Corte di Cassazione, sentenza n. 6686 depositata il 6 marzo 2023

giudicato interno – principio generale di non contestazione  

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate notificava in data 27 ottobre 2005 ai ricorrenti atto irrogativo di sanzione per € 516.937,88 sulla base di comunicazione INPS per irregolare occupazione di ventun lavoratori. I ricorrenti proponevano ricorso alla CTP e questa accoglieva il ricorso. La CTR, adìta in sede di gravame dall’Agenzia, confermava la sentenza. Proposto ricorso in cassazione, questa Corte con sentenza n. 9005/2013 annullava con rinvio la sentenza della CTR.

2. I ricorrenti riassumevano il giudizio davanti alla CTR che declinava la giurisdizione in favore del giudice ordinario.

3. Gli stessi propongono quindi ricorso in cassazione affidato a tre motivi. L’agenzia si è costituita per resistere all’impugnativa.

4. I contribuenti hanno depositato domanda di definizione agevolata ai sensi dell’art. 6, comma 10, d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, rispetto alla quale l’Agenzia ha espresso il proprio diniego.

5. I medesimi presentano così ricorso avverso il diniego affidato a sua volta a cinque motivi, l’Agenzia si è anche qui costituita per resistere. Questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 7 luglio 2022, ha dichiarato l’ammissibilità del ricorso avverso il diniego.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Mette preliminarmente conto, in ordine di priorità logica, affrontare i motivi spiegati avverso il diniego di definizione agevolata

2. Con il primo ed il secondo dei relativi motivi i ricorrenti denunciano nullità della notifica del provvedimento di diniego.

2.1 L’avvenuta costituzione dei ricorrenti sana, ai sensi dell’art. 156, cod. proc. civ., l’eventuale nullità denunciata, per cui i motivi devono essere respinti.

3. Con il quarto motivo, da affrontarsi prioritariamente seguendo l’ordine logico, si denuncia l’erroneità del provvedimento di diniego, a mezzo del quale si opponeva che la controversia non rientrasse fra quelle oggetto di definizione agevolata. I ricorrenti deducono che la stessa Agenzia avrebbe sostenuto nel corso del giudizio l’appartenenza della controversia alla giurisdizione tributaria, su cui comunque si sarebbe formato il giudicato.

3.1 Il motivo è infondato dal momento che l’art. 6, d.l. n. 119/2018, stabilisce che sono oggetto di definizione agevolata “Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi”. Indipendentemente quindi dall’eventuale giudicato sulla giurisdizione, in sede di verifica delle condizioni per giudicare la regolarità del diniego, appartiene a questa Corte l’esame della natura della controversia oggetto di definizione, sia perché la questione non attiene all’oggetto della controversia principale, ma appunto alla ricorrenza dei presupposti della legislazione condonistica, peraltro di stretta interpretazione; sia perché espressamente la  disposizione  in  parola  fa  riferimento  alle controversie che sono dalla legge attribuite alla giurisdizione tributaria, prescindendo quindi dall’affermazione della stessa in seno alla singola controversia.

In tal senso va ricordato che questa Corte ha già affermato come la formazione di un giudicato interno sulla giurisdizione del giudice ordinario, in difetto di eccezione di parte o rilievo d’ufficio, non si estende al merito della lite e dunque non impedisce al medesimo di qualificare diversamente il rapporto e di sottoporlo alla relativa disciplina (Cass. 07/09/2020, n.18580).

Nella specie, essendo pacifico che la controversia attiene a sanzioni per lavoro irregolare, del tutto estranee al disposto di cui all’art. 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, appare evidente che la controversia non era definibile ai sensi della disposizione in oggetto.

Sul punto deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto

Il giudicato interno sulla giurisdizione del giudice tributario (in luogo di quello ordinario), in difetto di eccezione di parte o rilievo d’ufficio, non si estende al merito della lite e dunque non impedisce al medesimo di qualificare diversamente il rapporto e di sottoporlo alla relativa disciplina anche condonistica, in particolare ai fini della valutazione dei presupposti di legge per l’applicazione della definizione agevolata e per la verifica di fondatezza del relativo diniego.

4. L’infondatezza del motivo che precede determina l’assorbimento degli altri. Deve dunque procedersi all’esame nel merito del ricorso.

5. Col primo motivo del ricorso in cassazione il contribuente denuncia la sentenza pronunciata dalla CTR in sede di rinvio per aver declinato la giurisdizione, quando sulla stessa era ormai intervenuto il giudicato interno.

5.1 Il motivo è fondato.

Va premesso che per la giurisprudenza di questa Corte, “Vi è un preciso obbligo di legge di decidere prima (“gradatamente”) le questioni pregiudiziali (logiche o tecniche) e poi (“quindi”) il merito. Pertanto, non si può affermare che, in mancanza di una specifica statuizione, la questione di giurisdizione (presente in ogni causa) non sia stata affrontata. Se il giudice ha deciso il merito, in forza del combinato disposto dell’art. 276 c.p.c., comma 2, e art. 37

c.p.c. (che impone la verifica di ufficio della potestas iudicandi), si deve ritenere che abbia già deciso, in senso positivo, la questione pregiudiziale della giurisdizione. La regola della decisione per gradi appartiene alla natura stessa del processo e la si ritrova espressamente sancita anche nella disciplina del processo penale. L’art. 527 c.p.p., comma 1, dispone infatti, analogamente all’art. 276 c.p.c., che il collegio, sotto la direzione del presidente, decide separatamente le questioni preliminari e ogni altra questione relativa al processo; soltanto se l’esame del merito non risulti precluso sono poste in decisione le questioni di fatto e di diritto concernenti l’imputazione.

Anche l’art. 279 c.p.c., comma 2, e art. 187 c.p.c., commi 2 e 3, indicano quale sia la progressione naturale che il giudice deve seguire nel decidere le questioni, nella quale quelle di merito vengono sempre dopo quelle attinenti alla giurisdizione. In definitiva, la decisione sul merito implica la decisione sulla giurisdizione e, quindi, se le parti non impugnano la sentenza o la impugnano ma non eccepiscono il difetto di giurisdizione, pongono in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire tale difetto e, quindi, si verifica il fenomeno della acquiescenza per incompatibilità con le conseguenti preclusioni sancite dall’art.329 c.p.c., comma 2, e dall’art. 324 c.p.c. Naturalmente, queste considerazioni valgono anche in relazione al processo tributario, al quale si applicano le norme del codice di procedura civile, per quanto non previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992 (art. 1, comma 2, e art. 49): “Anche al processo tributario – caratterizzato, al pari di quello civile, dalla necessità della difesa tecnica e da un sistema di preclusioni, nonché dal rinvio alle norme del codice di procedura civile, in quanto compatibili – è applicabile il principio generale di non contestazione che informa il sistema processuale civile (con il relativo corollario del dovere del giudice di ritenere non abbisognevoli di prova i fatti non espressamente contestati), il quale trova fondamento non solo negli artt. 167 e 416 cod. proc. civ., ma anche nel carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena, nella generale organizzazione per preclusioni successive, che caratterizza in misura maggiore o minore ogni sistema processuale, nel dovere di lealtà e di probità previsto dall’art. 88 cod. proc. civ., il quale impone alle parti di collaborare fin dall’inizio a circoscrivere la materia effettivamente controversa, e nel generale principio di economia che deve sempre informare il processo, soprattutto alla luce del novellato art. 111 Cost. Né assumono alcun rilievo, in contrario, le peculiarità del processo tributario, quali il carattere eminentemente documentale dell’istruttoria e l’inapplicabilità della disciplina dell’equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo” (Cass. 1540/2007). Ne deriva che in ogni processo vanno individuati “due distinti e non confondibili oggetti del giudizio, l’uno (processuale) concernente la sussistenza o meno del potere-dovere del giudice di risolvere il merito della causa e l’altro (sostanziale) relativo alla fondatezza o no della domanda” (Cass. 2002/ 6737). Stante l’obbligo del giudice di accertare l’esistenza della propria giurisdizione prima di passare all’esame del merito o di altra questione ad essa successiva, può legittimamente presumersi che ogni statuizione al riguardo contenga implicitamente quella sull’antecedente logico da cui è condizionata e, cioè, sull’esistenza della giurisdizione, in difetto della quale non avrebbe potuto essere adottata…l’accertamento della giurisdizione non rappresenta un mero passaggio interno della statuizione di merito, ma costituisce un capo autonomo che è pienamente capace di passare in giudicato anche nel caso in cui il giudice si sia pronunciato solo implicitamente sul punto” (Cass. Sez. U. 09/10/2008, n. 24883).

Conseguentemente “a) fino a quando la causa non sia decisa nel merito in primo grado, il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti, anche dopo la scadenza dei termini previsti dall’art. 38 c.p.c. (anche se sarebbe opportuno un intervento legislativo di coordinamento); b) entro lo stesso termine le parti possono chiedere il regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 c.p.c.; c) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; d) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si è formato il giudicato implicito o esplicito; e) il giudice può rilevare anche di ufficio il difetto di giurisdizione, fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato implicito o esplicito” (ancora Cass. 24883/2008).

Facendo applicazione di tale principio alla presente controversia va rilevato come in primo grado la CTP avesse deciso nel merito, accogliendo il ricorso e disattendendo espressamente la questione di giurisdizione sollevata dagli stessi ricorrenti; in secondo grado del pari la CTR decise nel merito confermando la sentenza di primo grado, omettendo una pronuncia esplicita sulla questione di giurisdizione proposta dagli appellati odierni ricorrenti in sede di appello incidentale; questa Corte poi rinviò la causa ad altra sezione della CTR senza che venisse dibattuta la questione di giurisdizione da alcuna delle parti nel giudizio di cassazione.

Deve dunque affermarsi che sulla questione di giurisdizione si è formato il giudicato interno, per cui era sottratto alla CTR in sede di rinvio il potere di declinare la giurisdizione, con la conseguenza che la sentenza dev’essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria che dovrà decidere in conformità ai principi espressi dalla sentenza Cass. 9005/2013, a mezzo della quale questa Corte si è già pronunciata in ordine alla necessità del rinvio, provvedendo altresì alle spese del presente giudizio.

6. L’accoglimento del motivo che precede determina l’assorbimento degli altri proposti dai ricorrenti.

P. Q. M.

La Corte respinge il ricorso avverso il diniego della definizione agevolata della controversia.

Accoglie il primo motivo del ricorso proposto da Z. s.r.l. e F. B., assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, che provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.