CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 2821 depositata il 30 gennaio 2024
Lavoro – Licenziamento disciplinare per giusta causa – Lettera di contestazione disciplinare – Emissione di fraudolenta fattura di vendita – Utilizzo di telepass aziendale per attività extralavorative – Difformità nelle annotazioni di giornate di trasferta/presenza al lavoro – Eccezione di tardività della contestazione disciplinare – Rigetto
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Venezia ha accolto il reclamo principale proposto dalla C.S.M. s.p.a. contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 512/2019, che aveva accolto l’opposizione del lavoratore C. all’ordinanza dello stesso Tribunale resa nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, ed aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa intimato al lavoratore con missiva datata 11.3.2016; ha, quindi, in riforma di detta sentenza, rigettato le domande del C. accolte nel giudizio di opposizione; ha, altresì, rigettato il reclamo incidentale proposto dal lavoratore contro la medesima sentenza di primo grado.
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che, con una prima lettera di contestazione disciplinare del 26.2.2016 (della quale comunque riportava l’intero testo), C.S.M. s.p.a. aveva in sintesi contestato al C., impiegato livello B2 CCNL Chimici, assunto in data 7.3.1988 con mansioni di tecnico di riferimento per i sopralluoghi nei cantieri di Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, l’omessa verifica dell’impiego di uno specifico fissativo da parte del cliente E. s.a.s. di F.D., e di avere chiesto nel febbraio 2016 al cliente medesimo di emettere una fraudolenta fattura di vendita in data 31.5.2015 per 8 latte di fissativo Atomo mai utilizzato dalla ditta F.D., esecutrice dei lavori di dipintura presso il Condominio Ortles, al fine del rilascio della polizza assicurativa del prodotto applicato. Premetteva, ancora, che con una seconda lettera di contestazione disciplinare del 29.2.2016 (di cui parimenti riportava il testo), la datrice di lavoro aveva contestato al dipendente l’utilizzo in alcune giornate di telepass aziendale per attività extralavorative, nonché varie difformità nelle annotazioni di giornate di trasferta/presenza al lavoro.
2.1. Riportato ampiamente, ancora, il pregresso svolgimento della vicenda processuale, dando conto delle posizioni assuntevi dalle parti e delle difformi decisioni assunte dai giudici nella doppia fase del primo grado, e dopo aver riferito i motivi del reclamo principale della società e di quelli del reclamo incidentale del lavoratore, la Corte, all’esito di esteso riesame delle risultanze processuali, riteneva che il fatto materiale oggetto della prima contestazione risultava provato nei suoi elementi costitutivi. Concludeva a riguardo che si trattava di condotta che aveva leso irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti, in quanto idonea ad esporre la società al pericolo di rispondere di eventuali danni non coperti dall’assicurazione stante la difformità di prodotto utilizzato;
e che si trattava, inoltre, di condotta gravemente censurabile sul piano soggettivo del dipendente, che aveva consapevolmente acquisito e trasmesso al proprio datore di lavoro documentazione relativa all’utilizzo fittizio di un materiale al fine di attivare la polizza assicurativa sui prodotti forniti dal C.S.M.. Quanto alla seconda contestazione disciplinare (del 29.2.2016), la Corte territoriale, ritenendo che i relativi fatti dimostrati nei termini addebitati fossero, come tali, riconducibili all’ipotesi prevista dall’art. 51 del CCNL applicato (che prevedeva sanzioni conservative), concludeva che tale comportamento irregolare, seppure di per sé inidoneo a giustificare la sanzione espulsiva, ben poteva concorrere con il comportamento oggetto della prima contestazione nella valutazione della permanenza o meno del vincolo fiduciario.
2.2. Conclusivamente riteneva la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato dalla società e che, in accoglimento del reclamo principale del C.S.M., dovessero essere rigettate le domande del C. accolte nel giudizio di opposizione, con conseguente rigetto del reclamo di quest’ultimo sotto ogni profilo.
3. Avverso tale decisione, C.F. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
4. L’intimata ha resistito con controricorso e successiva memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1, 132 n. 4), c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, c. 1 n. 4) c.p.c. Secondo lo stesso, la motivazione di rigetto dell’impugnazione del licenziamento comminato al ricorrente ricalca, in modo quasi pedissequo, le stesse argomentazioni fatte valere dal Giudice della fase sommaria nell’ordinanza n. 5174/2017, come riprovato dalla lettura delle pagine 4-5-6 di tale provvedimento del Tribunale con le pagine 17 e 19 del provvedimento gravato in questa sede. Per il ricorrente, tale motivazione rendeva nulla la sentenza impugnata.
2. Con un secondo motivo denuncia la “violazione dell’art. 2106 c.c., dell’art. 7 legge n. 300/1970, dell’art. 112 c.p.c., nonché dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.1 n. 3) c.p.c.”. Tra l’altro, assume il ricorrente, dal punto di vista processuale, che l’eccezione di tardività della contestazione è stata riproposta nel giudizio di opposizione davanti al Tribunale, sulla quale eccezione la sentenza del Tribunale non si era pronunciata perché ritenuta assorbita, ma “è stata ripresentata davanti alla Corte d’appello, sia pure con il richiamo alle eccezioni di I grado, con ciò facendone oggetto di domanda ai sensi dell’art. 112 c.p.c. … Tale eccezione viene rigettata considerando tempestiva la contestazione in quanto emersa solo a febbraio 2016, ma così non è”, secondo il ricorrente.
3. Con un terzo motivo denuncia “violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 18 legge n. 300/1970, nonché dell’art. 1 c. 48 ss. legge n. 92/2012, dell’art. 116 c.p.c., nonché dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3) c.p.c.”. Individuata e riportata la parte censurata (alle pagg. 15-16-17) dell’impugnata “sentenza della Corte d’appello di Venezia laddove motiva il rigetto dell’impugnazione del C.”, il ricorrente assume che “Contrariamente a quanto sostenuto in sentenza impugnata, infatti, l’istruttoria svolta, e soprattutto l’esame dei testi, non hanno provato la fondatezza dei fatti contestati al sig. C.”.
4. Con un quarto motivo denuncia nuovamente “violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 18 legge n. 300/1970, nonché dell’art. 1 c. 48 legge n. 92/2012, dell’art. 116 c.p.c. nonché dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3) c.p.c.”. In tale censura “Il paragrafo 6.4. della sentenza impugnata (pag. 17 sentenza impugnata), così come trascritto al superiore motivo, viene considerato errato ed impugnato anche sulla scorta di altre considerazioni”.
5. Con un quinto motivo denuncia “violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 18 legge n. 300/1970, nonché dell’art. 1 c. 48 legge n. 92/2012, dell’art. 116 c.p.c., nonché dell’art. 132 c.p.c., nonché degli artt. 50 e 51 c.c.n.l. Chimici (all. 1 fasc. I grado – fase sommaria) in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3) c.p.c.”. Richiamate altre parti dell’impugnata sentenza, il ricorrente deduce che “è stato allegato e non è stato oggetto di specifica contestazione la circostanza per cui i fatti che hanno condotto alle contestazioni disciplinari mosse al C. sono coevi ad uno screzio avuto dallo stesso ricorrente con il sig. S.F., in un cantiere nella zona di competenza del ricorrente”. Secondo il ricorrente, risulta provato, quindi, il carattere ritorsivo del licenziamento comminato al C., contrariamente a quanto si legge in sentenza che parla invece di violazione della fiducia da parte del lavoratore. Inoltre, al contrario di quanto si legge in sentenza, le prove orali e documentali attestano l’assoluta buona fede e correttezza dell’operato del C.. Infine, per il ricorrente, a fronte della insussistenza dei fatti indicati nella contestazione del 26.2.2016, non si poteva parlare, contrariamente a quanto sostiene la Corte territoriale a pagg. 17-18-19 della gravata sentenza, di concorso tra questi e quelli oggetto della contestazione del 29.2.2016; conseguentemente, atteso che i primi non sono stati commessi ed i secondi, a tenore di legge, non possono dare luogo a sanzioni espulsive, derivava la necessità di riformare la sentenza impugnata.
6. Con il sesto motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 18 L. 300/1970 degli artt. 115-116 cpc, dell’art. 51 ccnl in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3) c.p.c.”. Secondo il ricorrente, “Accertata l’insussistenza del fatto contestato con lettera 26.2.2016, nel rispetto” dell’art. 18 L. n. 300/1970, “il Tribunale avrebbe dovuto condannare il datore di lavoro a reintegrare C. nel posto di lavoro e non solo a corrispondere un’indennità a titolo risarcitorio”. Per lo stesso, “Sin dalla fase sommaria, vi era la prova dell’insussistenza del fatto contestato nella sua materialità e comunque della sua assoluta irrilevanza disciplinare”, e la “reintegrazione sul posto di lavoro è stata richiesta con appello incidentale alla sentenza n. 512/2019 del Tribunale di Venezia”. Assume, allora, che: “Sul punto nulla ha statuito la Corte territoriale, avendo rigettato l’impugnazione”.
3. Il primo motivo è infondato.
4. Il ricorrente in tale censura adombra che la Corte di secondo grado avrebbe reso una motivazione meramente per relationem, non già rispetto alla sentenza di primo grado, bensì per aver ricalcato quasi pedissequamente le argomentazioni dell’ordinanza resa nella fase sommaria del procedimento, la quale aveva appunto inizialmente respinto il ricorso del lavoratore.
4.1. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata per relationem alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame. Dunque, se è vero che la sentenza d’appello può essere motivata per relationem alla sentenza di primo grado, occorre pur sempre che il giudice del gravame dia conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre deve essere cassata la decisione di mera adesione alla decisione di primo grado senza che emerga dalla sentenza di appello che a tale risultato il giudice sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (così, tra le altre, Cass., sez. lav., 24.6.2020, n. 12486).
4.2. Nel caso in esame, come già risulta dal riassunto proposto in narrativa del contenuto dell’impugnata sentenza, non è assolutamente riscontrabile una mera adesione della Corte territoriale alle ragioni in base alle quali il giudice della fase sommaria aveva respinto il ricorso del lavoratore, e la stessa, per contro, ha invece dato ampiamente conto delle argomentazioni delle parti, dei rispettivi motivi di reclamo e del perché abbia accolto quelli della reclamante principale, all’esito di un esteso e capillare riesame delle risultanze processuali (cfr. in particolare pagg. 14-19 della sua sentenza).
5. Il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili.
6. Invero, essi sono accomunati dalla denunciata violazione di volta in volta di un’eterogenea congerie di molteplici norme di diritto sostanziale e processuali, pur se il mezzo azionato è sempre quello di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., e non quello di cui all’art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c.
7. Più nello specifico, nel secondo motivo, tra l’altro, si deduce anche la violazione dell’art. 112 c.p.c., sembrando, perciò, volersi far valere un error in procedendo, consistente in un’omessa pronuncia sull’eccezione di tardività della contestazione disciplinare, salvo ammettere subito, come si è visto, che tale eccezione era stata in realtà rigettata, ma criticando la relativa valutazione.
E tale critica di merito, com’è agevolmente riscontrabile (cfr. pagg. 15-17 del ricorso), è esclusivamente basata su un diverso apprezzamento delle risultanze processuali proposto dal ricorrente.
8. Non diverse considerazioni valgono per il terzo motivo di ricorso, in cui apertamente è sostenuto l’assunto che “l’istruttoria, e soprattutto l’esame dei testi, non hanno provato la fondatezza dei fatti contestati al sig. C.”.
Il ricorrente, infatti, vi contrappone una propria completa rivisitazione delle deposizioni testimoniali (cfr. pagg. 20-26 del ricorso) all’apprezzamento operato dalla Corte di merito.
9. E lo stesso è a dirsi per il quarto motivo che parimenti s’incentra essenzialmente su ulteriore rilettura di altre testimonianze e documenti (cfr. pagg. 26-29), criticando la sentenza di secondo grado, ad es., perché la Corte non avrebbe “considerato, poi, che se il lavoratore avesse voluto “frodare” in qualche modo l’azienda (come non si sa, visto che la polizza è stata attivata), dopo quasi vent’anni di lavoro, avrebbe concordato con E. l’emissione di una fattura coeva ai lavori eseguiti;
certamente non un documento fiscale risalente a molto prima dell’esecuzione dei lavori”.
10. Analogamente, tutte le argomentazioni sviluppate nel quinto motivo fanno riferimento ad una diversa valutazione di una serie di deduzioni, documenti e testimonianze (cfr. pagg. 30-35 del ricorso).
11. E’ infine inammissibile pure il sesto ed ultimo motivo.
12. In prima battuta in tale censura si fa valere un vizio della sentenza di primo grado circa la tutela solo indennitaria accordata al lavoratore.
In ogni caso, pare che il ricorrente profili un’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. dei giudici di secondo grado quando assume che la Corte territoriale “nulla ha statuito” sulla tutela reintegratoria che egli aveva di nuovo fatto valere con il proprio reclamo incidentale, salvo subito dopo ammettere contraddittoriamente “avendo rigettato l’impugnazione”; riconoscendo così che v’era stata espressa pronuncia (di rigetto appunto) sul suo reclamo incidentale.
E in effetti la Corte di merito, non solo ha esplicitato nel dispositivo della sua sentenza il rigetto del “reclamo incidentale”, ma ha spiegato in motivazione che, siccome l’accoglimento del reclamo principale della società, comportava il rigetto delle “domande del C. accolte nel giudizio di opposizione”, a tanto conseguiva che doveva essere “respinto il reclamo incidentale del C. sotto ogni profilo (domanda di condanna alla reintegra/al pagamento dell’indennità di preavviso)” (cfr. pag. 19 della sua sentenza).
13. Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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