CORTE di CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 31544 depositata il 20 luglio 2023
Pubblico esercizio – Gestione della struttura – Incidente – Lesioni personali gravi – Fascia protettiva deteriorata – Collaudo annuale – Manutenzione – Responsabilità colposa – Negligenza, imprudenza e imperizia – Commissione comunale di vigilanza – Aggiornamento dell’autorizzazione alla gestione del locale di pubblico spettacolo – Rigetto – le dichiarazioni del soggetto danneggiato dal reato che si sia costituito parte civile possono essere legittimamente poste da sole a fondamento della responsabilità dell’imputato, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, purchè i narrato sia soggetto ad un più rigoroso controllo di attendibilità, opportunamente corroborato dall’indicazione di altri elementi di riscontro
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 3 marzo 2022, la Corte di appello di Firenze ha riformato in parte la sentenza pronunciata il 24 febbraio 2020 dal Tribunale di Lucca che aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile del reato di cui all’articolo 590 c.p., aggravato da violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e l’aveva condannata alla pena di un anno di reclusione subordinando la sospensione condizionale della stessa al pagamento della somma provvisoriamente assegnata sull’ammontare del danno, determinata in Euro 50.000,00. La Corte di appello ha escluso la sussistenza della aggravante di cui all’articolo 590 c.p., comma 3, e, per l’effetto, ha rideterminato la pena in mesi sei di reclusione confermando tutte le altre statuizioni penali e le statuizioni civili della sentenza di primo grado.
2. Con doppia pronuncia di condanna i giudici di merito hanno ritenuto (OMISSIS) responsabile del reato di cui all’articolo 590 c.p., commi 1 e 2, per aver causato, per colpa, a (OMISSIS), che all’epoca dei fatti aveva poco più di cinque anni, lesioni personali gravi (frattura pluriframmentata del processo alveolare del mascellare superiore con avulsione dentaria multipla). Dette lesioni richiesero un intervento chirurgico maxillo-facciale, determinarono una malattia di durata superiore ai quaranta giorni e dalle stesse è derivato l’indebolimento permanente dell’organo della masticazione.
Secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di merito, la minore si procurò le lesioni oggetto del procedimento mentre utilizzava uno scivolo gonfiabile installato nel pubblico esercizio gestito dalla “(OMISSIS)”, società della quale la (OMISSIS) era legale rappresentante. Sulla parte superiore dello scivolo, infatti, era installata una rete di protezione che aveva lo scopo di impedire ai bambini di alzarsi in piedi, ma la stessa era deteriorata e sfilacciata sicchè la bambina, scivolando, rimase impigliata con l’arcata dentale superiore in un filo allentato, procurandosi le lesioni sopra indicate.
Secondo i giudici di merito l’infortunio sarebbe ascrivibile a responsabilità colposa della (OMISSIS) atteso che, quale legale rappresentante della società che gestiva il parco giochi, ella era tenuta alla manutenzione delle attrazioni e ad evitare che le stesse potessero essere fonte di pericolo per gli utenti. I giudici di merito hanno sottolineato inoltre: che l’autorizzazione all’apertura del parco giochi era stata rilasciata dal Comune di Porcari (LU) il 27 dicembre 2011 sulla base di un parere favorevole (con prescrizioni) della Commissione comunale di vigilanza; che lo scivolo gonfiabile sul quale si verificò l’incidente era stato installato nel 2014 in sostituzione di un’altra attrazione e tale variazione non era stata comunicata alla Commissione; che, a causa di ciò, quella installazione (come altre due attrazioni presenti nel parco giochi) non era stata sottoposta al previsto collaudo annuale.
3. Contro la sentenza della Corte di appello ha proposto tempestivo ricorso il difensore dell’imputata. Il ricorso si articola in più motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari alla decisione, come previsto dal Decreto Legislativo 28 luglio 1989, n. 271, articolo 173, comma 1.
3.1. Col primo motivo la ricorrente lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione che ha ritenuto attendibili le dichiarazioni rese da (OMISSIS) e (OMISSIS), genitori della minore, e, sulla base di quelle dichiarazioni, ha illogicamente ritenuto che l’incidente fosse ascrivibile al deterioramento della rete di protezione e non ad un uso inappropriato del gonfiabile da parte della bambina. La difesa osserva che l’accesso dei minori alle attrazioni gonfiabili doveva avvenire (come era chiaramente scritto sui cartelli installati nella struttura) “sotto la supervisione dell’adulto accompagnatore” sicchè la (OMISSIS), che aveva accompagnato la figlia nella struttura, aveva interesse ad “allontanare da sè le responsabilità dell’accaduto”. Sottolinea che, dopo l’incidente, la stessa (OMISSIS) e gli altri genitori lasciarono che i bambini continuassero a giocare sullo scivolo, circostanza che appare in contraddizione con la dinamica dei fatti come ricostruita dai giudici di merito e che la sentenza impugnata avrebbe irragionevolmente sottovalutato.
La difesa della ricorrente osserva inoltre che, con sentenza del 23 giugno 2021 (irrevocabile il 24 gennaio 2022 perchè non impugnata), il Tribunale civile di Lucca ha respinto la domanda risarcitoria avanzata da (OMISSIS) (in proprio e quale legale rappresentante del figlio (OMISSIS)) contro la ” (OMISSIS) s.a.s.” e sostiene che della proposizione di tale azione civile si sarebbe dovuto tenere conto nel valutare l’attendibilità della teste, così come si sarebbe dovuto tenere conto del fatto che la (OMISSIS) e il (OMISSIS) si erano costituiti parti civili in giudizio in proprio e quali esercenti la potestà sulla figlia, (OMISSIS), e sull’altro figlio, (OMISSIS), con ciò dimostrando di avere un concreto interesse alla condanna al fine di soddisfare le proprie pretese risarcitorie.
3.2. Col secondo motivo, la ricorrente deduce manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto il nesso di causalità tra le ipotizzate condotte colpose e l’evento. Si duole, in particolare, che la sentenza impugnata abbia attribuito rilevanza ad alcune condotte (in specie, il posizionamento del gonfiabile a ridosso di una parete in modo da ostruire l’accesso ad un pannello elettrico e l’eliminazione della fascia di protezione, operata in epoca successiva al sinistro) pur avendo esplicitamente riconosciuto che quelle condotte non avevano avuto rilevanza causale nel verificarsi dell’incidente. La difesa sottolinea, inoltre, che è stata illogicamente attribuita rilevanza causale al mancato inserimento del gonfiabile nell’elenco delle attrazioni autorizzate. Rileva, in proposito, che la attrazione era stata collaudata prima della installazione ed era stata certificata conforme alla norma UNI EN 14960. Sottolinea che – come anche la sentenza impugnata riconosce – l’attrazione era stata acquistata nel 2014 ed era corredata di tali certificazioni, oltre che della marcatura CF il che la rendeva idonea all’uso a prescindere dall’autorizzazione della Commissione comunale di vigilanza.
Secondo la difesa, la motivazione della sentenza impugnata è carente anche nella parte in cui attribuisce rilevanza causale all’asserito ammaloramento della fascia protettiva posta sulla sommità dello scivolo. La Corte territoriale, infatti, non avrebbe spiegato come sarebbe possibile che il volto della bambina sia venuto a contatto con un filo asseritamente distaccatosi da una rete posta ad un metro di altezza rispetto allo scivolo e non avrebbe fornito risposta adeguata alle osservazioni del consulente tecnico della difesa, secondo il quale la dedotta sfilacciatura non avrebbe comunque potuto comportare un abbassamento dei fili tale da farvi rimanere impigliato il volto di un bambino che avesse scivolato sdraiato al di sotto degli stessi, sicchè, l’infortunio sarebbe stato reso possibile soltanto “da un uso improprio e sconsiderato della fascia protettiva” da parte della bambina e dal fatto che la minore non era sorvegliata dalla mamma. A questo proposito la difesa sottolinea che nessun obbligo di sorveglianza sussisteva in capo alla (OMISSIS). I bambini, infatti, non potevano accedere alla struttura se non accompagnati da un adulto che doveva anche vigilare sulla loro incolumità.
3.3. Col terzo e quarto motivo, la ricorrente deduce inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, sostiene che la (OMISSIS) sarebbe stata ritenuta responsabile anche per non aver previsto una vigilanza sul corretto uso della attrazione da parte dei minori, ma tale profilo di colpa non era stato contestato nel capo di imputazione sicchè vi sarebbe stata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Questo motivo è articolato anche sotto il profilo della violazione di legge sostanziale. Si osserva, infatti, che nella struttura erano apposti numerosi cartelli con i quali gli accompagnatori dei bambini erano informati della necessità di sorvegliarli per evitare che potessero tenere comportamenti pericolosi per se stessi e per gli altri. La difesa riferisce che, proprio sulla base di queste considerazioni, la richiesta risarcitoria avanzata dalla famiglia della minore nei confronti della ” (OMISSIS) s.a.s.” è stata respinta in sede civile.
3.4. Col quinto motivo, la ricorrente deduce vizi di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio. Osserva che la pena è stata determinata nella misura massima edittale prevista per il reato di lesioni compose gravi senza tenere conto che il danno biologico conseguente alla ricorrenza di lesioni micropermanenti era stato quantificato dallo stesso consulente tecnico della pubblica accusa nella misura del 4%. Secondo la difesa, a ciò deve aggiungersi che l’asserito ammaloramento della fascia di protezione non era nè grave nè evidente, come dimostra il fatto che, inizialmente, si pensò che la bambina si fosse fatta male cadendo, solo in un secondo tempo, si ipotizzò che la dinamica dei fatti fosse quella ritenuta dai giudici di merito, e i bambini continuarono per molte ore ad utilizzare o scivolo senza che nessun altro si facesse male. Alla luce di tali considerazioni, la difesa sostiene che sarebbe manifestamente illogico aver determinato la pena nella misura massima edittale sulla base del ritenuto elevato grado della colpa.
3.5. Col sesto motivo, la difesa deduce manifesta illogicità della motivazione con la quale il beneficio della Sospensione condizionale della pena è Stato subordinato al pagamento della provvisionale (determinata nella misura di Euro 50.000,00). Osserva che l’imputata è incensurata, che non v’è ragione per ritenere che possa commettere reati analoghi (nè i giudici di merito hanno motivato cui punto) e che, a seguite) della pandemia da Covid-19, ha dovuto chiudere la propria attività divenuta poco attrattiva (essendo le strutture gonfiabili maggiormente esposte ai rischi di contagio). Sottolinea che la struttura era regolarmente assicurata e non può essere ascritto all’imputata il mancato accordo risarcitorio tra le persone danneggiate e la compagnia assicuratrice.
3.5. Col settimo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione riguardo alla quantificazione della provvisionale che sarebbe stata determinata in misura eccedente rispetto al danno accertato.
3.6. Con l’ottavo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essersi tenuto conto, nella quantificazione della provvisionale, del concorso di colpa della madre della bambina.
3.7. Col nono e col decimo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per l’ammissione o mancata esclusione della parte civile (OMISSIS) e per la conseguente condanna dell’imputata al risarcimento delle spese legali da questi sostenute. Sostiene che, a fronte di lesioni micropermanenti, il padre della persona offesa non avrebbe potuto far valere in giudizio di aver patito un danno iure proprio, Si duole, inoltre, che il giudice di appello abbia ritenuto di confermare l’importo delle spese legali, liquidate in primo grado in una misura eccessiva.
Considerato in diritto
1. Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento, ad eccezione del sesto, col quale la ricorrente lamenta vizi di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma provvisoriamente assegnata sull’ammontare del danno.
2. Prima di procedere nell’esame dei motivi è utile rammentare che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza la possibilità di verificare il significato probatorio delle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074). I limiti del sindacato della Corte non sono mutati neppure a seguito della formulazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera P); intervenuta a seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di legittimità, infatti, deve verificare che la motivazione della pronuncia sia “effettiva” e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia “manifestamente illogica”; in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; non sia internamente “contraddittoria”, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Pertanto; alla Corte di cassazione non è consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi e più convincenti rispetto a quelli ritenuti dal giudice del merito. Così come non è affatto consentito che, attraverso il richiamo agli “atti del processo”, possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. In altri termini, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre a stessa è, e deve essere, giudice della motivazione (tra tante, Sez. 3, n. 18521 dell’11/01/2018, Ferri, Rv. 273217).
3. Tanto premesso, si deve osservare che i giudici di merito hanno ampiamente motivato sulle ragioni per le quali hanno ritenuto attendibili le dichiarazioni rese dai (OMISSIS) e (OMISSIS) e, più in generale, sulle ragioni che li hanno indotti a ritenere che (OMISSIS) si fosse fatta male rimanendo impigliata in un filo della fascia di protezione sfilacciata e ammalorata. A tal fine la sentenza impugnata e quella di primo grado hanno sottolineato: che deterioramento nella fascia è documentato, oltre che dalle dichiarazioni della (OMISSIS), anche dalle fotografie acquisite agli atti (una delle quali fu scattata certamente prima dell’infortunio perchè nella parte alta dello scivolo è ritratta la bambina); che il medico del pronto soccorso, subito dopo aver visitato la minore, segnalò al padre che le legioni riportate non potevano essere ascritte ad un urto e si trattava di lesioni “da strappo”; che tali evidenze coincidono significativamente col narrato di (OMISSIS) la quale disse di essere rimasta “aggrappata ad una rete”; che, anche il consulente medico legale della difesa ha riconosciuto la compatibilità delle lesioni riportate con la dinamica sopra descritta. Tali motivazioni, complete, coerenti e non manifestamente illogiche, si sottraggono alle censure della ricorrente. I giudici di merito, infatti, hanno sottoposto a vaglio di attendibilità il narrato delle parti civili e hanno sottolineato che le indicazioni da loro fornite erano confermate dalla tipologia delle lesioni, dalle fotografie acquisite e anche dall’anamnesi raccolta dai sanitari che – come risulta a pag. 29 della sentenza impugnata – recita testualmente: “scendendo da uno scivolo andava a sbattere il volto contro una rete e restava agganciata a questa con i denti anteriori”. Si deve ricordare allora che, per giurisprudenza costante, “le dichiarazioni del soggetto danneggiato dal reato che si sia costituito parte civile possono essere legittimamente poste da sole a fondamento della responsabilità dell’imputato, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, purchè i narrato sia soggetto ad un più rigoroso controllo di attendibilità, opportunamente corroborato dall’indicazione di altri elementi di riscontro” (Sez. 4, n. 410 del 09/11/2021, dep. 2022, Aramu, Rv. 282558; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Ciotti, Rv. 279070; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv, 275312).
La circostanza – sulla quale si insiste nel ricorso – che, dopo l’incidente, i genitori dei bambini li abbiano lasciati giocare sulla struttura è stata spiegata dai giudici di merito, con motivazione non illogica nè contraddittoria, rilevando che, in un primo momento, e lesioni riportate dalla bambina furono attribuite ad una caduta e, solo quando i medici parlarono di una “lesione da strappo”, ci si interrogò sul significato delle affermazioni della minore che aveva raccontato di essere rimasta impigliata in una rete.
4. Non hanno maggior pregio i motivi di ricorso con i quali la difesa lamenta vizi di motivazione per la ritenuta sussistenza del nesso causale tra le ipotizzate condotte colpose e l’evento. Basta in proposito osservare che la ricostruzione dell’evento nei termini sopra riportati, rende evidente il nesso causale tra l’incidente e il deterioramento della fascia di protezione e, con argomentazione non certo illogica, tale deterioramento è stato ascritto a difetto di manutenzione.
Non vale ad escludere la negligenza, imprudenza e imperizia dell’imputata la circostanza che l’ammaloramento della rete di protezione non fosse così evidente e non sia stato immediatamente rilevato dagli adulti presenti, pur informati dell’incidente. Gli utenti di una struttura ricreativa, infatti, possono legittimamente fare affidamento sul corretto operato dei titolari della stessa e non sono certo tenuti a verificare con attenzione che le attrezzature messe a loro disposizione siano dotate nei necessari requisiti di sicurezza, nè è loro compito accertarsi che quelle strutture siano state oggetto di una manutenzione idonea a garantire il perdurante rispetto di quei requisiti. Come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla posizione (per molti versi analoga) dei titolari di strutture sportive, tale obbligo incombe invece su chi ha la gestione della struttura. Si è affermato, infatti, che “il responsabile di una società sportiva, che ha la disponibilità di impianti ed attrezzature per l’esercizio delle attività e discipline sportive, è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell’articolo 40 c.p., comma 2, ed è tenuto, anche per il disposto di cui all’articolo 2051 c.c., a garantire l’incolumità fisica degli utenti e a adottare quelle cautele idonee ad impedire il superamento dei limiti di rischio connaturati alla normale pratica sportiva, con la conseguente affermazione del nesso di causalità tra l’omessa adozione di dette cautele e l’evento lesivo occorso ad un utente dell’impianto sportivo” (Sez. 4, n. 22037 del 21/04/2015, Muraca, Rv. 263823; Sez. 4, n. 18798 del 20/09/2011, dep. 2012, Restelli, Rv. 253918).
A ciò deve aggiungersi che la gestione di un parco giochi destinato a bambini comporta, per sua natura, la rilevante possibilità del verificarsi di un danno e richiede quindi l’uso di particolare diligenza e prudenza, sia nel predisporre le installazioni, che nel sottoporle a manutenzione. Ed invero, “in tema di colpa omissiva, l’obbligo giuridico di attivarsi gravante sull’agente può originare anche dall’esercizio di attività pericolose, dovendosi intendere per tali non solo quelle così identificate dalle leggi di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, bensì ogni attività che, per sua stessa natura o per le caratteristiche ci esercizio, comporti una rilevante possibilità del verificarsi di un danno” (Sez. 4, n. 26239 del 19/03/2013, Gharby, Rv. 255697; Sez. 4, n. 39619 dell’11/07/2007, Bosticco, Rv. 237833). La sentenza impugnata sottolinea in proposito (pag. 32), che un uso non pienamente corretto della attrazione era concretamente prevedibile atteso che si trattava di una attrazione destinata a bambini di età compresa tra i tre e i dodici anni e gli adulti potevano al massimo sorvegliare da lontano i minori senza poter salire con loro sul gonfiabile, sicchè un puntuale adempimento dell’obbligo di manutenzione, funzionale a garantire la sicurezza della struttura, era a maggior ragione doveroso.
5. Secondo la sentenza impugnata (pag. 33 e ss.), la circostanza che il gonfiabile fosse stato acquistato nel 2014 per sostituire una attrazione preesistente e tale sostituzione non fosse stata comunicata alla Commissione comunale di vigilanza ai fini dell’aggiornamento dell’autorizzazione alla gestione del locale di pubblico spettacolo (rilasciata nel dicembre 2011), ha avuto rilevanza causale nel verificarsi dell’evento. Secondo i giudici di merito, se le competenti autorità fossero state messe in condizione di svolgere le proprie funzioni di “valutazione autorizzazione, collaudo e controllo” avrebbero potuto verificare l’adeguatezza delle attività di manutenzione e conservazione delle installazioni, a difesa censura queste affermazioni con argomentazioni pertinenti. Osserva, infatti, che, quando fu acquistato, lo scivolo gonfiabile era corredato delle necessarie certificazioni, risultava conforme alle norme UNI ed era marchiato CE, sicchè la Commissione comunale non avrebbe avuto nulla da eccepire sulla sostituzione e non v’è certezza che, se la condotta omessa fosse stata tenuta, l’evento non si sarebbe verificato.
Si deve osservare, tuttavia, che i giudici di merito hanno dato rilievo a questa omissione non solo, e non tanto, sotto il profilo della qua rilevanza causale, bensì nel valutare il grado della colpa. Hanno sottolineato infatti che, la circostanza che la sostituzione della attrazione non sia stata comunicata agli organi di controllo, dimostra che la gestione del parco giochi era, complessivamente, poco attenta e puntuale. Nello stesso senso sono state valorizzate dai giudici di merito altre condotte la cui rilevanza causale è stata esclusa in termini espliciti. Si è osservato, infatti, che il gonfiabile era stato posizionato a ridosso di una parete e copriva pericolosamente un pannello elettrico e che, dopo l’incidente, la fascia di protezione ammalorata non fu riparata e sostituita, ma, più semplicemente, eliminata. Secondo la Corte territoriale tale comportamento, complessivamente valutato, è sintomatico di grave negligenza e imprudenza nella gestione di una struttura ricreativa intrinsecamente pericolosa e utilizzata da una “utenza particolarmente vulnerabile” costituita da bambini tra i tre e i dodici anni di età. A questo proposito la sentenza impugnata sottolinea che, al momento dell’acquisto, il gonfiabile era corredato di un manuale contenente “specifiche, puntuali e dettagliate regole di utilizzo ed impego, elaborate proprio al fine di evitare possibili danni a persone o cose” e ciò avrebbe dovuto indurre l’imputata “a prestare rigorosa osservanza alle disposizioni vigenti in tema di corretta conservazione e manutenzione del gonfiabile e della fascia/rete di protezione, proprio per prevenire danni ai minori, così da offrire una struttura nelle prescritte e necessarie condizioni di conservazione e manutenzione” (pag. 42 della motivazione).
6. Quanto sin qui esposto porta a concludere che la decisione assunta non è censurabile nè sotto il profilo dell’identificazione del rischio concretizzatosi (rischio che una corretta manutenzione della struttura era evidentemente volto a prevenire), nè per quanto riguarda le regole cautelari applicabili. Neppure è censurabile, perchè coerente con le emergenze istruttorie, l’identificazione della condotta alternativa doverosa, individuata dalle sentenze di merito nella accorta gestione di una attività ricreativa potenzialmente pericolosa e nella attenta manutenzione delle attrazioni messe a disposizione degli utenti.
Il frequente riferimento a condotte negligenti o imprudenti prive di rilevanza causale rispetto all’evento non è censurabile nella misura in cui tali condotte, concomitanti, precedenti o successive al verificarsi del danno, sono state valutate rilevanti ai fini della determinazione dell’entità della pena. Tale operazione è infatti è doverosa ai sensi dell’articolo 133 c.p..
7. Non hanno pregio il terzo e il quarto motivo di ricorso col quale la difesa sostiene che la (OMISSIS) è stata ritenuta responsabile della violazione dell’articolo 590 c.p., commi 1 e 2 anche per non aver vigilato sul corretto uso dell’attrazione da parte dei bambini. La sentenza impugnata, infatti, ha escluso in termini espliciti (pag. 42 della motivazione) che possa essere ascritto all’imputata di “non aver disposto che un operatore sorvegliasse i bambini durante l’utilizzo dell’attrazione” e ha ricordato a tal fine che tale profilo di colpa non era stato contestato nel capo di imputazione. La Corte territoriale ha affermato, invece, che l’evento lesivo fu determinata “dallo stato di cattiva manutenzione e conservazione (…) della parte del gonfiabile interessata dal sinistro, ovverossia la fascia di sicurezza ammalorata e completamente sfilacciata” (così, testualmente, pagg. 42 e 43 della motivazione) e ha sottolineato che una tale condotta rende “non decisiva a discolpa (…) la concomitante posizione di garanzia sulla minore in capo alla madre”.
8. Il quinto motivo di ricorso riguarda il trattamento sanzionatorio. La difesa si duole che la pena sia stata determinata nella misura di mesi sei di reclusione, corrispondente al massimo edittale previsto per il reato di cui all’articolo 590 c.p., commi 1 e 2. La Corte territoriale ha motivato questa scelta facendo riferimento alla particolare negligenza e imprudenza dimostrata dall’imputata nella gestione della struttura, al grado elevato della colpa, alla esposizione a pericolo di un numero elevato di bambini e alla gravità delle conseguenze lesive derivate dalla omessa manutenzione della attrazione. Ha ritenuto che l’incensuratezza non fosse da sè sola sufficiente a determinare una attenuazione della pena. Ha sottolineato: che nessun concorso di colpa della persona offesa può essere ipotizzato in questo caso; che una struttura ludica destinata a bambini dovrebbe essere mantenuta in modo da prevenire situazioni di pericolo; che, ne caso di specie, la situazione di pericolo fu determinata proprio da un difetto di manutenzione; che il pericolo concretizzatosi non sarebbe sorto se la (OMISSIS) avesse adempiuto ai propri obblighi. La motivazione è congrua e non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità. Nel confutarla la difesa osserva che lo stesso consulente del pubblico ministero ha parlato di “lesioni micropermanenti assestatesi in misura di un danno biologico pari al 4%”, ma trascura che, come accertato in giudizio, le lesioni determinarono, non solo una malattia durata più di 40 giorni, ma anche l’indebolimento permanente dell’organo della masticazione. La ricorrente sottolinea, inoltre, che l’ammaloramento della rete di protezione non era evidente e non fu notato dai genitori dei bambini; ma tale circostanza non può avere rilievo atteso che, a differenza della (OMISSIS), gli utenti della struttura non erano tenuti a verificarne le condizioni e potevano fare affidamento su corretto comportamento del gestore. Non è censurabile, inoltre, come già chiarito, l’aver tenuto conto, ai fini della determinazione della pena, di comportamenti non causalmente rilevanti rispetto all’evento, ma significativi di una gestione dell’attività nel suo complesso negligente e imprudente.
9. Col sesto motivo di ricorso la difesa ha dedotto manifesta illogicità della motivazione con la quale il beneficio della sospensione condizionale della pena è stato subordinato al pagamento della provvisionale (determinata nella misura di Euro 50.000,00). Il motivo è fondato e merita accoglimento.
Secondo la sentenza impugnata (pag. 48 della motivazione), un tale adempimento non è “eccessivo, nè oltremodo gravoso, nè risulta superiore alle capacità economiche dell’appellante, tenuto conto dell’attività economica svolta dall’imputata (…) e del significativo tempo trascorso dal fatto”. La Corte territoriale, però, non ha chiarito sulla base di quali elementi l’imputata sia stata ritenuta in grado di far fronte al pagamento della somma provvisoriamente liquidata sull’ammontare del danno e non ha spiegato perchè e sue capacità economiche siano state valutate adeguate allo scopo.
Si deve osservare allora che, secondo un indirizzo giurisprudenziale che il Collegio ritiene di dover condividere, “il giudice che intende subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena all’adempimento dell’obbligo risarcitorio (nella specie, al pagamento della provvisionale liquidata ex articolo 539 c.p.p., comma 2) è tenuto a valutare, motivando anche sommariamente sul punto, le reali condizioni economiche del condannato, onde verificare se lo stesso sia concretamente in grado di effettuare il pagamento entro il termine prefissato” (Sez. 5, n. 46834 del 12/10/2022, V., Rv. 283902; Sez. 5, n. 40041 del 18/06/2019, Peron, Rv. 277604; Sez. 2, n. 22342 del 15/02/2013, Cafagna, Rv. 255665). Come è stato opportunamente sottolineato, infatti, la subordinazione del beneficio a una condizione inesigibile sarebbe in contrasto col principio di eguaglianza di cui all’articolo 3 Cost. e con la funzione rieducativa della pena di cui all’articolo 27 Cost..
Anche IP decisioni che escludono la necessità di un preventivo accertamento delle condizioni economiche dell’imputato, peraltro, riconoscono che per subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, il giudice deve comunque procedere ad un motivato apprezzamento di esse se dagli atti emergono elementi che consentono di dubitare della capacità di soddisfare la condizione imposta (Sez. 6, n. 11142 del 07/02/2023, E., Rv. 284609; Sez. 6, n. 46959 del 19/10/2021, P., Rv. 282348). Nel caso di specie, il ricorrente ha sostenuto che la ” (OMISSIS) s.a.s.” è ad oggi “inattiva e di fatto cessata” e la Corte territoriale non ha motivato in proposito, limitandosi a sostenere che l’imputata “ha già avuto tutto il tempo per raccogliere la somma necessaria per riparare alle gravi conseguenze del proprio grave agito colposo”.
Poichè la motivazione è carente, per questa parte la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
10. Tutti i restanti motivi di ricorso, sono inammissibili.
Quanto all’entità della somma provvisoriamente assegnata sull’ammontare del danno, basta osservare che “in tema di provvisionale, la determinazione (iena somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l’obbligo di espressa motivazione quando l’importo rientri nell’ambito del danno prevedibile” (Sez. 6, n. 49877 dell’11/11/2009, Blancaflor, Rv. 245701; Sez. 4, n. 20318 del 10/01/2017, Mazzella, Rv. 269882) e che, nel caso in esame, tenuto conto delle conseguenze lesive della condotta e dell’età della persona offesa, la somma di Euro 50.000,00 non può essere ritenuta eccessiva, nè sulla determinazione dell’entità della stessa avrebbe potuto incidere un eventuale concorso di colpa della mamma della minore.
Quanto alla condanna relativa alla rifusione delle spese in favore della parte civile, si rammenta che il relativo capo della sentenza non è ricorribile per Cassazione, sotto il profilo del vizio di motivazione, “se non vengono indicate, anche in modo sommario, le ragioni di illegittimità della liquidazione e la violazione dei limiti tariffari relativi alle attività difensive” (Sez. 6, n. 42543 del 15/09/2016, C., Rv. 268443; Sez. 2, n. 47860 del 14/11/2019 Rv. 277894) sicchè, per questa parte, il ricorso non è autosufficiente.
Non hanno pregio, infine, le doglianze relative alla ammissione o mancata esclusione della parte civile (OMISSIS). Si tratta, invero, del padre della bambina e non è incongruo aver ritenuto che il reato ascritto all’imputata, oltre a ledere direttamente la minore, possa aver provocato danno al genitore, causandogli sofferenza e incidendo sul suo interesse all’integrità psicofisica della figlia.
Per quanto esposto a sentenza impugnata deve essere annullata nella parte in cui ha subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Tutti gli altri motivi di ricorso devono essere respinti. In caso di diffusione del presente provvedimento, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 aggiornato al Decreto Legislativo n. 101 del 2018 dovranno essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi della persona offesa minorenne e, conseguentemente, delle parti civili costituite.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla disposta subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Rigetta il ricorso nel resto.
Visto l’articolo 624 c.p.p. dichiara l’irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità dell’imputata.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 aggiornato al Decreto Legislativo n. 101 del 2018 in quanto imposto dalla legge.