Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 38747 depositata il 22 settembre 2023
bancarotta documentale c. d. generica – bancarotta documentale “specifica” – va valutata lacondotto del socio che ha denunciato l’amministratore
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte Appello di Bologna, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Rimini – che aveva riconosciuto S.D. colpevole, in concorso con il socio S.P. (giudicato separatamente), quali legali rappresentanti della D. s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del 24/02/2011, di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo A), ( in essa assorbita la bancarotta documentale semplice contestata sub C), e, quale amministratore unico, dal 20 luglio 2007 fino al fallimento, della predetta società, di aggravamento del dissesto (capo B) – ha dichiarato non doversi procedere in relazione al reato sub C), perché estinto per intervenuta prescrizione, e ha rideterminato sia la pena principale che quelle accessorie fallimentari, confermando, nel resto, la sentenza di primo grado.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, per il tramite dei difensori di fiducia, avvocati P.A. e P.G., svolgendo due motivi.
2.1. Con il primo, vengono denunciati erronea applicazione dell’art. 216 co. 1 L.F. e correlati vizi della motivazione, con riguardo sia all’elemento materiale del reato che a quello psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta documentale sub A).
2.1.1. Sotto il primo profilo, la Corte di appello non avrebbe provato l’indispensabile requisito dell’impedimento alla ricostruzione del volume di affari e del patrimonio sociale, e sarebbe incorsa in travisamento di prove decisive, senza confronto con specifiche deduzioni difensive. Invero – si sostiene – la sentenza impugnata non si è confrontata con quella ( n. 766/2016) emessa all’esito del procedimento per reati fiscali ( dichiarazione infedele per il 2005 e omessa dichiarazione per il 2006), cha ha dato atto “che è stato possibile ricostruire in maniera puntuale la contabilità e l’andamento degli affari della società D. s.r.l.”., e non spiega perché, invece, il curatore non sia riuscito a effettuare tale ricostruzione, in realtà essendosi limitato a un giudizio apodittico, tautologico e contraddittorio, visto che, da una parte, riconosce la presenza di annotazioni dettagliate, e, dall’altra, le taccia di inutilità ai fini ricostruttivi.
Con riguardo poi al periodo successivo al 2007, si lamenta il travisamento della prova, giacchè, non di sottrazione della documentazione contabile si tratterebbe, quanto di omessa totale tenuta della stessa, vista l’inattività della società, conseguente alla cessazione del contratto di affitto di azienda.
2.1.2. Quanto alle doglianze involgenti l’elemento soggettivo, la Corte di appello non avrebbe provato il dolo intenzionale richiesto per la integrazione della bancarotta documentale fraudolenta documentale, così come contestata, non evincibile, per consolidato orientamento giurisprudenziale, dalla sola confusione contabile. In realtà, la sentenza impugnata avrebbe travisato il dato probatorio, dal momento che la ricorrente sporse denuncia solo dopo avere preso consapevolezza, ottenuta la documentazione extracontabile dal coimputato S.P., degli artifici da questi attuati negli anni precedenti. Non è stata spiegata la ragione per la quale la scelta della S.D. di denunciare l’artificio contabile attuato dal coimputato sia stata ritenuta compatibile con la opposta volontà di impedire la contabilizzazione regolare degli incassi, tale da , ravvisarne il dolo intenzionale. L’omessa tenuta della contabilità nel 2007 integra al più il meno grave reato di cui all’art. 217 L.F., in assenza di motivazione sul dolo.
2.2. Analoghi vizi sono denunciati con il secondo motivo, in punto di applicazione e dosimetria della pena. La motivazione con la quale è stata negata la diminuzione per le riconosciute circostanze attenuanti generiche nella massima estensione è solo apparente, e comunque non adeguata alla entità della pena individuata discostandosi fino alla metà dal minimo, adducendo a giustificazione della scelta criteri generici e inconferenti ( la durata del delitto commesso), apodittici ( entità degli introiti all’esito della bancarotta documentale, in quanto comunque riferibili alla amministrazione del S.P., reale dominus fino alla sua rimozione), e irrilevanti ( precedenti penali di varia natura) e come tali non impeditivi del pieno riconoscimento della riduzione integrale consentita, che avrebbe potuto comportare la possibilità di disporre la sospensione condizionale della pena..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ fondato in modo assorbente il primo motivo, e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello.
2. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, la società fallita aveva iniziato l’attività di gestione di bar e lido balneare nel 2005, e – pur essendo affidata a entrambi i soci la amministrazione della società – di fatto, dal marzo 2005, l’amministratore unico è risultato essere il coimputato S.P., fino al 20 luglio 2007, quando, su ricorso della stessa S.D., il Tribunale l’aveva revocato, affidando l’amministrazione della società alla sola odierna ricorrente. Quest’ultima, infatti, insospettita dalla circostanza che il conto economico, alla fine della stagione 2005, si era chiuso con un modesto guadagno, nonostante un enorme afflusso di clientela e un volume di affari di oltre un milione di euro, aveva deciso di affiancare al S.P., per la stagione 2006, una persona di fiducia per la fase della chiusura delle casse e dei conti serali, verificando, in tal modo, che era stata creata una vera e propria contabilità parallela e occulta, rispetto a quella formalmente tenuta, non apparendo, in quest’ultima, gli incassi e i costi effettuati “al nero”; ottenuta dal S.P. la documentazione extracontabile, la ricorrente aveva sporto denuncia alla Procura della Repubblica per appropriazione indebita e chiesto al Tribunale la revoca dell’amministratore S.P.. Le indagini fiscali svolte dalla G.d.F., sulla base, in particolare, della documentazione extracontabile costituita per lo più da annotazioni, che la stessa denunciante consegnò all’atto della denuncia, hanno portato a quantificare induttivamente in circa 500.000 euro c:innui gli introiti non contabilizzati nelle annualità 2005 e 2006. Erano emersi, come detto, anche costi non contabilizzati, relativi al pagamento ‘al nero’ di dipendenti, nonché delle spese di D., di manutenzione del locale e della spiaggia, di sicurezza e animazione. Incassi e spese non riportati nella contabilità ufficiale. Dal 2007 in poi, inoltre, la contabilità non era stata più tenutaJ:
3. La sentenza impugnata, aderendo alla fattispecie formalmente contestata di bancarotta fraudolenta documentale c. d. generica, si è espressamente conformata a principi giurisprudenziali consolidati, esattamente rilevando che l’interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, sicché il delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza(Sez. 5, n. Ì925 del 26/09/2018,dep. 2019,Rv. 274455 -01). Il reato sussiste, cioè, quando cioè la documentazione possa essere ricostruita “aliunde”, poiché la necessità di acquisire i dati documentali presso terzi costituisce riprova che la tenuta dei libri e delle altre scritture contabili era tale da rendere, se non impossibile, quantomeno molto difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari (Sez. 5, n. 21028 del 21/02/2020,Rv. 279346 -01). Nel caso di specie, infatti, il curatore aveva, di sua iniziativa, utilizzato gli accertamenti della G.d.F. e la documentazione da questi rinvenuta, concernente i soli anni 2005 e 2006; d’altronde, la contabilità parallela era costituita da documentazione ritenuta “giuridicamente inesistente”, attestante ricavi in nero per oltre € 500000 per ciascun anno, successivamente regolarizzati per soli € 250.000, e pagamenti in nero, ma non la consistenza patrimoniale della società.
3.1. In ordine all’elemento soggettivo, nella sentenza impugnata, si è precisato che, negli anni 2005 e 2006, l’imputata era perfettamente consapevole che la contabilità non era tenuta in modo da far emergere l’effettiva consistenza della società, essendosi resa conto che libri e scritture contabili non evidenziavano né gli effettivi, ingenti, incassi, né le effettive spese sostenute; allo stesso modo, è stato ravvisato il dolo nella condotta tenuta nel periodo successivo, dal 2007, in cui la società non ha svolto attività e la contabilità non era stata tenuta. Nell’ottica della qualificazione giuridica data ai fatti, la sentenza impugnata ha, quindi, affrontato il tema dell’elemento soggettivo del reato, soffermandosi sulla sussistenza del dolo generico del reato, precisando che la condotta dell’imputata sarebbe stata tenuta con la consapevolezza di non rendere possibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio.
4. La valutazione dei giudici di merito non è, tuttavia, coerente con i dati emergenti dall’istruttoria, come compendiati nella sentenza impugnata: dalla ricostruzione in fatto, la condotta che emerge sembra essere quella sussumibile nella bancarotta documentale per omissione o sottrazione, in tal senso orientando la circostanza, pacificamente emersa, e denunciata dalla stessa ricorrente, che, nella gestione dell’attività sociale, era stata creata, dal coimputato S.P., una contabilità parallela e occulta, rispetto a quella formalmente tenuta, non apparendo, in quest’ultima, gli ingenti incassi maturati negli anni 2005 e 2006 e i costi effettuati “al nero”. Se è così, se, cioè, la condotta che viene in rilievo è l’omessa tenuta di una regolare contabilità, sotto il profilo soggettivo non è più sufficiente il dolo generico – costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che tale condotta rende impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniale della società – dal momento che, come è noto, in relazione a tale fattispecie di delitto, ai fini dell’integrazione della fattispecie, si richiede il dolo specifico. In effetti, il coefficiente soggettivo ricercato in concreto dalla sentenza impugnata non regge al confronto con le connotazioni specifiche della condotta alle quali il Collegio si è richiamato, poiché la Corte d’Appello ha motivato l’attribuzione psicologica del delitto di bancarotta fraudolenta documentale in coerenza con i caratteri del dolo generico di recare pregiudizio ai creditori, argomentando come la condotta dell’imputata abbia di fatto reso impossibile la ricostruzione del movimento degli affari, laddove nei fatti sembra essere emersa una omessa tenuta (ovvero l’occultamento) dei libri e delle scritture sociali, che è fattispecie sorretta dal dolo specifico della finalità di recare pregiudizio ai creditori. Nella giurisprudenza di questa Corte si è da tempo evidenziato che, per la ipotesi c.d. “generale”, descritta nell’ultima parte del comma primo n. 2 dell’art. 216 L.F., la legge prevede solo il dolo generico, consistente nell’intenzione dell’agente di rendere impossibile o estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, mentre il dolo specifico, configurato dalla locuzione ” con lo scopo di recare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori” è richiesto per le ipotesi di c.d. bancarotta documentale “specifica”. Pertanto, per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili previste dall’art. 216, primo comma n. 2 prima parte della legge fallimentare ( a cui viene equiparata la condotta di omessa tenuta, ove si accerti lo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori) è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. Per il consolidato insegnamento di questa Corte, l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili deve essere ricondotta nell’alveo di tipicità dell’art. 216, comma 1, n. 2 Legge Fall., atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d’affari dell’imprenditore, a “fortiori” ha inteso punire anche colui che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell’impresa. A tal fine occorre, però, che l’omessa tenuta della contabilità (al pari di tutte le condotte riferibili alla prima ipotesi) sia sorretta da dolo specifico; è necessario, cioè, accertare che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori, perché altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella – analoga sotto il profilo materiale – di bancarotta semplice documentale prevista dall’art. 217 legge fall. (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, Rv. 252992; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, Rv. 262915; Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, Rv. 279179). Il dolo richiesto per la sussistenza del reato in caso di bancarotta c.d. specifica, non è, dunque, quello generico, sufficiente a supportare la condotta di tenuta fraudolenta, bensì quello specifico che caratterizza il falso contabile per soppressione descritto nella prima parte dell’incriminazione in oggetto.
5. E’, dunque, con riguardo al dolo specifico che la Corte di merito dovrà confrontarsi nel valutare la condotta della S.D., individuando concreti indici di fraudolenza in grado di sorreggere, sul piano inferenziale e in assenza di distrazioni, l’affermazione di colpevolezza della ricorrente che, fino alla fine del 2005, non aveva ancora cognizione della condotta artificiosa pacificamente realizzata dal S.P. – che poi denunciò per appropriazione indebita, dopo avere ricevuto la documentazione extracontabile da questi attivata, consegnandola alla polizia giudiziaria. Dovrà, cioè, risolvere l’apparente contraddizione tra quella che appare come una condotta ( della S.D.) diretta a contrastare il modus operandi del suo socio, vero dominus nella gestione della società, quantomeno con riguardo all’amministrazione economica ( denuncia e messa a disposizione della documentazione contabile, poi utilizzata anche in un altro processo in cui è stato accertato che la contabilità era aderente e consentiva di ricostruire l’andamento), e la responsabilità concorsuale nella bancarotta fraudolenta documentale che le si attribuisce.
6. L’epilogo del presente scrutinio di legittimità è l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio da condursi attenendosi alle coordinate ermeneutiche sopra richiamate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Bologna
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