Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 2002 depositata il 20 gennaio 2020
reati tributari – occultamento o distruzione – fatture passive – reato di occultamento o distruzione di documenti contabili – Art. 10, del D.Lgs. n. 74 del 2000 – Responsabilità – Legale rappresentante
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 15 marzo 2019, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto che aveva dichiarato la penale responsabilità di S.N. per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all’art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, accertato il 30 ottobre 2015, e gli aveva irrogato la pena, condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, l’imputata, in qualità di legale rappresentante della società “F.I. s.a.s.”, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, aveva occultato o distrutto i registri contabili obbligatori e numerose fatture concernenti operazioni commerciali relative agli anni 2010 e 2011, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume degli affari della ditta da lei gestita.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe l’avvocato V.N., quale difensore di fiducia dell’imputata, articolando un unico motivo, con il quale si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato addebitato con riferimento all’elemento psicologico.
Si deduce che la sentenza impugnata, nonostante uno specifico motivo di appello sul punto, ha omesso qualunque motivazione in ordine alla sussistenza del dolo specifico. Si osserva, in particolare, che occorreva spiegare perché l’imputata avesse non solo la coscienza e volontà di occultare o distruggere la documentazione contabile, ma anche la consapevolezza dell’idoneità di tale condotta a ricostruire i redditi o il volume degli affari, e che il dolo specifico non può essere presunto sulla base della sola avvenuta realizzazione della condotta integrate gli estremi della fattispecie di reato (si cita Sez. 3, n. 15900 del 18/04/2016). Si aggiunge che il difetto di tale consapevolezza poteva essere desunto: a) dal modesto numero delle fatture non esibite (n. 11 di vendita e n. 2 di acquisto); b) dalla conoscenza, da parte dell’imputata, del sistema di registrazione di tutte le fatture presso l’Anagrafe tributaria e degli obblighi di registrazione per le ditte in rapporti commerciali con quella da lei legalmente rappresentata; c) dal difetto di interesse ad occultare documenti contabili, poste la scelta di operare come evasore totale e la “scomparsa” anche di fatture di acquisto, utili a ridurre la base imponibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.
2. La questione sollevata nel ricorso attiene alla configurabilità del dolo specifico ed all’assenza di motivazione della sentenza impugnata sul punto.
2.1. È utile premettere che sotto il profilo oggettivo il reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 può essere integrato anche dall’occultamento di fatture attive o passive, come avvenuto nel caso di specie, e la prova della sussistenza della condotta illecita può essere ricavata anche dal rinvenimento della copia presso l’altro soggetto del rapporto commerciale.
Invero, per quanto riguarda il primo aspetto, si è precisato che anche l’occultamento o la distruzione di fatture ricevute da terzi (cd. fatture passive) integra il reato di cui all’art. 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, trattandosi di documenti che, oltre a rappresentare costi sostenuti e a incidere sulla ricostruzione dei redditi del destinatario di essi, sono comunque dimostrativi dell’esistenza di introiti a carico del soggetto emittente (cfr., in particolare, Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, Chiarolla, Rv. 263050-01).
Relativamente al secondo profilo, poi, si è affermato che, siccome la fattura deve essere emessa in duplice esemplare, il rinvenimento di uno di essi presso il terzo destinatario dell’atto può far desumere che il mancato rinvenimento dell’altra copia presso l’emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento (così Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, Vitali, Rv. 274862-01).
2.2. Per quanto concerne il profilo della colpevolezza, ferma restando la necessità dell’esistenza del dolo specifico, esplicitamente richiesto dall’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, è fuori discussione che l’accertamento può avvenire anche in via indiziaria.
In particolare, secondo un principio più volte affermato e mai contrastato in giurisprudenza, l‘accertamento del dolo specifico necessario per la sussistenza del delitto in questione presuppone la prova della produzione di reddito e del volume di affari, che può desumersi, in base a norme di comune esperienza, dal fatto che l’agente sia titolare di un’attività commerciale (così Sez. 3, n. 51836 del 03/10/2018, M., Rv. 274110-01, e Sez.3, n. 20786 del 18/04/2002, Russo, Rv. 221616-01).
2.3. Tanto premesso, può ritenersi che, nella specie, implicitamente, ma chiaramente, la sentenza impugnata abbia indicato perché deve ritenersi sussistente il dolo specifico.
Ed infatti, le sentenze di merito hanno concordemente evidenziato che la ditta di cui era legale rappresentante l’imputata ha intrattenuto relazioni commerciali con più operatori economici sia nel 2010, sia nel 2011. Risulta, inoltre, che l’imputata, in sede di verifica fiscale, ha esibito solo alcune fatture, non ha indicato dove le altre potessero essere state conservate e non ha riferito delle operazioni commerciali svolte, sicché è stato necessario effettuare controlli incrociati attraverso appositi questionari; anzi, almeno in un caso, puntualmente indicato dalla sentenza di primo grado, l’accertamento è stato difficoltoso per la perdita della documentazione anche da parte dell’altra società a causa di un alluvione.
Gli elementi appena indicati rendono ragionevole la conclusione della Corte d’appello, implicita, ma inequivoca, secondo la quale la condotta di occultamento o distruzione delle fatture non rinvenute, accertata dai giudici di merito e non contestata nel ricorso, sia stata posta in essere «al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto», così come richiesto dall’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000.
3. Alla infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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