CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, ordinanza n. 39636 depositata il 4 settembre 2018
Reati tributari – Indebita compensazione di crediti inesistenti oltre la soglia penalmente rilevante – Responsabilità penale dell’amministratore pro-tempore – Trasmissione telematica dei modelli F24 da parte del consulente fiscale – Irrilevanza
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Messina con sentenza 3.07.2017, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto 27.11.2015, appellata dalla B. e dal PG, dichiarava l’imputata colpevole del reato ascrittole e, con il concorso di attenuanti generiche, la condannava alla pena di 7 mesi di reclusione, irrogandole le pene accessorie di legge, in quanto ritenuta colpevole del reato di indebita compensazione ex art. 10 quater, d. Igs. n. 74 del 2000, quale amministratore per gli anni di imposta 2009 e 2010 della s.r.l. A. Edilizia, utilizzando crediti non spettanti o inesistenti superiori alla soglia di punibilità.
2. Con il ricorso per cassazione, articolato con un unico motivo, il difensore iscritto all’Albo speciale ex art. 613 c.p.p., deduce il vizio di mancanza della motivazione nella parte in cui la sentenza ha ritenuto la responsabilità soggettiva dell’imputata nonostante la presunta condotta illecita fosse stata posta in essere dal precedente amministratore e per aver ritenuto l’insussistenza della buona fede soggettiva dell’imputata rispetto alla condotta contestata.
Si duole la difesa della ricorrente in quanto la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che l’imputata, diligentemente, pur avendo verificato nella documentazione contabile l’esistenza di un credito di imposta utilizzabile nell’anno in corso, non aveva modo di accertare i presupposti eventualmente illeciti sulla cui base tale agevolazione era stata concessa ed accordata in costanza di gestione del precedente amministratore; sul punto la Corte, pur investita di doglianza specifica nel motivo di appello, non avrebbe speso alcuna argomentazione, limitandosi genericamente a ritenere responsabile la ricorrente quale amministratore; quanto al secondo profilo di doglianza, i giudici di appello non avrebbero considerato che la tenuta della contabilità era affidata ad un commercialista che operava con ampia delega sul conto della società, consentendogli di effettuare tutte le compensazioni che riteneva ammissibili e ciò anche senza il coinvolgimento degli amministratori; anche sotto tale secondo profilo, la sentenza avrebbe omesso di rispondere alle doglianze dell’atto di appello circa la consapevolezza da parte dell’imputata delle irregolarità delle compensazioni IVA di cui aveva goduto la società.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
4. Ed infatti, i giudici di appello nel sovvertire l’esito assolutorio del primo giudizio, fondato, seppur con formula dubitativa, solo sull’assunto che era stato il consulente fiscale ad occuparsi degli adempimenti fiscali provvedendo alla trasmissione dei mod. F24, hanno correttamente evidenziato come la circostanza di essersi rivolti ad un professionista, non è circostanza sufficiente a ritenere la sussistenza di un ragionevole dubbio circa la piena responsabilità dell’imputata.
Sul punto, la Corte d’appello sottolinea come il consulente fiscale non poteva aver operato di propria iniziativa le compensazioni con crediti inesistenti per i notevolissimi importi contestati in rubrica, atteso che quest’ultimo, oltre a non averne interesse, non partecipando alla gestione ed agli utili della società, aveva compilato i mod.F24 sulla scorta delle dichiarazioni e della documentazione appositamente emessa a disposizione dagli amministratori unici pro-tempore, tra cui l’imputata. Quest’ultima, si aggiunge, non poteva non essersi accorta dei proventi che derivavano alla società dalle compensazioni, a fronte della disciplina fiscale all’epoca vigente, tanto più ove si consideri che chi svolge funzioni direttive in una società ha ben presente in genere il peso effettivo della pressione fiscale sulle proprie attività. Ad effettuare le assunzioni di manodopera che dovevano garantire l’accesso alle compensazioni contestate, per poi interrompere dopo brevi periodi di rapporti di lavoro così instaurati, non era stato il consulente fiscale ma chi si occupava dell’amministrazione della società. Da qui i giudici di appello hanno ritenuto corroborata la tesi della sussistenza di una complessiva gestione atta a servirsi a proprio vantaggio della normativa sui risparmi d’imposta, i cui responsabili, devono essere individuati, per quanto di interesse, nell’imputata per il periodo di amministrazione della società.
5. Si tratta di motivazione del tutto adeguata ed immune dai denunciati vizi, rispetto alla quale le censure difensive non colgono nel segno. Anzitutto, con riferimento alla presunta attribuibilità dei fatti al precedente amministratore, non essendo infatti emersa dalla lettura dell’impugnata sentenza alcuna argomentazione difensiva addotta a sostegno della tesi della riferibilità dei fatti al C., precedente amministratore, cui la ricorrente era subentrata in data in data 23.12.2008. Ed invero, deve ritenersi che versi in dolo eventuale, e non in mera colpa, il soggetto che, subentrando ad altri dopo l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti in relazione a precedenti periodi di imposta, abbia assunto la carica di amministratore, senza compiere il previo controllo, di natura puramente documentale, sugli adempimenti fiscali, dovendosi escludere il carattere “colposo” dell’addebito, attesa la particolare semplicità delle verifiche che avrebbero consentito di appurare l’inesistenza dei crediti utilizzati in compensazione, atteso che l’agevolazione fiscale (prevista al fine di incoraggiare le assunzioni per le imprese che incrementavano il proprio organico in aree svantaggiate), in base all’art. 63, co. 3, legge n. 289 del 2002 avrebbe dovuto essere preventivamente richiesta dalla società al centro operativo di Pescara, e tenuto conto, inoltre, che la società era comunque decaduto dal diritto ad fruire dell’agevolazione a causa della violazione del vincolo relativo alla conservazione per un periodo non inferiore a due anni dei posti di lavoro creati, fruendo di siffatti incentivi, a maggiore ragione in un caso, come quello sub iudice, in cui uno dei neo-assunti era addirittura un socio, per cui, rispetto a quest’ultimo, bisognava escludersi che fosse stato creato un nuovo posto di lavoro anche a prescindere dalla durata del rapporto.
6. Quanto, poi, al tentativo di attribuire qualsiasi responsabilità al consulente fiscale che avrebbe potuto agire indisturbato, secondo la versione difensiva, oltre alle puntuali argomentazioni della Corte d’appello, va comunque ribadito che gli amministratori non vanno esenti da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche (commercialista), dovendosi logicamente presumere che la contabilità stessa sia stata redatta secondo le indicazioni date dai predetti soggetti, che restano, perciò, sempre responsabili della tenuta di una regolare e veritiera contabilità (v., ad esempio, per un’applicazione in tema di bancarotta fraudolenta: Sez. 5, n. 2055 del 15/12/1993 – dep. 19/02/1994, Decenvirale, Rv. 197268).
7. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
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