CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 17438 depositata il 23 aprile 2019
Reato di truffa aggravata – Consulente aziendale – Mandato del cliente al pagamento dei debiti tributari per proprio conto – Alterazione degli importi indicati nelle fotocopie dei modelli F24 – Prescrizione del reato
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza emessa il 21/9/2018 la Corte di Appello di l’Aquila confermava la sentenza in data 16/5/2016 con la quale il Tribunale di Vasto aveva riconosciuto L. M. colpevole del reato di truffa, aggravata ex artt. 61, primo comma nn. 7 e 11, cod. pen. e lo aveva condannato alla pena di un anno e due mesi di reclusione e 1.200 euro di multa, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile M. Del B., da liquidare in separato giudizio civile.
Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dai giudici di merito, l’imputato, consulente di M. Del B., titolare di un’azienda agricola, aveva ricevuto dal cliente, nel corso degli anni, decine di migliaia di euro per debiti tributari, versati in minima parte all’Erario; grazie all’alterazione degli importi indicati nelle fotocopie dei modelli F24, M. faceva credere a Del B. che le somme da questi ricevute fossero state interamente corrisposte all’Agenzia delle Entrate.
Successivamente l’imputato aveva ricevuto e incassato dalla persona offesa la somma di 28.282,14 euro, riferendole dell’esistenza di un debito tributario di tale importo, In realtà insussistente.
2. Ha proposto ricorso L. M., a mezzo del proprio difensore di fiducia, chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio motivazionale per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, già eccepito con l’atto di appello.
Alla penultima udienza dibattimentale il Pubblico Ministero fu autorizzato a modificare il capo d’imputazione, indicando quale data finale della condotta il 2011 (in luogo del dicembre 2010), sulla base delle dichiarazioni dei testimoni, dalle quali, invece, non è affatto emerso che la condotta contestata si sia protratta sino al 2011, anno in cui la parte civile si rivolse ad altro professionista, avendo perso la fiducia in L. M..
2.2. Violazione di legge e vizio motivazionale per non avere la Corte di appello dichiarato il reato di truffa estinto per prescrizione, in quanto i fatti si sono svolti dal luglio del 2007 al dicembre del 2010.
2.3. Violazione di legge e vizio motivazionale in ordine all’affermazione di responsabilità, alla sussistenza delle aggravanti, al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, alla omessa applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen. ed alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
L’imputato agì con imperizia ma senza alcun intento fraudolento, senza porre in essere artifizi o raggiri, versando all’Erario quanto dovuto, cosicché non sussistono le aggravanti contestate, non risultando neppure l’entità del danno patito dalla persona offesa.
Sussistono, per contro, i presupposti per riconoscere le attenuanti generiche, concedere la sospensione condizionale della pena (richiesta proposta con l’appello con motivo specifico al quale la Corte non ha risposto) e ritenere anche il fatto di particolare tenuità, considerato che l’imputato “non ha subito alcuna dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza a delinquere”.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è parzialmente fondato in punto di estinzione del reato continuato di truffa per prescrizione.
2. L’eccezione proposta con il primo motivo è priva di ogni fondamento.
E’ noto che, avuto riguardo alle questioni di natura processuale, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304; Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, Mauro, Rv. 230568).
Dal verbale di udienza del 4/4/2016, svoltasi avanti il Tribunale di Vasto, risulta la presenza del sostituto del difensore di fiducia. Il Pubblico Ministero chiese la correzione dell’errore materiale del capo d’imputazione, laddove era indicato “dicembre 2010”, da intendersi “dicembre 2011”. A fronte di detta richiesta, si legge nel verbale quanto segue: “Le altre parti nulla osservano. Il giudice dispone in conformità e rinvia per la discussione all’udienza del 16/05/2016”.
Solo a quest’ultima udienza il difensore contestò la correzione, deducendo che non si sarebbe trattato di mero errore materiale, eccezione disattesa dal giudice, che rilevò come la data corretta risultasse dalla querela e dai documenti (e non già dal contenuto delle deposizioni assunte) e confermò il precedente provvedimento di correzione, nulla osservando, a quel punto, la difesa.
L’eccezione fu proposta tardivamente, considerato che la difesa avrebbe dovuto sollevare immediatamente la questione alla precedente udienza, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., essendo la situazione assimilabile a quella che in astratto configurerebbe una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, che configura una nullità generale a regime intermedio, non rientrante tra quelle assolute ed insanabili previste dall’art. 178 cod. proc. pen., in quanto non attinente all’omessa citazione dell’imputato o all’assenza del suo difensore quando ne sia obbligatoria la presenza (Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 269886; Sez. 6, n. 31436 del 12/07/2012, Di Stefano, Rv. 253217; Sez. 2, n. 9171 del 29/01/2008, De Stefano, Rv. 239545; Sez. 2, n. 19585 del 17/05/2006, Antonuccio, Rv. 234199; Sez. 4, n. 14180 del 29/11/2005, dep. 2006, Pelle, Rv. 233952).
Inoltre, la Corte territoriale, con adeguata motivazione, ha richiamato ed applicato il principio secondo il quale la modifica in udienza del capo di imputazione, consistente nella diversa indicazione della data del commesso reato, non costituisce modifica dell’imputazione, rilevante ex art. 516 cod. proc. pen., allorché non comporti alcuna significativa modifica della contestazione, la quale resti immutata nei suoi tratti essenziali, così da non incidere sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell’imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa (Sez. 5, n. 48879 del 17/09/2018, L., Rv. 274159; Sez. 5, n. 4175 del 07/10/2014, dep. 2015, Califano, Rv. 262844).
3. Il motivo in tema di sussistenza del delitto di truffa, ed in particolare dell’elemento psicologico, è inammissibile perché del tutto generico, non essendosi affatto confrontato con le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale per disattendere il motivo di appello.
Nella sentenza impugnata è stato evidenziato come la sistematica alterazione dei modelli F24, nei quali l’imputato faceva figurare somme di gran lunga superiori a quelle effettivamente pagate all’Erario, costituisce la prova inequivocabile dell’intendo truffaldino e della mala fede di M., che tratteneva per sé la differenza fra quanto ricevuto dal proprio cliente e quanto versato effettivamente all’Agenzia delle Entrate. Escludendo, dunque, che si fosse “trattato di meri errori ed incompetenza professionale” e, quindi, di un “fatto solo colposo”, la Corte di appello ha respinto il motivo di gravame sul punto.
A fronte di questa specifica motivazione, pure riportata nel ricorso, la difesa ha così replicato: “Trattasi, quindi, di colpa” (pag. 11).
4. Generici o manifestamente infondati sono gli altri motivi, diversi da quelli inerenti alla prescrizione.
4.1. In ordine alla circostanze aggravanti, priva di motivo a sostegno è la richiesta di esclusione di quella prevista dall’art. 61, primo comma n. 11, cod. pen., mentre generica è la doglianza relativa a quella ex art. 61, primo comma n. 7, cod. pen., sulla quale nella sentenza impugnata vi è specifica motivazione.
4.2. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, la Corte di appello ha considerato in senso negativo la gravità delle condotte, aderendo all’ampia motivazione sul punto del primo giudice.
Va ribadito, infatti, che dette attenuanti non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen.: «posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza» (così Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315; in senso conforme v., ex plurimis, Sez. 2, n. 35570 del 30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694, nonché, da ultimo, Sez. 2, n. 44221 del 12/07/2018, Cicciù, Rv. 273819, in motivazione).
Pertanto, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 2, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; da ultimo v. Sez. 2, n. 38039 del 13/07/2018, Ferro, non mass.).
Inoltre, secondo il diritto vivente, nel motivare il diniego delle attenuanti generiche, il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 2, n. 23326 del 04/05/2018, Coco, non mass.; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Petti nel II, Rv. 271269; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
4.3. Con motivazione incensurabile la Corte territoriale ha escluso che, in presenza di un danno patrimoniale tutt’altro che esiguo, l’offesa arrecata potesse essere considerata di particolare tenuità, sì da consentire l’applicazione della causa di non punibilità aM’imputato, peraltro gravato di un’altra condanna.
4.4. Proprio la presenza di una precedente condanna alla pena di un anno e due mesi di reclusione (la medesima inflitta nel presente processo) precludeva la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena al ricorrente, che all’epoca dei fatti era infra70enne, cosicché il primo giudice aveva correttamente rilevato che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento del beneficio, in considerazione del superamento dei limiti di pena previsti dagli artt. 163 e 164 cod. pen.
Il motivo di appello sul punto, dunque, era manifestamente infondato, avendo ignorato il dato ostativo ed erroneamente considerato l’età dell’imputato all’epoca dello svolgimento del processo e non a quella di commissione del reato.
La manifesta infondatezza del motivo di gravame priva di ogni rilievo l’omessa risposta della Corte territoriale, dovendosi ribadire il principio, costante nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, di un motivo di appello non comporta l’annullamento della sentenza quando la censura, se esaminata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di accoglimento, in quanto l’omessa motivazione sul punto non arreca alcun pregiudizio alla parte, risultando in concreto inidonea ad incidere sugli esiti decisori (Sez. 2, n. 50949 del 10/10/2017, Bivol, Rv. 271376, in motivazione; Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone, Rv. 265878; Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell’Utri, Rv. 263980; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, Bianchetti, Rv. 263157).
5. A fronte della questione inerente alla prescrizione, proposta dalla difesa, la Corte territoriale ha erroneamente risposto, obliterando la modifica dell’art. 158, primo comma, cod. pen. operata dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, a seguito della quale la decorrenza della prescrizione, per il reato continuato, non opera più dal giorno in cui è cessata la continuazione.
Pertanto, i reati commessi sino al 3/4/2010, al momento della pronuncia della sentenza di appello (4/10/2017), in assenza di periodi di sospensione, erano già estinti per prescrizione, ai sensi degli artt. 157, secondo comma, e 161, secondo comma, cod. pen.
Non erano estinti, invece, i reati di truffa commessi successivamente a tale data: la Corte territoriale ha dato atto che “l’ultimo assegno dato al prevenuto risulta datato dicembre 2010”, risalendo a tale data, dunque, la consumazione di (almeno) un delitto ex art. 640 cod. pen., che si perfeziona nel momento del conseguimento del profitto con correlativo danno patrimoniale.
Ne consegue l’irrevocabilità della dichiarazione di responsabilità, ai sensi dell’art. 624, comma 1, cod. proc. pen., per i reati commessi successivamente al 3/4/2010, poiché l’inammissibilità dei residui motivi non consente di rilevare l’estinzione dei reati maturata successivamente alla pronuncia della sentenza di appello.
Le Sezioni unite della Suprema Corte, in numerose pronunce, hanno statuito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare ora l’estinzione del reato per prescrizione a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822; n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966; n. 26102 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818; n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531; n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
Con la sentenza Aiello, la Corte di cassazione ha evidenziato che, in caso di sentenza cumulativa relativa a più imputazioni, i singoli capi della sentenza
sono autonomi ad ogni effetto giuridico e, perciò, anche ai fini dell’impugnazione, stante il principio della pluralità delle azioni penali, tante per quanti sono gli imputati e, per ciascun imputato, tante quante sono le imputazioni; pertanto, sulla base del principio dell’autonomia dei rapporti di impugnazione relativi ai singoli capi, nei processi oggettivamente cumulativi l’ammissibilità del ricorso relativo ad un capo non si comunica agli altri capi per i quali il ricorso, preso in esame isolatamente, sarebbe stato dichiarato inammissibile.
La fattispecie esaminata nella sentenza delle Sezioni Unite “Aiello” era proprio relativa a due reati tra loro unificati dalla continuazione; la Corte, affermando il suddetto principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso per uno dei due reati.
In conformità a detta pronuncia, si è affermato, con argomentazione condivisa dal Collegio, che «l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili opera anche quando tra detti reati sia stata ritenuta la continuazione» (Sez. 3, n. 20899 del 25/01/2017, Bruno, Rv. 270130; in senso conforme v. Sez. 2, n. 4594 del 17/01/2018, Cantile, Rv. 272019, in motivazione).
La sentenza va annullata nei termini sopra indicati, con rinvio alla Corte territoriale competente affinché proceda alla rideterminazione della pena, in considerazione della declaratoria di estinzione per prescrizione di parte dei reati di truffa contestati.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati commessi fino al 3 aprile 2010 perché estinti per prescrizione. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto e irrevocabile l’affermazione di responsabilità per i reati posti in essere dal 4 aprile 2010.
Rinvia per la determinazione del trattamento sanzionatorio alla Corte d’appello di Perugia.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 3108 depositata il 24 gennaio 2024 - In tema di sequestro preventivo impeditivo relativo al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, sono suscettibili di apprensione i crediti dei terzi…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 40461 depositata il 5 ottobre 2023 - La falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di…
- Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 44170 depositata il 3 novembre 2023 - Le violazioni di cui aò d.lgs. n. 74/2000 trattandosi di reati e, dunque, dell'esercizio della giurisdizione penale, la sussistenza del "reato tributario", sotto…
- Il dipendente che attesta falsamente la sua presenza al lavoro commette il reato di truffa aggravata prescindendo dal danno economico
- AGENZIA DELLE ENTRATE - Risoluzione 29 maggio 2020, n. 29/E - Istruzioni per il versamento, tramite i modelli "F24" e "F24 Enti pubblici" (F24 EP), dell’imposta municipale propria (IMU), di cui all’articolo 1, commi da 739 a 783, della legge 27…
- Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 26274 depositata il 19 giugno 2023 - L'art. 13 del D.lvo 74/2000 prevede che i reati di cui agli articoli 2,3, 4 e 5 non siano punibili se i debiti tributari, compresi sanzioni e interessi, siano…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- ISA 2024 le cause di esclusione per l’anno 2
La legge istitutiva degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA) ha una…
- Il diritto riconosciuto dall’uso aziendale n
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10120 depositat…
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…