CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 16616 depositata il 3 giugno 2020

Imposte indirette – IVA – Fatture relative a operazioni soggettivamente insistenti – Reato

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 25 luglio 2019 il Tribunale di Padova ha respinto la richiesta di riesame presentata da L.I. e J.A.S., nei confronti del decreto di sequestro preventivo del 17 giugno 2019 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, disposto in via diretta, e in subordine per equivalente fino alla concorrenza della somma di euro 5.875.434,26, in relazione al reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 (capo 13 della rubrica provvisoria), contestato a I. e S. quali amministratori della A. CT S.r.l., trattandosi della somma corrispondente all’Iva indicata nelle fatture relative a operazioni soggettivamente inesistenti emesse da società cosiddette cartiere nei confronti di tale società e da questa indebitamente portate in detrazione, dunque del profitto di detto reato.

Il Tribunale, nel disattendere la richiesta di riesame, dopo aver dato atto dell’esito delle indagini e del complessivo sistema fraudolento che da esse era emerso, ha evidenziato che un precedente analogo provvedimento di sequestro per i medesimi fatti era già stato emesso il 9 aprile 2019 e annullato, in accoglimento della richiesta di riesame degli indagati, in quanto alla data di emissione del provvedimento non erano ancora interamente decorsi i termini per la presentazione della dichiarazione ai fini (va per l’anno 2018 della società amministrata dai ricorrenti, presentata il successivo 24 aprile 2019 e nella quale è stata ravvisata l’indebita detrazione di (va per complessivi euro 5.785.434,26.

E’ stata, pertanto, esclusa la sussistenza della preclusione processuale eccepita dai richiedenti, per la violazione del giudicato cautelare, in considerazione dell’elemento nuovo considerato, costituito dalla presentazione della dichiarazione Iva successivamente alla emissione del precedente decreto di sequestro preventivo.

Il Tribunale ha poi escluso la fondatezza della doglianza relativa alla mancanza di motivazione in ordine alla preventiva valutazione della effettiva incapienza del patrimonio della società amministrata dai ricorrenti, in considerazione della struttura mista del provvedimento di sequestro impugnato, essendo stati sottoposti a vincolo i beni dei richiedenti subordinatamente al sequestro diretto nei confronti della società (cioè subordinatamente alla sua infruttuosa o, comunque, insufficiente esecuzione); è stata, inoltre, ribadita la sussistenza di plurimi e univoci elementi indiziari in ordine alla natura fittizia delle operazioni sottostanti le fatture emesse nei confronti della società amministrata dai ricorrenti, dal cui esame si desumeva la natura di cartiere delle società emittenti, ed è stata anche esclusa l’estraneità dei ricorrenti alla realizzazione dell’illecito loro contestato.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione L. I., affidato a due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.

2.1. Con un primo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) etc), cod. proc. pen., l’errata applicazione degli artt. 111 Cost., 321, comma 2, 322, 322 ter e 324 cod. proc. pen. e 12 bis d.lgs. 74/2000, per la violazione del divieto di ne bis in idem processuale, sulla base del rilievo che il precedente provvedimento di sequestro preventivo, disposto in relazione al profitto del medesimo reato, era stato annullato per mancanza dei presupposti e il nuovo provvedimento cautelare era stato emesso in relazione alla medesima contestazione e allo stesso profitto, in assenza di elementi nuovi, giacché il termine per la presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno 2018 era scaduto prima della precedente udienza camerale di discussione a seguito della quale era stato disposto l’annullamento del sequestro, cosicché doveva ritenersi che tale aspetto fosse stato considerato dai giudici del precedente riesame, con la conseguente sussistenza di una preclusione derivante dal giudicato cautelare alla emissione di un nuovo identico provvedimento di sequestro, in relazione alle medesime condotte e sulla base degli stessi elementi.

2.2. In secondo luogo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione e l’errata applicazione dell’art 125, comma 3, cod. proc. pen., a causa della mancanza assoluta di motivazione in ordine alle difese svolte nel corso del giudizio di riesame, con le quali era stata contestata la natura di cartiere delle società emittenti le fatture ritenute relative a operazioni soggettivamente inesistenti, nonché la ritenuta falsità delle lettere di intenti e anche la rispondenza al vero della affermazione della fittizietà delle sedi delle società emittenti e della realizzazione di vendite sottocosto dei carburanti oggetto di dette fatture, in quanto il Tribunale aveva disatteso tali rilievi limitandosi a richiamare le valutazioni esposte su tali punto nel decreto di sequestro preventivo.

Ha poi eccepito la propria estraneità agli adempimenti fiscali della società di cui era amministratore, che erano stati affidati in via esclusiva al commercialista I., che quindi doveva essere ritenuto l’unico responsabile della eventuale indicazione nelle dichiarazioni contabili della società di elementi passivi fittizi, attraverso l’utilizzo di fatture relative a operazioni soggettivamente inesistenti e a scopo di evasione, considerando anche il fatto che tale professionista era a conoscenza dello svolgimento delle indagini (tanto che il suo studio professionale era stato perquisito dalla Guardia di Finanza).

3. Ha proposto ricorso avverso la medesima ordinanza anche J.A.S., affidato a censure identiche a quelle del ricorso proposto da I..

Considerato in diritto

1. Entrambi i ricorsi sono, nel loro complesso, infondati.

2. Il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata l’adozione del provvedimento impugnato nonostante il precedente annullamento di identico provvedimento fondato sui medesimi elementi indiziari e avente lo stesso oggetto, non è fondato.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide e ribadisce, quello secondo cui il principio del ne bis in idem cautelare non è ostativo alla reiterazione del sequestro preventivo su beni in relazione ai quali il vincolo reale sia stato già disposto, allorquando il nuovo decreto si fondi su una esigenza cautelare diversa da quella inizialmente ipotizzata, oppure, come nel caso in esame, quando l’autorità procedente sia chiamata a valutare elementi precedentemente non esaminati (v. Sez. 6, n. 21103 del 26/03/2013, De Maio, Rv. 256439; Sez. 3, n. 24963 del 18/02/2015, Aprovitola, Rv. 264095; v. anche Sez. 3, n. 48395 del 13/06/2018, Arria, Rv. 274703).

Nel caso in esame il Tribunale ha, anzitutto, dato atto che il primo provvedimento di sequestro preventivo, emesso il 9 aprile 2019 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova, era stato annullato dal Tribunale di Padova con ordinanza del 21 maggio 2019, limitatamente alle posizioni di I. e S., sulla base del rilievo della impossibilità di configurare il concorso tra i reati di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. 74/2000, nonché della circostanza, rilevante in ordine alla consumazione del reato di cui all’art. 2 (di cui al capo 13 della rubrica provvisoria), che alla data di emissione del provvedimento di sequestro non erano ancora scaduti i termini per la presentazione della dichiarazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto della società amministrata dai ricorrenti.

Il Tribunale ha poi precisato che, con informativa del 3 maggio 2019, la polizia giudiziaria aveva comunicato che la S.r.l. A. CT, amministrata dai ricorrenti, il 24 aprile 2019 aveva presentato la dichiarazione Iva 2019, relativa al periodo di imposta 2018, nella quale, a fronte di un imponibile complessivo di euro 36.690.687, era stata indicata la somma di euro 8.071.951 quale imposta sul valore aggiunto da detrarre, di cui euro 5.785.434,26 ritenuta indebitamente indicata, in quanto derivante da fatture relative a operazioni inesistenti.

Sulla base di questi elementi il Tribunale ha, dunque, escluso che il nuovo provvedimento di sequestro, emesso il 17 giugno 2019, sia fondato sui medesimi elementi di quello in precedenza emesso il 9 aprile 2019 e annullato con l’ordinanza del medesimo Tribunale del 21 maggio 2019, in quanto il secondo provvedimento di sequestro risulta emesso a seguito della presentazione della dichiarazione Iva 2019, la cui mancanza aveva precedentemente impedito di ritenere il reato consumato, dunque di un fatto nuovo, in precedenza non considerato.

Si tratta di valutazione del tutto corretta, sia perché nella emissione del secondo provvedimento di sequestro sono stati considerati elementi di prova in precedenza non disponibili / né valutati, costituiti dalla suddetta informativa della polizia giudiziaria del 3 maggio 2019 (nella quale era stato dato atto della presentazione della dichiarazione Iva 2019 e degli elementi indiziari circa la riconducibilità a operazioni inesistenti di parte delle somme portate in detrazione d’imposta), sia perché il nuovo provvedimento di sequestro è stato emesso sulla base di una condotta nuova e ulteriore rispetto a quelle realizzate fino al momento della emissione del primo provvedimento di sequestro, costituita dalla presentazione della dichiarazione Iva 2019, mediante la quale il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 è stato consumato, cosicché anche sotto questo profilo non è dato di rilevare la prospettata identità degli elementi considerati dal giudice della cautela.

La circostanza che al momento della decisione da parte del Tribunale sulla richiesta di riesame presentata dagli indagati nei confronti del primo provvedimento di sequestro, e cioè il 21 maggio 2019, il termine per la presentazione della dichiarazione Iva fosse scaduto e la suddetta informativa della polizia giudiziaria del 3 maggio 2019 fosse stata tramessa al pubblico ministero non consentono di ravvisare alcuna preclusione alla adozione del nuovo provvedimento di sequestro, in quanto dette circostanze non si erano verificate al momento della emissione del primo provvedimento (il 9 aprile 2019) e non risulta che siano state portate a conoscenza del Tribunale in vista della decisione della prima richiesta di riesame, cosicché neppure sotto tale profilo è ravvisabile la verificazione della violazione del divieto di ne bis in idem cautelare lamentata dai ricorrenti, in quanto il Tribunale non era stato investi della cognizione di tali aspetti, che quindi non erano stati valutati, con la conseguente insussistenza di una preclusione alla reiterazione della misura fondata su tali elementi nuovi e non precedentemente valutati (cfr. Sez. 3, n. 43806 del 05/11/2008, Spirito, Rv. 241415).

Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza dei rilievi sollevati con il primo motivo di entrambi i ricorsi.

3. Il secondo motivo, mediante il quale è stata lamentata la mancata considerazione delle difese dei ricorrenti, in ordine alla fittizietà delle operazioni sottostanti le fatture indicate nelle dichiarazioni contabili della S.r.l. A. CT e alla consapevolezza dei ricorrenti di tale circostanza, è inammissibile, essendo volto a censurare l’adeguatezza della motivazione dell’ordinanza impugnata, tra l’altro nella parte relativa alla ricostruzione delle condotte.

Il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali può, infatti, essere esaminato solo in relazione al vizio di violazione di legge non essendo consentita, in subiecta materia, la deduzione del vizio di motivazione per espresso dettato dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Nondimeno, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come nella violazione di legge siano ricompresi anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice, con conseguente violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. (cfr., ex multis, Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 e, da ultimo, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv.254893; Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656). Nel caso in esame il Tribunale ha adeguatamente considerato le censure difensive dei ricorrenti, evidenziando i plurimi e concordanti elementi indiziari sulla base dei quali sono state ritenute provate sia la natura fittizia delle operazioni sottostanti le fatture annotate nelle scritture contabili della A. CT e poi indicate come elementi passivi fittizi (tra cui il carattere ideologicamente falso delle lettere di intenti; la breve operatività delle società considerate cartiere; la non operatività delle sedi delle stesse; le risultanze dell’esame dei tabulati telefonici; l’omessa presentazione dei bilanci da parte di una di tali società; il carattere solo formale delle cariche amministrative attribuite in tali società, cfr. pagg. 7 e 8 della motivazione dell’ordinanza impugnata), sia la piena partecipazione dei ricorrenti a tale attività, sottolineando come essi al momento della presentazione della dichiarazione Iva 2019 fossero a conoscenza delle indagini e anche del precedente sequestro, nei confronti del quale avevano presentato richiesta di riesame, e che nonostante ciò presentarono ugualmente tale dichiarazione, indicando nella stessa elementi passivi fittizi: si tratta di considerazioni idonee a giustificare l’affermazione della sussistenza di gravi indizi del reato contestato e della sua consumazione da parte dei ricorrenti, che questi ultimi hanno criticato sul piano del merito, contestando la valenza probatoria degli elementi indiziari considerati e anche il proprio ruolo nella vicenda, in tal modo proponendo una censura non consentita in questa sede.

4. Entrambi i ricorsi devono, in conclusione, essere respinti, stante l’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilità del secondo. Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.