Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 44515 depositata il 31 ottobre 2019

reati tributari – ‘omesso pagamento dell’IVA

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 4 ottobre 2018 la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza del 1° dicembre 2014 del Tribunale di Rieti pronunciata a carico di SG, ha ridotto ad anni uno la durata delle pene accessorie, relative all’incapacità di contrattare con la Pubblica amministrazione e all’interdizione dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria, eliminando la subordinazione della sospensione condizionale della pena all’estinzione del debito tributario e confermando nel resto la sentenza impugnata, in forza della quale l’imputato, quale legale rappresentante della s.r.l. I.S., era stato condannato alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione per il reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, stante l’omesso pagamento dell’imposta sul valore aggiunto relativamente all’annualità 2010.

2. Avverso il predetto provvedimento è stato proposto ricorso per cassazione con tre motivi di impugnazione.

2.1. Col primo motivo il ricorrente ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla dedotta carenza dell’elemento soggettivo del reato. Era stata infatti adoperata ogni possibile risorsa al fine di non incorrere nell’illecito contestato, tramite il pagamento dei dipendenti, la salvaguardia della prosecuzione aziendale, nonché l’adesione alle procedure conciliative per il pagamento del debito all’erario, al più potendosi ascrivere all’imputato una condotta negligente, estranea peraltro alla volontà di non adempiere.

In specie il ricorrente aveva fornito prova della non imputabilità della crisi di liquidità nonché dell’impossibilità di fronteggiare la crisi tramite il ricorso a misure anche sfavorevoli.

Al contrario, il provvedimento impugnato aveva fatto ricorso a clausole di stile, con elusione dei dati processuali.

2.2. Col secondo motivo, avuto riguardo alla mancata esclusione delle sanzioni accessorie ed all’omesso riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 13-bis d.lgs. 74 cit., atteso che il debito non era integralmente estinto al momento della dichiarazione di apertura del dibattimento, il ricorrente ha osservato che era stata provata l’adesione alla procedura conciliativa con rateizzazione della somma dovuta, mentre il pagamento del dovuto era ancora in corso.

In ragione di ciò, andava disposta la riduzione alla metà della pena inflitta, nonché la non applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 12.

2.3. Col terzo motivo è stata invece dedotta la mancata motivazione al riguardo, dal momento che il provvedimento impugnato si era limitato a sostenere la non condivisibilità dell’esegesi normativa proposta dall’appellante, così fornendo una mera apparenza di motivazione.

3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato.

4.1. In relazione al primo motivo di censura, non vi è naturalmente questione circa il mancato tempestivo pagamento dell’imposta.

Il ricorrente ha complessivamente ribadito che la situazione di crisi aziendale, dovuta altresì alla mancata riscossione di ingenti crediti, non gli aveva consentito di adempiere nei tempi dovuti agli obblighi contributivi; con ciò prefigurandosi, da un lato, una situazione di forza maggiore idonea ad escludere l’attribuibilità della condotta omissiva all’imputato e, dall’altro lato, a ravvisare il difetto del prescritto coefficiente psicologico. Secondo la previsione contenuta nell’art. 45 cod. pen., infatti, “non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore”.

4.1.1. Ciò posto, è assegnata al “caso fortuito” la valenza di una situazione “scusante”, come tale idonea ad escludere l’elemento soggettivo in quanto consistente in un avvenimento “imprevisto e imprevedibile” che si sovrappone alla condotta dell’agente, la quale, conseguentemente, non può, in alcun modo e nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire alla dimensione psichica e soggettiva dell’agente (ex plurimis, Sez. 4, n. 6982 del 19/12/2012, dep. 2013, D’Amico, Rv. 254479); mentre la “forza maggiore” si configura come un evento, naturalistico o umano, che fuoriesca dalla sfera di dominio dell’agente e che sia tale da determinarlo incoercibilmente (vis maior cui resisti non potest) verso la realizzazione di una determinata condotta, attiva od omissiva, la quale, conseguentemente, non può essergli giuridicamente attribuita (in questa direzione Sez. 5, n. 23026 del 3/04/2017, Mastrolia, Rv. 270145). Secondo questa ricostruzione, dunque, la forza maggiore si colloca su un piano distinto e logicamente antecedente rispetto alla configurabilità dell’elemento soggettivo, ovvero nell’ambito delle situazioni in grado di escludere finanche la cd. suitas della condotta.

Ora, secondo la prospettazione difensiva la situazione di crisi di impresa avrebbe impedito, in termini di una assoluta impossibilità, di adempiere agli obblighi nei confronti del Fisco (tra l’altro, in specie, si trattava del dovuto accantonamento di somme di pertinenza pubblica ab origine), impedimento che il giudice di merito avrebbe dovuto apprezzare. Secondo questa impostazione, pertanto, si verserebbe proprio nell’ambito tipico della cd. “forza maggiore” nell’accezione prima delineata.

4.1.2. Ciò ricordato, in fatto deve peraltro escludersi siffatta situazione di impossibilità.

Rappresenta anzitutto circostanza pacifica l’avvenuta erogazione, alla scadenza mensile della relativa obbligazione retributiva, dello stipendio ai dipendenti; segno, evidentemente, che la crisi di liquidità non era affatto assoluta e che, pertanto, l’impresa non si trovava in quella situazione di impossibilità di compiere scelte alternative, ovvero nella condizione di una condotta (omissiva) irresistibilmente coartata verso un determinato risultato o effetto, ossia il mancato pagamento del debito fiscale. Ciò che, pertanto, consente di rilevare la palese insussistenza, nella specie, di una situazione di “forza maggiore”.

Invero la corresponsione, ogni mese, delle retribuzioni, non ha consentito di dimostrare la dedotta situazione di impossibilità di adempimento delle ulteriori obbligazioni pubbliche alla scadenza. Pertanto la condizione di assoluta illiquidità non è stata dimostrata nella sua reale efficienza causale rispetto alla condotta omissiva. Tra l’altro, poi (v. anche infra), è stato anche dato corso all’adesione alle procedure conciliative per il pagamento del debito all’erario.

4.1.3. In particolare, è stato invero precisato (così, riassuntivamente ed anche per gli ulteriori riferimenti, Sez. 3, n. 18501 del 17/07/2014, dep. 2015, Rubino, non mass.) che è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad allo stesso non imputabili. Mentre in ogni caso, ai fini della sussistenza del reato, non è richiesto il fine di evasione, tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto, il dolo del reato in questione essendo integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento anti-doveroso di volontario contrasto con il precetto violato.

4.1.4. In definitiva, quindi, la forza maggiore che esclude la suitas della condotta è la vis cui resisti non potest, a causa della quale l’uomo non agit sed agitur. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, e non può quindi ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente.

In tal modo è stato sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez. 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).

Nei reati omissivi integra pertanto la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856). Sì che:

a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta;

b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità;

c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità;

d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.

4.1.5. Alla stregua dei rilievi che precedono, quindi, nonché dalle stesse emergenze processuali, il ricorrente operò altre scelte imprenditoriali, in ogni caso scegliendo i creditori da soddisfare e comunque disegnando la scaletta dei propri impegni economici secondo necessità aziendale e non secondo gli obblighi di legge. In tal modo collocandosi al di fuori del perimetro della forza maggiore, ed integrando sicuramente l’elemento soggettivo del reato.

D’altronde le vicissitudini lamentate, in relazione ad es. all’andamento del mercato ovvero all’impossibile accesso al credito bancario, appaiono legate all’ineludibile rischio d’impresa (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190; cfr. altresì, ad es., Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128).

4.2. Gli ulteriori due motivi possono essere esaminati congiuntamente. Al riguardo, l’art. 13, comma 1, d.lgs. 74 del 2000 prevede che “1. i reati di cui agli articoli 10-bis, /O-ter e /O-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso”. Del pari, l’art. 13-bis del medesimo decreto legislativo stabilisce (comma 1) che “Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”; mentre (comma 2) “per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2”.

4.2.1. Al riguardo, questa Corte (con pronuncia espressamente invocata dal ricorrente) ha già avuto modo di osservare che, in forza del combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art. 13-bis cit., condizione per l’applicazione della pena apparentemente per tutti i delitti tributari contemplati dal d.lgs. n. 74 del 2000 verrebbe ad essere rappresentata dall’intervenuto integrale pagamento del debito, delle sanzioni e degli interessi nonché dal ravvedimento operoso…Una siffatta lettura appare tuttavia contraddetta dalla coesistenza, all’interno dello stesso decreto, dell’art. 13, comma 1 (non a caso espressamente richiamato dalla parte finale del comma 2 dell’art. 13-bis) che, all’evidente fine di restringere il proprio ambito di applicabilità, prevede che i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non siano punibili se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

Proprio tale coesistenza significa infatti che, rappresentando il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento (ovvero entro lo stesso termine ultimo previsto per richiedere il rito speciale), in via radicale e pregiudiziale, causa di non punibilità dei reati ex artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, lo stesso non può logicamente, allo stesso tempo, per queste stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili. Sicché…o l’imputato provvede, entro l’apertura del dibattimento, al pagamento del debito, in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità di uno dei reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10- quater, ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l’applicazione della pena per i medesimi reati; e tale alternativa è, a ben vedere, implicitamente condensata nella clausola di salvezza contenuta, come appena detto sopra, nella parte finale dell’art. 13-bis laddove in particolare lo stesso richiama il contenuto dell’art. 13 comma 1 cit. (così, in motivazione, Sez. 3, n. 38684 del 12/04/2018, Incerti, Rv. 273607).

In relazione pertanto al delitto di omesso versamento dell’IVA, l’estinzione dei debiti tributari mediante integrale pagamento, da effettuarsi prima dell’apertura del dibattimento, non costituisce presupposto di legittimità del patteggiamento ai sensi dell’art. 13-bis cit., in quanto l’art. 13, comma 1 configura detto comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del medesimo decreto e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili.

4.2.2. Ciò ricordato, in specie il ricorrente non ha provveduto all’integrale corresponsione del dovuto ma ha solamente prestato adesione alla rateizzazione delle somme di pertinenza dell’Erario. Pertanto egli si trovava al di fuori delle specifiche ipotesi di non punibilità di cui all’art. 13, comma 1, cit. (non essendo stata neppure avanzata alcuna richiesta di termine per il pagamento, di cui all’art. 13, comma 3), ed in ogni caso – stante il difetto di pagamento ed in mancanza di specifica previsione – la stessa ipotesi di cui all’art. 13-bis, comma 1 è estranea.

In altre parole, l’estinzione del debito tributario non può al contempo rappresentare causa di non punibilità (invece stabilita per i delitti specificamente indicati all’art. 13, comma 1) e di applicazione della speciale attenuante (invece prevista per gli altri delitti di cui al decreto legislativo cit.).

In ogni caso, quindi, come avrebbe potuto richiedersi l’applicazione della pena su richiesta stante il mancato pagamento, così non vi è diritto ad alcuna speciale attenuante, laddove comunque la particolare situazione del ricorrente era stata già tenuta presente mediante il riconoscimento delle attenuanti generiche.

Peraltro la mera adesione all’accertamento – quasi come invocata novazione del debito – di per sé non può integrare la speciale causa di non punibilità, atteso che al più questa Corte ha osservato che siffatta causa di non punibilità, di cui alla norma cit. siccome modificata ad opera del decreto legislativo n. 158 del 2015, trova applicazione ai fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore e ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 158 cit., anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il dibattimento di primo grado se i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e interessi, risultano essere stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche se a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previsto dalle norme tributarie (Sez. 3, n. 30139 del 12/04/2017, Fregolent, Rv. 270464; così anche Sez. 3, n. 15237 del 01/02/2017, Volanti, Rv. 269653). Laddove invece anche l’attenuante speciale del pagamento del debito tributario, prevista dall’art. 13 nella sua pregressa formulazione, non era applicabile in caso di adesione all’accertamento, atteso che il suo riconoscimento era comunque subordinato all’integrale estinzione dell’obbligazione tributaria, mediante il pagamento anche in caso di espletamento delle speciali procedure conciliative previste dalla normativa fiscale (così Sez. 3, n. 26464 del 19/02/2014, Manzoni, Rv. 259299; Sez. 3, n. 11352 del 10/02/2015, Murari, Rv. 262784).

4.3. In conclusione, pertanto, anche in esito alla rettifica della motivazione siccome resa dalla Corte territoriale (che in effetti non ha provveduto alla puntuale distinzione tra le ipotesi di cui agli artt. 13 e 13-bis citt., sovrapponendo attenuante speciale e causa di non punibilità), i motivi di impugnazione non possono trovare accoglimento.

5. Ne consegue il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.