CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 32897 depositata il 6 settembre 2021
Reati tributari – Emissione di fatture per operazioni inesistenti – Frode fiscale – Definizione del processo ex art. 444 cod. proc. pen. – Confisca – Mancata determinazione del profitto del reato – Illegittimità
Ritenuto in fatto
1. Il difensore di G.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza, con motivazione contestuale, emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Gela del 23 settembre 2020 ex art. 444 cod. proc. pen.
Con unico motivo si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione sulla confisca disposta con la sentenza ex art. 444 cod. proc. pen., non oggetto dell’accordo tra le parti, ed in violazione degli artt. 12-bis e 13-bis d.lgs. 74/2000.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato nel senso che segue.
1.1. La sentenza di applicazione della pena è stata emessa nei confronti del ricorrente per i reati ex art. 2, 8 e 11 del d.lgs. 74/2000.
Il giudice, per poter procedere alla confisca ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000, deve in primo luogo determinare, anche ove il processo sia definito ex art. 444 cod. proc. pen., l’entità del profitto suscettibile di confisca.
Con la sentenza impugnata, in violazione di legge, non è stato determinato, l’importo suscettibile di confisca quale profitto in relazione alle imputazioni.
1.2. Va ricordato che, con riferimento al reato ex art. 2 d.lgs. 74/2000, il profitto del reato dichiarativo di frode fiscale, suscettibile di confisca diretta o per equivalente, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non può avere ad oggetto le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione; così Sez. 3, n. 28047 del 20/01/2017, Giani, Rv. 27042901.
1.3. Il profitto del delitto ex art. 8 d. lgs. 74/2000 è costituito, invece, dal prezzo ottenuto per l’emissione delle fatture, cioè dal compenso pattuito o riscosso per eseguire il delitto, che può consistere tanto in un compenso in denaro, come per. lo più accade, o in qualsiasi altra utilità, economicamente valutabile ed immediatamente o indirettamente derivante dalla commissione del reato.
La giurisprudenza ha escluso che il profitto per il soggetto emittente coincida da un lato con il valore complessivo delle fatture emesse per le operazioni inesistenti e dall’altro nel valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle stesse fatture, in quanto il regime derogatorio previsto dall’art. 9 d.lgs. 74/2000 – escludendo la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture per operazioni inesistenti e chi se ne avvale – impedisce l’applicazione in questo caso del principio solidaristico, valido nei soli casi di illecito plurisoggettivo (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 43952 del 2016 Rv. 267925; Sez. 3, n. 42641 del 2013 Rv. 257419, Alonge).
1.4. Quanto invece all’art. 11 del d.lgs. 74/2000, secondo Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11 del d.lgs n. 74 del 2000, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario.
La Corte di Cassazione (cfr. Sez. 3, n. 10214 del 22/01/2015, Chiarolanza, Rv. 262754) ha poi chiarito che il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del soggetto obbligato e, quindi, consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma.
Il profitto pertanto non va individuato nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto (Sez. 3, n. 40534 del 06/05/2015, Trust, Rv. 265036; nello stesso senso Sez. 3, n. 37136 del 2017, Tartaglia).
1.5. Dalla stessa sentenza impugnata risulta che all’imputato è stata applicata la circostanza attenuante ex art. 13-bis d.lgs. 74/2000 che sussiste se i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative ed interessi, siano estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento.
Per quanto qui interessa in relazione alla confisca, non è però specificato se tale integrale pagamento si riferisca ai fatti oggetto delle imputazioni; inoltre, il giudice è tenuto a verificare ed attestare che il pagamento effettuato si riferisca alle imputazioni ed elimini o riduca il profitto dei reati oggetto delle imputazioni.
1.6. Va infatti ribadito il principio per cui, cfr. Sez. 3, n. 28488 del 10/09/2020, D’Angela, Rv. 280014 – 01, in tema di reati tributari, la disposizione di cui all’art.12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, introdotta dal d.lgs. n.158 del 2015, secondo cui la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prezzo del reato «non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro», deve essere intesa nel senso che la confisca – così come il sequestro preventivo ad essa preordinato – può essere adottata anche a fronte dell’impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l’evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito (in motivazione, la Corte ha precisato che il sequestro e la conseguente confisca devono essere conservati fino all’integrale effettivo pagamento della somma evasa, potendo le rate già versate essere considerate solo ai fini della riquantificazione della misura).
2. S’impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Gela, limitatamente alla confisca, dovendo il giudice determinare l’entità del profitto del reati, secondo i principi di diritto prima enucleati; verificare quindi se gli importi versati in esecuzione dell’accordo con l’Agenzia delle Entrate si riferiscano alle imputazioni oggetto della sentenza di patteggiamento; nel caso in cui accerti che le somme versate si riferiscano alle imputazioni ridurre correlativamente l’importo del profitto confiscabile. L’entità del profitto potrebbe, per effetto dei versamenti effettuati, anche ridursi a zero, all’esito dell’accertamento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’omessa quantificazione del profitto confiscabile e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Gela.