CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 12282 depositata il 16 aprile 2020
Professioni – Attività di tenuta della contabilità e redazione dichiarazioni fiscali – Esercizio abusivo – Mancata iscrizione all’albo professionale – Risarcimento del danno per condotta illecita – Ripetizione di indebito per nullità dei contratti di prestazione professionale
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Trieste, a seguito di gravame interposto dall’imputata L. M. avverso la sentenza emessa in data 17.6.2016 dal Tribunale di Udine, ha confermato la decisione con la quale la imputata è stata riconosciuta colpevole del reato di cui all’art. 348 cod. pen. per aver svolto abusivamente attività professionali riservate agli iscritti all’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e condannata a pena di giustizia, oltre le statuizioni in favore della parte civile costituita.
2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputata che con atto del difensore deduce:
2.1. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 348 cod. pen. avendo la Corte ritenuto irrilevante il fatto che i clienti dell’imputata fossero a conoscenza che la stessa non era iscritta ad alcun albo professionale, confondendosi il piano della idoneità della condotta ad integrare la fattispecie con quello del successivo consenso del destinatario di essa. Il fatto di specificare espressamente ai destinatari delle prestazioni la propria mancanza di iscrizione all’Albo, non può che essere inteso come <<quella chiara indicazione diversa» proveniente da colui che esercita l’attività che le Sezioni Unite richiedono per escludere la sussistenza del reato.
2.2. Vizio cumulativo della motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato con riferimento alle deduzioni in appello con riferimento alla sussistenza delle chiare indicazioni diverse sufficienti a far venir meno l’ipotesi accusatoria. La Corte, dapprima ha espresso l’erronea interpretazione in diritto prima oggetto di censura, successivamente prendendo in considerazione solo alcune delle circostanze di fatto dedotte dalla difesa che con motivazione manifestamente illogica ha considerato non idonei a lasciar intendere la mancanza del titolo professionale da parte dell’imputata.
2.3. Omessa motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, omettendosi di spiegare perché l’adozione di determinate cautele da parte della ricorrente, in parte riconosciute adeguate anche da un Tribunale, potesse implicare la sua volontà o comunque la sua consapevolezza che le stesse non fossero sufficienti e idonee ad integrare le <<chiare indicazioni diverse».
2.4. Violazione degli artt. 62-bis, 133 cod. pen. in relazione al diniego delle attenuanti generiche sull’errato rilievo dell’esercizio della attività tramite società.
2.5. Violazione dell’art. 75 cod. proc. pen. e manifesta contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ritenuta diversità della causa petendi posta a base della allegata sentenza n. 1422/2015 del Tribunale di Udine in quanto l’accertamento della sussistenza della ipotesi di cui all’art. 2231 cod. civ. implica necessariamente l’accertamento – sia pure in via incidentale – della sussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 348 cod. pen.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo, secondo e terzo motivo sono genericamente proposti quanto non manifestamente infondati.
2.1. La Corte di appello, senza incorrere in vizi logici e giuridici, ha confermato la responsabilità della imputata ricorrente per lo svolgimento di attività retribuita di tenuta della contabilità, redazione delle dichiarazioni fiscali, predisposizione dei modelli per l’effettuazione dei pagamenti delle imposte, completa gestione dei dati contabili e fiscali, controllo e verificazione delle imposte patrimoniali ed economiche in favore delle società Vetreria C. dei F.lli P.P. e S. s.n.c., rappresentandole nei rapporti con Equitalia F.V.G. s.p.a. e con l’Agenzia delle Entrate mediante prestazione di assistenza fiscale e tributaria. Ha escluso rilevo al fine di ritenere le «indicazioni diverse>> alla circostanza che sulle fatture rilasciate dalla imputata vi fosse la dicitura « consulenze di direzione-legale rapp. Iscritto all’Ancot» o che non fosse riportata accanto al nome della stessa imputata il titolo di dottore commercialista.
2.2. La decisione si è posta nell’alveo di legittimità secondo il quale integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 cod. pen.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011, Cani, Rv. 251819), essendosi precisato che l’esplicitazione della mancanza di abilitazione «va compiuta peraltro, in conformità all’interesse protetto dal reato, su un piano generale e oggettivo, e non nella dimensione dello specifico rapporto interpersonale, con quanto ne consegue ai fini della (persistente) irrilevanza scriminante del consenso del singolo destinatario della prestazione abusiva».
L’orientamento è stato più recentemente ribadito in analoga fattispecie relativa all’abusivo esercizio della professione di commercialista, consistito nella tenuta della contabilità aziendale e nella prestazione di consulenza del lavoro (Sez. 6, n. 33464 del 10/05/2018, Melis, Rv. 273788) che, richiamata dalla decisione impugnata, ha – tra l’altro – condivisibilmente escluso il tema dell’overruling «in mancanza..del carattere dell’imprevedibilità, in quanto elaborazione di una precedente giurisprudenza di legittimità. Tale è stata nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione della non rilevanza ai fini della configurabilità del reato di abusivo esercizio di una professione della distinzione tra i cc.dd. atti tipici della professione o atti riservati in via esclusiva a soggetti dotati di speciale abilitazione ed atti cc.dd. caratteristici o strumentalmente connessi ai primi ove compiuti in modo continuativo e professionale (Sez. 6, n. 49 del 08/10/2002, dep. 2003, Notaristefano, Rv. 223215). La prospective overrulig che ha ricevuto elaborazione della giurisprudenza civile di legittimità vuole un mutamento di orientamento, repentino ed inopinato, della regola del processo che comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa e che richieda una tutela dell’affidamento incolpevole della parte nella norma in precedenza enunciata (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 8445 del 05/04/2018 (Rv. 647572 – 01); Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15530 del 27/07/2016 (Rv. 640763 – 01). Si tratta invero di modifica dei termini processuali la cui affermazione non si attaglia alla fattispecie scrutinata dalle indicate Sezioni Unite Cani, nella squisita valenza sostanziale della disciplina nella stessa prevista».
3. Il quarto motivo è manifestamente infondato quando non genericamente proposto in relazione all’ineccepibile motivazione che sostiene il diniego delle attenuanti c.d. generiche per assenza di elementi positivi ed in presenza di un lungo periodo di tempo nel quale si è protratta la condotta della quale ineccepibilmente è stata anche valorizzato l’esercizio attraverso lo strumento organizzativo delle società che facevano capo alla stessa imputata.
4. Il quinto motivo è manifestamente infondato, quando non genericamente proposto, in relazione alla corretta risposta data dalla Corte di merito alla doglianza difensiva in appello che ha evidenziato la diversità delle azioni esercitate: quella riguardante la costituzione di parte civile avente ad oggetto il risarcimento del danno conseguente alla condotta illecita dell’imputata e quella esercitata nel processo civile conclusosi con la sentenza del Tribunale di Udine del 2/11/2015 riguardante – invece – la ripetizione dell’indebito conseguente alla nullità dei contratti di prestazione professionale stipulati con l’imputata. Non rileva, pertanto, la coincidenza delle ragioni per le quali doveva essere dichiarata la nullità dei contratti e della condotta illecita della imputata, stante la diversità del petitum azionato nei due diversi procedimenti.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma che si stima equo determinare in euro duemila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.