CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 4464 depositata il 9 febbraio 2022
Reati tributari – Crediti IVA inesistenti – Indebita compensazione ex art. 10-quater del D.Lgs n. 74 del 2000 – Responsabilità – Elemento soggettivo
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza del 19 aprile 2021 la Corte d’Appello di Genova ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Genova ad A.T. il 19 luglio 2019 alla pena di un anno di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche, per il delitto ex art. 10-quater, comma 2, d.lgs. 274/2000 perché, quale amministratore delegato della società P.S. s.r.l., non versò le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti IVA inesistenti per l’importo complessivo di € 68.168,43. Il Tribunale ha altresì disposto la confisca del profitto ed ha applicato le pene accessorie ex art. 12 d.lgs. 274/2000.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato.
2.1. Con il primo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 10-quater d.lgs. 274/2000.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente dedotto la sussistenza dell’elemento soggettivo dalla sola inesistenza e/o non spettanza dei crediti, senza indicare ulteriori elementi di prova, ed avrebbe omesso di valutare adeguatamente la denuncia-querela presentata dall’imputato per appropriazione indebita e le dichiarazioni della teste K.S.
La sentenza avrebbe dato atto dell’incarico affidato ai professionisti, dell’esistenza della denuncia per il reato di appropriazione indebita per il mancato versamento degli importi consegnati per il pagamento delle imposte e della falsità delle ricevute di pagamento attestanti l’assolvimento di tali oneri ma non avrebbe valutato tali elementi di prova per escludere l’elemento soggettivo del reato.
La sentenza impugnata sarebbe, altresì, in contrasto la giurisprudenza che ha escluso l’elemento soggettivo ove vi sia stata l’infedeltà dei professionisti a cui si erano affidati (si cita la sentenza della Corte di cassazione n. 2623/2018).
2.2 Con il secondo motivo si deduce la mancanza di motivazione sull’assenza dell’elemento soggettivo del reato.
La Corte territoriale non avrebbe motivato sulla consapevolezza dell’imputato delle compensazioni indebite e del superamento della soglia di punibilità; la condanna sarebbe fondata solo sull’inesistenza dei crediti portati in compensazione mancherebbe la motivazione sulla rilevanza delle prove acquisite nel giudizio di appello e sulle allegazioni difensive.
2.3 Con il terzo motivo si deduce il vizio della motivazione sulla mancanza di correlazione tra l’infedeltà dei professionisti a cui si era affidato il ricorrente e l’indebita compensazione; la Corte territoriale avrebbe ritenuto che l’interesse dei professionisti non sarebbe consistito nel rappresentare all’imputato l’esenzione dall’IVA delle prestazioni dei sub appalpatori.
Invece, la correlazione sussisterebbe poiché proprio l’errata rappresentazione della realtà effettuata dai commercialisti, attraverso la presentazione di documenti fiscali apparentemente formali, avrebbe determinato il perpetuarsi della situazione di irregolarità fiscale del ricorrente. Il reale interesse dei commercialisti sarebbe consistito non solo nell’atto di appropriazione in sé, ma anche nel rappresentare all’imputato una situazione di apparente regolarità, al fine di ottenere la consegna delle somme di denaro. Pertanto, la motivazione sarebbe manifestamente illogica, in quanto fondata su un’affermazione meramente ipotetica, senza considerare i pagamenti ricevuti dai professionisti da parte di P.S. s.r.l. per la corresponsione delle imposte, poi non effettuata dagli stessi professionisti.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato, sussistendo i vizi della motivazione dedotti al secondo e terzo motivo.
1.1. In punto di diritto, l’elemento soggettivo del reato ex art. 10-quater d.lgs. 74/2000 è il dolo generico; si è affermato, in tema di reato di indebita compensazione di crediti ex art. 10-quater del d.lgs n. 74 del 2000, sotto il profilo soggettivo, che l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco, mentre, nel caso in cui vengano dedotti crediti non spettanti, sebbene certi nella loro esistenza e ammontare, occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che il credito non sia utilizzabile in sede compensativa (Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, dep. 2019, Rv. 275833 – 02).
1.2. Rispetto alle tesi difensiva – volta a fornire la prova contraria per cui le compensazioni erano il frutto dell’attività illecita dei commercialisti a cui si erano rivolti, per altro rinviati a giudizio per il reato di appropriazione indebita – la Corte di appello ha ritenuto che le fatture corrette a penna fossero il frutto dell’inversione contabile prevista dall’art. 17 del d.P.R. 633/1972; nell’appello, però, si contestò che l’IVA non fosse dovuta per la natura delle prestazioni indicate in fattura, ai sensi del comma 6 dell’art. 17 citato, perché relative «alle prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici».
La tesi difensiva ha poi trovato in appello una sua fonte di prova nelle dichiarazioni di K.S., esaminata dalla Corte di appello, che ha riferito che le prestazioni dei subappaltatori erano esenti da IVA e pertanto non era stata indicata nelle fatture tale imposta, poi aggiunta a penna ma non dalla S.P. La verifica sulla natura delle prestazioni non risulta essere stata effettuata.
1.3. Ai fini della valutazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato non risulta essere stato dato alcun valore probatorio alle dichiarazioni di K.S. sulla falsità delle ricevute di pagamento inviate alla «Consulenti aziendali Genova s.a.s.»; tale omissione incide sulla ratio decidendi perché volta a dimostrare che la S.P. inviò delle somme ai consulenti per i pagamenti delle imposte, poi non effettuati.
L’omessa valutazione di tale testimonianza rende la motivazione manifestamente illogica nella parte in cui ha escluso l’interesse dei consulenti a far apparire nella dichiarazione IVA la compensazione con i crediti inesistenti. Se infatti, come sostiene la teste, le somme erano già state versate dalla S.P., l’unico modo per non versarle e poterle trattenere era dichiarare il saldo zero, mediante la compensazione.
2. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Genova.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Genova.
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