CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 8331 depositata il 27 marzo 2024
Lavoro – Dirigente – Indennità supplementare e indennità incentivante – Inammissibilità
Rilevato che
1. G.R. convenne in giudizio l’E.A.V. s.r.l. deducendo di aver lavorato alle sue dipendenze dal 16.2.2004 e dal 21.9.2009 in posizione apicale quale dirigente dell’area materiale rotabile esercizio e incarichi speciali. A tal fine espose che, essendo stato distaccato presso la A. e B.N. s.r.l. quale amministratore unico e direttore centrale, la retribuzione di cui godeva, fissa e variabile, era comprensiva di quanto spettante anche per tali incarichi. Dedusse che, successivamente, dal 2006, gli furono consegnate due buste paga, una da E. s.r.l. e una da M.N., i cui importi coprivano complessivamente la somma totale già erogata e che, nel 2009, la somma a carico di E. s.r.l. fu aumentata e tale rimase quando, nel 2010, gli fu conferito da E. un ulteriore incarico. Rammentò che nel 2011, poi, l’incarico presso M.N. gli fu revocato e la retribuzione fu decurtata dell’importo a carico di tale società (€ 60.000,00 annui). Nel dolersi di tale decurtazione, mantenuta fino alla risoluzione del rapporto il 14.2.2013, dedusse di aver percepito una retribuzione inferiore rispetto a quella di altri dirigenti nonostante la molteplicità degli incarichi assegnatigli da E. s.r.l..
Chiese perciò la condanna della società al pagamento della somma complessiva di € 344.419,12 per differenze retributive, Tfr, ferie non godute, indennità di mancato preavviso e indennità supplementare e per indennità incentivante ex art. 12 del c.c.n.l. di settore.
2. E. s.r.l. si costituì per resistere al ricorso eccependo comunque la parziale prescrizione del credito e contestando i conteggi depositati.
3. Il Tribunale di Napoli rigettò la domanda e compensò le spese.
4. La Corte di appello di Napoli, investita del gravame da parte del R., lo ha rigettato ed ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di appello.
4.1. La Corte territoriale ha ritenuto che non fosse dirimente l’acquisizione della nota n. 147 del 29.1.2004 che aveva preceduto l’assunzione del R. in quanto anche a prescindere dalla sua tardiva produzione essa comunque andava inserita nel contesto delle note successive che avevano regolato nel tempo il rapporto e non ne era stata chiarita la rilevanza in quel contesto.
4.2. Ha condiviso la ricostruzione del Tribunale, aderente alle risultanze processuali, e le ha ricostruite ponendo in rilievo che dalla documentazione si evinceva in maniera chiara che l’incarico di amministratore unico della società partecipata era distinto da quello dirigenziale affidatogli in EAV. Ha evidenziato che il compenso a tale titolo erogato concorreva a determinare la retribuzione lorda percepita complessivamente e che, dal 2006, era stato erogato separatamente senza che a tal proposito fosse mai stato sollevato alcun rilievo nel corso del rapporto.
4.3. Quanto alla retribuzione variabile incentivante prevista dal c.c.n.l. (MBO – Managment By Objectives), la Corte di merito ha accertato che la stessa viene erogata in dipendenza dalla realizzazione degli obiettivi di gestione specificatamente programmati e assegnati al dirigente per incentivare l’apporto alla realizzazione dei fini istituzionali.
Ha quindi accertato che dal 2010 in poi, a cagione della crisi del settore, nessun obiettivo era stato più assegnato.
Ha evidenziato che tale inottemperanza avrebbe potuto essere fonte di un risarcimento del danno ove il lavoratore se ne fosse doluto, e che nello specifico non lo aveva fatto.
Ha accertato poi che dalla documentazione allegata al fascicolo di primo grado non si poteva evincere che, quanto meno per il 2010, fossero stati assegnati degli obiettivi ed ha sottolineato che gli obiettivi per essere tali dovevano essere chiari, misurabili, raggiungibili e sfidanti oltre che temporalmente definiti. Inoltre, ha precisato che gli stessi avrebbero dovuto essere discussi col dirigente, verificati a metà percorso e valutati con un colloquio finale e che, invece, nulla di tutto questo si era verificato nel caso in esame.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G.R. affidato a due motivi ai quali ha resistito con controricorso E. s.r.l. che ha depositato memoria illustrativa.
Ritenuto che
6. Con un primo articolato motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., è denunciata la nullità del procedimento e della sentenza per essere stata omessa da parte della cancelleria della Corte di appello l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado, con violazione dell’art. 347 ultimo comma c.p.c., dell’art. 126 disp. att. c.p.c. dell’art. 132 c.p.c. del d.m. 21.2.2011 n. 44 e ss.mm.ii. della circolare del Ministero della Giustizia sugli adempimenti di cancelleria relativi al Processo telematico.
7. Il motivo è inammissibile.
7.1. Sotto un primo profilo – quello della mancata acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado da parte del giudice di appello – va rilevato che si tratta di omissione che di per sé non comporta, in astratto, la nullità del procedimento e che può rilevare solo in termini di vizio di motivazione che nella specie non viene neppure denunciato (cfr. Cass. 30/03/2022 n. 10164 e 17/04/2023 n. 10202). La denuncia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio, con la conseguenza che l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorché nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (cfr. Cass. 07/02/2011 n. 3024). La parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell’attività del giudice lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicché l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata (cfr. Cass n. 19759 del 2017 e anche Cass. 08/10/2021 n. 27419).
7.2. Nella specie si deduce che nelle note illustrative depositate in primo grado per via telematica sarebbe stata precisata la rilevanza del danno costituito, secondo parte ricorrente, dalla perdita di parte della retribuzione pattuita. Si tratterebbe di conseguenza, diretta ed immediata dell’inadempimento contrattuale dell’E. che giustificava la richiesta di riconoscimento della retribuzione variabile incentivante MBO da calcolarsi nella percentuale del 15% del RAL di ciascun anno di riferimento.
7.3. Ritiene tuttavia il Collegio che tale lettura degli atti si contrappone a quella altrettanto coerente e plausibile della Corte di merito che, con una articolata motivazione, chiarisce quali sono le componenti della retribuzione e come si individuano gli incentivi. Anche perciò a voler riqualificare la censura in termini di omesso esame di fatto decisivo, per il cui tramite potrebbe rilevare la mancata acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado, i fatti denunciati risultano esaminati.
7.4. Sotto altro profilo poi nel primo motivo è denunciato l’omesso rilievo della costituzione della parte avvenuta telematicamente e l’abuso della Cancelleria addetta alla V unità per aver rifiutato la costituzione di parte appellata.
L’omesso rilievo della sussistenza di un errore fatale.
L’omesso rilievo dell’inesistenza e in subordine nullità della costituzione di parte appellata. La violazione dell’art. 347 ult. comma c.p.c., dell’art. 126 disp. att. c.p.c. dell’art. 132 c.p.c. del d.m. 21.2.2011 n. 44 e ss.mm.ii. della circolare del Ministero della Giustizia sugli adempimenti di cancelleria relativi al Processo telematico. La violazione dell’art. 437 c.p.c., dell’art. 183 c.p.c., dell’art. 165 comma 1 e 166 c.p.c. applicabili anche in appello ex art. 347 c.p.c., 145, c.p.c. e 436 c.p.c.. Deduce che la costituzione dell’E., avvenuta presso il Tribunale di Napoli invece che davanti alla Corte di appello, era stata irritualmente acquisita dalla cancelleria, ed avrebbe perciò viziato irrimediabilmente il procedimento.
7.5. Ancora una volta la censura è inammissibile perché del tutto generica e non autosufficiente e comunque irrilevante atteso che la tardività della costituzione, nello specifico, non aveva comunque comportato alcuna decadenza posto che la parte appellata si era limitata a replicare alle censure mosse con il gravame senza formulare ulteriori istanze e senza che perciò siano maturate decadenze.
8. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 115 e 116, 2697 c.c. degli artt. 20 e 12 del c.c.n.l. dirigenti imprese di servizi di pubblica utilità del 22.12.2009. del c.c.n.l. dirigenti aziende industriali FENIT. Degli artt. 1359, 1218, 2103 c.c.. dell’art. 13 comma I quater T.U approvato con il d.P.R. del 2002 come introdotto dall’art. 1 comma 17 della legge 24.12.2012 n. 228. Dell’art.? c.p.c. e del d.m. 140 del 2012. Dell’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. e ci si duole della mancata acquisizione della nota n. 147 del 2004 denunciando sia un travisamento della prova che un omesso esame di fatto decisivo.
9. Ritiene il Collegio che anche questo motivo debba essere dichiarato inammissibile. Premesso infatti che non è ravvisabile l’omesso esame denunciato atteso che la Corte di appello ha preso in esame la nota 147 del 2004 e ne ha ritenuto irrilevante l’acquisizione chiarendone le ragioni la censura finisce per chiedere a questa Corte un diverso apprezzamento del contenuto della stessa che non è consentito essendo riservato al giudice di merito l’apprezzamento delle prove acquisite.
10. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
11. Non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 96 c.p.c. chiesta dalla controricorrente. La responsabilità ex art. 96, comma 3, c. p. c., presuppone, sotto il profilo soggettivo, una concreta presenza di malafede o colpa grave della parte soccombente, perché agire in giudizio per far valere una pretesa non è di per sé condotta rimproverabile, anche se questa si riveli infondata, dovendosi attribuire a tale figura carattere eccezionale e/o residuale, al pari del correlato istituto dell’abuso del processo, giacché una sua interpretazione lata o addirittura automaticamente aggiunta alla sconfitta processuale verrebbe a contrastare con i principi dell’art.24 Cost. (cfr. Cass. 12/07/2023 n. 19948).
12. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in € 8.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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