Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 42497 depositata il 18 ottobre 2023
fatture per operazioni soggettivamente inesistenti – in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza del 21 gennaio 2022 la Corte di appello di Firenze, in accoglimento dell’appello della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca, ha riformato l’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Lucca il 6 giugno 2019, con la formula «perché il fatto non costituisce reato», ed ha condannato G.P., riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di un anno e due mesi di reclusione per il reato ex art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000.
Secondo l’imputazione G.P., quale titolare di un laboratorio per l’assemblaggio di capi di vestiario in pelle non dichiarato al fisco, ha istigato e determinato D.M., legale rappresentante della I. Srl ad emettere, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, le fatture per operazioni soggettivamente inesistenti indicate nei capi di imputazione A) e B), con ultime fatture emesse, rispettivamente, il 30 novembre 2012 ed il 30 novembre 2013.
2. Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza.
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di violazione di legge: la sentenza di condanna prescinderebbe dalla sussistenza di un criterio di imputazione soggettiva del dolo specifico; come rilevato dal Tribunale, le condotte poste in essere dal ricorrente avevano una finalità esclusiva, quella di poter continuare l’attività economica di vendita dei capi in pelle con una veste giuridica che lo consentisse, essendo il ricorrente già stato dichiarato fallito e dimissionario da una precedente carica di amministratore.
Grazie all’accordo con il titolare della I., il ricorrente aveva venduto ai suoi clienti la merce, facendo emettere le fatture a tale società; le merci erano state regolarmente pagate dagli acquirenti alla I.. Non sarebbe ravvisabile alcun dolo specifico di favorire l’evasione fiscale di terzi, neanche per dedurre costi fittizi, tenuto conto che dagli accertamenti della Guardia di Finanza non sarebbe emersa alcuna evasione fiscale connessa alle fatturazioni de quo.
2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio della motivazione per l’errata valutazione della responsabilità dell’imputato sulla sussistenza della sua volontà di favorire i terzi con l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Dalle prove assunte in dibattimento risulterebbe che tutte le merci furono regolarmente fatturate e pagate dalla I. e, poi, dagli acquirenti. Le fatture erano rappresentative di operazioni tutte esistenti e, pertanto, non vi sarebbe la prova dell’elemento soggettivo, dell’inesistenza delle operazioni e dell’evasione fiscale, poiché emittente e destinatari avrebbero pagato le relative imposte.
2.3. Il difensore ha depositato le conclusioni scritte, anche in replica alle argomentazioni del Procuratore Generale, ed ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata; si rileva, preliminarmente, quanto al capo a), la maturazione del termine di prescrizione a far data dal 30 novembre 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
1.1. In punto di diritto, va ricordato che la Corte di appello, ove proceda alla condanna, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero, dopo la sentenza di assoluzione emessa in primo grado, è tenuta anche ad un più elevato standard argomentativo, in grado di superare il principio del ragionevole dubbio e la presunzione di innocenza.
Come affermato da Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679 – 01, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato.
Per Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 26978601, dal canone decisorio della condanna oltre ogni ragionevole dubbio deriva che, in mancanza di elementi sopravvenuti, l’eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello deve essere sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze od insufficienze della decisione assolutoria.
Per riformare l’assoluzione, pertanto, non basta una diversa valutazione di pari plausibilità rispetto alla lettura del primo giudice, ma occorre una forza persuasiva superiore, tale da far cadere ogni dubbio ragionevole. E tale forza persuasiva non deriva, ex se, dalla pronuncia del giudice d’appello, che non ha di per sé una autorevolezza maggiore di quella di primo, ma deriva dal metodo orale dell’accertamento, unica via in grado di qualificare la decisione in termini di «certezza della colpevolezza».
Questi principi sono, poi, stati ulteriormente sviluppati da Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 – dep. 2018, Troise, Rv. 27243101, per cui, oltre ad affermare l’applicabilità dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. ai procedimenti svoltisi in primo grado con il giudizio abbreviato, ha ribadito che la «decisione assolutoria del primo giudice è sempre tale da ingenerare la presenza di un dubbio sul reale fondamento dell’accusa. Dubbio che può ragionevolmente essere superato solo attraverso una concreta variazione della base cognitiva utilizzata dal giudice d’appello, unitamente ad una corrispondente “forza persuasiva superiore” della relativa motivazione, quando il meccanismo della rinnovazione debba essere attivato in relazione ad una prova dichiarativa ritenuta decisiva nella prospettiva dell’alternativa decisoria sopra indicata».
Come affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza Troise, nella valutazione degli elementi di prova è lo stretto collegamento fra la regola del «ragionevole dubbio» e il principio costituzionale della presunzione di innocenza ad imporre al giudice d’appello il rispetto di un più elevato standard argomentativo per la riforma di una sentenza assolutoria.
Sez. 3, n. 50351 del 29/10/2019, Morari, Rv. 277616-01, ha ribadito il principio espresso da Sez. 6, n. 22120 del 29/04/2009, Tatone, Rv. 24394601, per cui in tema di motivazione della sentenza di condanna pronunciata in appello in riforma di sentenza assolutoria di primo grado, il giudice ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di assoluzione e di valutare le ulteriori argomentazioni non sviluppate in tale decisione ma comunque dedotte dall’imputato dopo la stessa e prima della sentenza di secondo grado, pronunciandosi altresì sui motivi di impugnazione relativi a violazioni di legge intervenute nel giudizio di primo grado in danno dell’imputato e da questi non dedotte per carenza di interesse, nonché sulle richieste subordinate avanzate dall’imputato stesso in sede di discussione nel giudizio di primo grado.
1.2. Inoltre, va ricordato che il dolo specifico del reato ex art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 non è in re ipsa, posto che la legge prevede esplicitamente che al compimento della condotta tipica l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, si aggiunga la finalità di evasione, la cui realizzazione, però, non è necessaria ai fini della consumazione del reato.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, cfr. Sez. 6, n. 16465 del 06/04/2011, Monghini, Rv. 250007, in tema di dolo, la prova della volontà della commissione del reato è prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca delle concrete circostanze che abbiano connotato l’azione e delle quali deve essere verificata la oggettiva idoneità a cagionare l’evento in base ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati sia singolarmente sia nella loro coordinazione. La prova del dolo si ricava essenzialmente dagli elementi obiettivi del fatto, dalle concrete manifestazioni della condotta.
Pertanto, anche nel caso del delitto ex art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, devono emergere elementi fattuali dimostrativi che l’autore materiale della condotta abbia consapevolmente e volontariamente preordinato l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti (anche) per consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Come affermato da Sez. 3, n. 44449 del 17/09/2015, Colloca, Rv. 265442 – 01, il fine di consentire l’evasione altrui idoneo ad integrare il dolo specifico del reato in oggetto ben può essere accompagnato da altre finalità, anche di carattere personale; la Corte di cassazione ha valorizzato, nel caso esaminato, l’emissione a favore di beneficiario del tutto sconosciuto, di una fattura per operazioni inesistenti da parte di soggetto dotato di partita Iva, emissione adottata in cambio di un illecito compenso del tutto proporzionato rispetto al vantaggio fiscale che l’emissione della fattura avrebbe provocato.
1.3. Il Tribunale ha indicato una serie di elementi di fatto per escludere il dolo specifico: ha ritenuto provato che l’imputato avesse agito al fine esclusivo di ottenere una veste giuridica per continuare a svolgere l’attività economica, non per favorire l’evasione di terzi, in quanto era stato dichiarato fallito, era stato già condannato per bancarotta fraudolenta, si era dimesso da una precedente carica di amministratore, non riusciva ad aprire un conto corrente bancario; la I. s.r.l., formale emittente le fatture, aveva pagato le imposte.
1.4. La Corte di appello, nell’accogliere l’impugnazione del Pubblico ministero, non ha indicato alcun elemento di fatto per ritenere provato il dolo specifico di favorire l’evasione dei terzi.
Si afferma apoditticamente che l’emissione delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti avrebbe consentito a terzi di dedurre, illegittimamente, i costi, in linea generale ed astratta, senza alcuna analisi specifica dei fatti ricostruiti in primo grado.
Inoltre, l’appello non si fonda su prove non valutate dal Tribunale ma esclusivamente sul dato normativo; sull’art. 21 d.P.R. n.633 del 1972 che, però, si riferisce all’emittente della fattura per l’operazione inesistente il quale, in base a tale norma, è tenuto a pagare ugualmente l’Iva secondo quanto riportato nella fattura.
Che il ricorrente abbia agito al fine specifico di fornire fatture, per quanto soggettivamente false, per scaricare costi indebiti ex lege – è una congettura, una deduzione sfornita dell’indicazione delle prove a sostegno, soprattutto a fronte degli elementi di prova indicati in primo grado, sull’effettivo pagamento delle fatture e delle relative imposte.
In sostanza, mentre l’assoluzione si fonda sull’indicazione di una serie di circostanze di fatto, la condanna si fonda su una base cognitiva del giudice di appello che non è mutata, sull’assenza di elementi di prova a sostegno della condanna e su una lettura errata del dato normativo.
Sussiste, pertanto, il dedotto vizio della motivazione.
2. Come correttamente rilevato dal ricorrente, la cui richiesta deve essere accolta, il reato relativo alle fatture emesse nel 2012 è estinto per prescrizione. Il reato risulta commesso il 30 novembre 2012; al termine massimo di prescrizione di 10 anni, devono aggiungersi 49 giorni di sospensione del termine, come indicato nella sentenza di primo grado. Il reato si è estinto per prescrizione il 18 gennaio 2023′:
2.1. La sentenza impugnata va annullata senza rinvio, perché il reato commesso il 30 novembre 2012 di cui al capo a) è estinto per prescrizione.
Va ricordato (cfr. Sez. 3, n. 35180 del 23/05/2017, Natale, in motivazione) che in presenza di una causa di estinzione del reato non sono rilevabili in cassazione vizi di motivazione della sentenza, perché l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l’obbligo della immediata declaratoria di proscioglimento per l’intervenuta estinzione del reato, stabilito dall’art. 129 cod. proc. pen.
2.2. La sentenza impugnata deve, invece, essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, sussistendo il dedotto vizio della motivazione in relazione alle fatture emesse nel 2013, oggetto del capo b), il cui termine di prescrizione decorrerà il 18 gennaio 2014.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al capo a) perché il reato è estinto per prescrizione.
Annulla la sentenza impugnata in relazione al capo b) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
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