risultato sperato, sostanziandosi, per converso, nella mancata possibilità di realizzarlo, caratterizzata da incertezza (non causale ma) eventistica (Cass. n. 5641/2018; Cass. n. 28993/2019; Cass. n. 25886/2022).
Pertanto, è nuova e, dunque, inammissibile la domanda risarcitoria per perdita di chance avanzata per la prima volta in appello (e a maggior ragione, come nella specie, proposta soltanto con la comparsa conclusionale, che ha la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte: Cass. n. 16152/2010; Cass. n. 20232/2022).
2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c., “omessa pronuncia – violazione art. 112 c.p.c. sotto ulteriore profilo – erronea interpretazione ed applicazione dei principi in tema di responsabilità medica”, nonché prospettato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., “omesso esame e omessa motivazione sui fatti controversi oggetto di discussione tra le parti e decisivi per il giudizio”.
La Corte territoriale, nell’escludere la sussistenza del danno biologico permanente per la preesistente compromissione del miocardio del paziente, avrebbe omesso di pronunciarsi, sulla censura, proposta con l’atto di appello (p. 7 e ss.), che evidenziava come, dalla cartella clinica dell’Ospedale “V.F.” di Lecce, «alla data del 27.09.2005 e da quella del 06.10.2005 … la funzione cardiaca del sig. A. risultava tutto sommato poco compromessa dal primo infarto in quanto la F.E. (FRAZIONE DI EIEZIONE) del cuore era pari al 45%, su 50-55% di coefficiente di normalità, mentre l’insufficienza mitralica (I.M.) era stimata in “LIEVE”; per cui il ritardo nel diagnosticare il reinfarto del 06.10.2005 ha sicuramente determinato un grave danno biologico permanente da ischemia protratta e non trattata di 4 giorni, tant’è che … al ricovero del 10.10.2005 la F.E. è ridotta al 25%, mentre l’insufficienza mitralica viene giudicata “SEVERA”, con il paziente molto grave ed in pericolo di vita … ricoverato in rianimazione per poi essere sottoposto ad esame coronarografico con un ritardo di 21 ore (secondo episodio di errore medico)».
In ogni caso, il giudice di appello non avrebbe esaminato i fatti dedotti con il predetto motivo di gravame, mancando, così, di dare seguito agli approfondimenti istruttori richiesti dagli appellanti e, quindi, respingendo la domanda di danni con motivazione affatto carente e contraddittoria, nonché in violazione dei principi sulla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.
2.1. – Il motivo è fondato per quanto di ragione, ossia quanto alla denuncia di omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti, di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
2.2. – E’, infatti, infondata la censura di omessa pronuncia su motivo di appello, poiché la sentenza della Corte territoriale ha statuito sulla censura con la quale gli appellanti si lamentavano della decisione del primo giudice in punto di negato riconoscimento del danno biologico permanente in occasione del “reinfarto” nella notte tra il 10 e l’11 ottobre 2005, assumendo, in adesione alle conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio (p. 10 della sentenza di appello), esservi stata “mancanza di prova sul nesso eziologico fra il comportamento censurato ed il danno da invalidità permanente” (p. 11 della sentenza di appello; cfr. anche sintesi al § 2 dei “Fatti di causa”).
2.3. – La doglianza di omesso esame di fatto, storico, decisivo e discusso tra le parti è, invece, ammissibile (in quanto dedotta in ricorso – pp. 22/24 – nel rispetto dei principi di specificità e localizzazione ex art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6, c.p.c.) e fondata.
Nel giudizio di appello, gli attuali ricorrenti avevano specificamente censurato la decisione di primo grado in ordine al ritenuto mancato aggravamento del danno, già in essere, al muscolo cardiaco (cfr. p. 6/9 dell’atto di appello).
In particolare, la censura – come sopra riportato al § 2 – faceva leva proprio su talune risultanze della cartella clinica dell’Ospedale “V.F.” di Lecce (cfr. anche p. 12 del controricorso che conferma la deduzione dei ricorrenti sul contenuto della cartella clinica in riferimento, segnatamente, al FE in data 27 settembre 2005; cfr., altresì, riepilogo di tale cartella, anche nelle date successive sino all’11 ottobre 2005, presente nel “verbale di inizio delle operazioni di consulenza tecnica” espletata nel secondo grado, in atti nel fascicolo di parte ricorrente), in forza delle quali sussistevano rilievi strumentali sulla “frazione di eiezione” (FE) e sulla “insufficienza mitralica” (IM) che davano evidenza ad una riduzione dal 45% sino al 25% della FE e di un grado di IM passato da lieve a severo.
Ossia elementi che avrebbero potuto sovvertire il convincimento sulla incidenza del secondo infarto sulla stessa area necrotica interessata dal primo episodio infartuale e senza ulteriore aggravamento della funzionalità del muscolo cardiaco.
I fatti storici anzidetti – posti a sostegno della doglianza volta a conseguire il risarcimento del danno biologico permanente patito dall’A. in ragione di un ritenuto aggravamento a carico della funzionalità cuore determinato dal “reinfarto”, rispetto al quale evento è stata accertata la responsabilità dei sanitari dell’Ospedale “V.F.” (ed essendosi su tale responsabilità, in assenza di ricorso incidentale della ASL Lecce, formatosi il giudicato) – non risultano, però, esser stati oggetto di esame dalla Corte territoriale con la sentenza impugnata in questa sede.
3. – Va, dunque, accolto per quanto di ragione il secondo motivo di ricorso e rigettato il primo motivo.
La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo nei termini di cui in motivazione e rigetta il primo motivo di ricorso;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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