CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 28575 depositata il 2 luglio 2019
Reati tributari – Confisca per equivalente – Sentenza non definitiva di annullamento della cartella esattoriale – Provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria – Conseguente annullamento del provvedimento di sequestro preventivo
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del I. agosto 2018 il Tribunale di Monza, quale Giudice del riesame delle misure cautelari reali e pronunciando in sede di rinvio, ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo emesso l’8 novembre 2016 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale nella parte relativa al reato di cui all’art. 3 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (capo a di provvisoria incolpazione), rideterminando in euro 1.835.295,00 l’entità del profitto sequestrabile direttamente sui conti correnti e comunque sulle provviste di denaro nella titolarità della R. Grand Hotel s.r.l., nonché, in caso di incapienza di quest’ultima, sui beni, denari ovvero altre utilità facenti capo alla controllante F.I. s.r.l. e ai soci/amministratori R.B., E.C. e G.M.
2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione con tre motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo è stata lamentata la violazione dell’art. 627 comma 3 cod. proc. pen., nonché mancanza di motivazione in relazione all’esigenza di valutare l’incidenza – segnalata dalla Corte di legittimità in sede di annullamento della precedente ordinanza – delle decisioni dei Giudici tributari che avevano escluso la sussistenza della pretesa fiscale.
In particolare, i ricorrenti hanno dedotto che, sebbene la decisione della Commissione tributaria non avesse il carattere della definitività, rilevante sarebbe stata l’attualità della pretesa tributaria, allo stato venuta meno stante le due decisioni della Commissione provinciale di Milano. Ciò posto, il Tribunale si era limitato ad osservare come la lettura fornita dai Giudici tributari non dovesse essere condivisa, alla luce dei vantaggi fiscali ottenuti da R. s.r.l. come conseguenza della deduzione, quali costi evidenziati nella dichiarazione, dei canoni di affitto; né sarebbero state indicate le ragioni per le quali i vantaggi fiscali ipotizzati avrebbero costituito un illecito penalmente significativo, non essendo stato peraltro effettuato alcuno sforzo motivazionale in ordine ai rapporti tra condotte elusive e condotte evasive, pur essendo stata la questione oggetto del precedente annullamento con rinvio, quanto all’ordinanza del 13 settembre 2017 del medesimo Tribunale.
Il Tribunale del riesame avrebbe dovuto operare un distinguo tra l’incidenza delle decisioni della commissione tributaria sul merito della responsabilità per il reato tributario, e l’incidenza delle medesime disposizioni sul diverso piano della configurabilità di un profitto del reato in assenza di attuale pretesa fiscale, rispettando il principio di autonomia tra procedimenti, di cui all’art. 20 d.lgs. n. 74 cit., ma anche riconoscendo la rilevanza della pronuncia della Commissione tributaria sullo specifico e limitato tema della sussistenza del profitto del reato tributario.
2.2. Col secondo motivo di ricorso è stata dedotta identità di contenuti con la precedente ordinanza già annullata, quanto alla sussistenza dei mezzi fraudolenti.
In specie, il Tribunale del riesame aveva invero collegato la difficoltà di apprezzamento del disegno di frode al fatto che l’accertamento della ineffettività del pagamento dei canoni avrebbe richiesto una complessa attività ricostruttiva del reale contenuto economico dei rapporti tra le due società, disvelato dall’esame congiunto di operazioni apparentemente autonome ed il cui collegamento sarebbe emerso esclusivamente dalla coincidenza temporale e per gli importi delle operazioni. Nella medesima ordinanza, inoltre, si sarebbe precisato come la provvista anticipatamente fornita dalla stessa concedente sarebbe stata rimessa alla controllante F.I. addirittura anche nello stesso giorno, escludendosi dunque la difficoltà di percepirne il significato nell’ambito del momento esecutivo del contratto di affitto di azienda.
2.3. Col terzo motivo è stata dedotta l’errata determinazione dell’ammontare del profitto, atteso che il Tribunale non si era reso conto di dovere procedere all’ulteriore sottrazione di euro 400.000,00, pari all’Iva riguardante l’annualità 2009, stante l’intervenuta prescrizione anche per tale annualità.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato in relazione alla quantificazione del profitto.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.
4.1. In relazione ai primi due motivi di impugnazione, che possono essere esaminati congiuntamente, è stato correttamente rilevato che il profitto, confiscabile anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della Commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015, Lombardi Stronati, Rv. 264789).
Siffatto sgravio, infatti, renderebbe privo di qualsiasi giustificazione “allo stato” (secondo la peculiare natura del giudizio cautelare, necessariamente rebus sic stantibus) il mantenimento del sequestro in assenza dì qualsivoglia “attuale” pretesa erariale, sembrando non esservi infatti nell’attualità nulla da salvaguardare a seguito non solo dell’annullamento degli avvisi di accertamento ma anche del conseguente provvedimento di “sgravio” del debito tributario, ciò che manifesterebbe l’assenza, appunto, attuale, di pretese erariali, rendendo quindi illegittimo il sequestro funzionale alla confisca per equivalente di un profitto, in atto, inesistente (così, in motivazione, Sez. 3 n. 39187 cit.).
E’ noto, al riguardo, che lo sgravio è qualcosa di completamente diverso dall’annullamento della cartella da parte di un giudice o dello stesso agente della riscossione, dal momento che essa proviene dall’ente impositore il quale, in tal modo, formalizza la cancellazione della propria pretesa.
Il provvedimento di sgravio fiscale emesso dall’Agenzia delle Entrate ha invero natura di atto pubblico fidefacente ed è costitutivo dell’effetto di estinzione del debito erariale (Sez. 5, n. 34912 del 07/03/2016, Machì, Rv. 267832), ed in specie non risulta essere intervenuto.
4.1.1. Ciò posto, l’ordinanza impugnata ha fornito adeguata motivazione – così colmando l’apparenza sottolineata da questa Corte con la precedente pronuncia n. 10416 del 2018 – circa le ragioni per le quali le pronunce della Commissione tributaria non dovrebbero esplicare rilievo sul pendente accertamento penale.
4.1.2. Vero è, al riguardo, che dall’esame dello schema delineato (in favore di R. s.r.l.: pagamento del canone d’affitto al soggetto locatore in esito al ricevimento di finanziamento da parte di quest’ultimo, che poi rinunciava alla restituzione dell’erogazione così intervenuta; deduzione del costo dei canoni apparentemente pagati, da parte della società conduttrice, e quindi annotazione di ripetute perdite di esercizio così risultanti in luogo dei redditi effettivamente maturati, nonché crediti d’imposta sulle fatture in tesi pagate alla locatrice; in favore di F.I. s.r.l.: compensazione dei costi per la ristrutturazione della struttura alberghiera locata con i ricavi apparenti dei canoni di affitto; in favore del gruppo familiare di riferimento di entrambe le società: complessiva convenienza fiscale del contratto di affitto, che consentiva risparmio fiscale della controllata affittuaria più alto rispetto al debito così risultante a carico della controllante affittante) l’ordinanza impugnata ha tratto l’esistenza del mezzo fraudolento, rappresentato dall’apparente liceità e legittimità delle operazioni singolarmente apprezzate e non invece valutate in relazione a plurimi periodi d’imposta, laddove in definitiva – solamente all’esito di siffatta operazione interpretativa d’assieme – emergeva che una società non sopportava i costi denunciati, pur a fronte della formale regolarità del contratto di affitto. Né, secondo l’ordinanza impugnata, ciò rientrava nella previsione dello Statuto del contribuente, quanto alla definizione di operazioni che rappresentavano abuso del diritto in quanto prive di sostanza economica e destinate alla sola realizzazione di vantaggi fiscali indebiti.
Al riguardo, infatti, l’istituto dell’abuso del diritto di cui all’art. 10-bis della legge n. 212 del 2000 – che, per effetto della modifica introdotta dall’art. 1 del d.lgs. n. 128 del 2015, esclude ormai la rilevanza penale delle condotte ad esso riconducibili – ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, cosicché esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi (Sez. 3, n. 38016 del 21/04/2017, Ferrari, Rv. 270550; cfr. altresì Sez. 3, n. 410272 del 01/10/2015, Mocali, Rv. 264950).
4.1.3. In definitiva, quindi, la motivazione non può dirsi apparente ed illustra il percorso argomentativo seguito in contrapposizione ai rilievi della Commissione tributaria, tenuto conto della presente sede cautelare e del relativo ambito di cognizione del Giudice di legittimità.
4.2. In relazione invece all’ultimo profilo di censura, in effetti non appare chiarissimo il conteggio formato dall’ordinanza impugnata circa la riduzione dell’importo per il quale deve permanere il vincolo cautelare, atteso il progressivo maturare della prescrizione in relazione alle annualità in contestazione, ed in considerazione del fatto che già con provvedimento del 9 dicembre 2016 il profitto in contestazione era stato recato in euro 2.235.295,00, importo sul quale avrebbero dovuto essere effettuate le successive riduzioni in ragione del decorso del tempo. Mentre al riguardo l’ordinanza impugnata appare avere operato una sola volta.
4.2.1. In proposito, pertanto, ed in adesione alle conformi conclusioni dello stesso Procuratore generale, l’ordinanza impugnata va annullata, con rinvio al Tribunale di Monza, sezione del riesame, invero limitatamente alla determinazione dell’importo del profitto oggetto di sequestro.
5. Il ricorso, alla stregua delle considerazioni che precedono, deve invece essere rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Monza – sezione del riesame – limitatamente alla determinazione dell’importo del profitto oggetto di sequestro.
Rigetta nel resto il ricorso.
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