CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 46084 depositata il 11 ottobre 2018
Reati tributari – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti – Sequestro preventivo
Ritenuto in fatto
1. È impugnata la ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale del riesame ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli in data 25 luglio 2015, rigettando la richiesta di riesame avanzata dal ricorrente indagato del reato di cui all’articolo 2 decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 per gli anni di imposta 2012 e 2013.
2. Per l’annullamento dell’impugnata ordinanza il ricorrente, tramite il difensore, articola un unico complesso motivo di impugnazione, qui enunciato, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso il ricorrente deduce la violazione di legge dovuta alla mancanza di motivazione, per avere il Tribunale del Riesame, in relazione a specifiche censure sollevate nei motivi di gravame, fornito una motivazione soltanto apparente e completamente carente, in violazione dell’articolo 125, comma 3, del codice di procedura penale.
Sostiene che, in relazione al primo motivo di censura sollevato con l’istanza di riesame, il Tribunale della libertà ha confermato la sussistenza del fumus del reato in contestazione ritenendo sufficiente l’unico accertamento di P.G. svolto presso la “I.&G Srl” nell’anno 2017 senza fornire alcuna motivazione in merito all’obiezione, specificamente sollevata dalla difesa, secondo cui l’assenza di accertamenti presso la ditta dello I. nel periodo intercorrente tra l’anno 2012 ed il 2013 non consentiva di ritenere che a quell’epoca la “I. Srl” non fosse in grado di fornire beni alle ditte acquirenti. Tali accertamenti sarebbero stati dirimenti in punto di fatto ed avrebbero consentito una ricostruzione del fatto posto alla base del provvedimento di sequestro assai più pregnante ed esaustiva e, di conseguenza, avrebbero garantito la possibilità di esprimere un giudizio sulla eventuale sussistenza in capo al S. del fumus del reato ex articolo 2 D.lgs. n. 74 del 2000.
A tal proposito, il Collegio cautelare non avrebbe neppure tenuto conto, incorrendo pertanto nel vizio di violazione di legge denunciato, del fatto che il consulente della difesa aveva rilevato che per una o più fatture, attestanti l’acquisto di materiali portati allo stesso luogo di destinazione, ricevute dalla “I. s.r.l.”, risultava emessa una fattura dalla ditta individuale “S.C.” per lavori realizzati. Tale evidenza consentiva infatti di affermare, a parere del consulente, che nel periodo intercorso tra il 2012 ed il 2013 le operazioni oggetto di fatturazione tra la ditta dello I. e la “S.C.” erano effettivamente esistite.
Infine, sarebbe risultata totalmente assente nel provvedimento impugnato la motivazione circa il tema della inutilizzabilità, eccepita dalla difesa nei motivi di riesame, delle dichiarazioni rese dallo G. I. durante le indagini alla Guardia di Finanza.
Il Gip che aveva emesso la misura cautelare reale genetica aveva, infatti, ritenuto tali dichiarazioni cariche di valenza dimostrativa rispetto al fumus del reato di cui all’articolo 2 d.lgs. n. del 2000 nei confronti della ditta del S., ponendole a base del provvedimento ablativo come elemento fondamentale.
Tralasciando il contenuto di tali dichiarazioni, la difesa aveva eccepito la loro inutilizzabilità innanzitutto perché le stesse non risultavano verbalizzate o comunque perché non risultava in atti depositato alcun verbale che le contenesse.
Inoltre la difesa aveva sostenuto che le dichiarazioni in parola non potessero formare alcun convincimento in fase cautelare poiché, oltre che non compendiate in un apposito verbale, esse erano state rese evidentemente da un coindagato ex articolo 210 del codice di procedura penale e pertanto esigevano una compiuta valutazione attraverso le cautele in punto di attendibilità intrinseca ed estrinseca, previste dai commi 3 e 4 dell’articolo 192 stesso codice.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, per genericità e perché presentato nei casi non consentiti.
2. Secondo l’accertamento compiuto dal Giudice del merito che, vertendo in materia di cautele reali, non è suscettibile di essere sindacato per vizi di motivazione e che è stato comunque compiuto con argomentazioni adeguate e prive di vizi di manifesta illogicità su tutti i punti oggetto dell’impugnazione, è emerso che la falsità delle fatture riportate nelle dichiarazioni dei redditi effettuate dal ricorrente negli anni 2013 e 2014 derivava da una precedente attività investigativa che concerneva la società I.U. srl, della quale G. I. era legale rappresentante.
A seguito dell’espletamento di detta attività, era risultato che quest’ultima società era stata ritenuta una mera scatola vuota, priva di un reale compendio aziendale, atteso che non risultava avere dipendenti, beni strumentali e merci che avrebbero consentito di effettuare la commercializzazione dei prodotti falsamente fatturati in favore di società terze, tra cui anche la ditta individuale del ricorrente.
A tale determinazione si perveniva attraverso le attività investigative poste in essere dalla Guardia di Finanza di Aversa, che, in seguito ad una segnalazione da parte dell’Agenzia delle Entrate di Caserta per l’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi, si recava presso la sede della società per un accertamento più approfondito.
Tuttavia, presso quella che avrebbe dovuto essere la sede legale ed operativa della “I.U. srl” non vi era traccia della società; neppure era presente lo I. che aveva indicato quel luogo come propria residenza. Ulteriori accertamenti erano stati effettuati attraverso le banche dati a disposizione della Guardia di Finanza, dalle quali si apprendeva che la società, benché costituita nel 2006, non aveva mai presentato dichiarazione dei redditi, se non per i periodi di imposta 2006 e 2008. Non risultava neppure avere dipendenti, dal momento che non aveva mai presentato la dichiarazione dei sostituti d’imposta (mod. 770), laddove, invece, il volume di fatture emesse nel corso degli anni presupponevano il possesso di materiali e beni strumentali, sia per le forniture di beni commercializzati che per le prestazioni di servizio, che richiedevano l’utilizzo di manodopera specializzata.
Infine, dall’analisi dello “spesometro integrato” emergeva che, a fronte di fatture di vendita emesse nei periodi di imposta 2012-2013-2014 per circa due milioni di euro, la società non aveva effettuato alcun acquisto.
Era apparso allora evidente che la società “I.U. srl” aveva venduto merci, senza che vi fosse traccia dei relativi acquisti.
Il legale rappresentante della società, G. I., veniva anche convocato per produrre documentazione amministrativa-contabile della società, di cui però non era in possesso, come dallo stesso dichiarato.
Proprio lo I. spiegava, in quella sede, che la società non aveva mai avuto sedi secondarie, dipendenti, collaboratori, beni strumentali, né altri beni destinati alla vendita. Ammetteva, inoltre, di aver rilasciato delle fatture che attestavano prestazioni lavorative in realtà mai effettuate. Menzionava, a tal proposito, le fatture emesse in favore della società “L’Americana srl” che gli erano state richieste da un certo A. a titolo di favore, ottenendo il compenso pari all’1% dell’importo fatturato.
In considerazione di ciò, venivano effettuati accertamenti anche sulle ditte destinatarie delle fatture emesse dalla “I.U. srl”, venendo segnalate otto attività imprenditoriali, tra cui quella del ricorrente G.S..
Con specifico riferimento alla ditta da quest’ultimo rappresentata, controlli incrociati, con le dichiarazioni dei redditi, consentivano di accertare che, nell’anno di imposta 2012, la Sa.Gi. Coperture aveva ricevuto dalla “I.U. srl” ben 89 fatture dell’importo di euro 85.622,00; mentre per l’anno di imposta 2013 risultavano 155 fatture dell’importo complessivo di euro 146.917, tutte concernenti l’acquisto di materiale edile, pagate in contanti. Risultava inoltre che dette fatture erano state regolarmente contabilizzate nel registro IVA ed i relativi importi confluiti nelle dichiarazioni annuali presentante a fini IVA ed imposte Dirette nel 2013 e 2014 (modello Unico 2013 e 2014).
Veniva anche calcolato il risparmio di IVA che aveva comportato l’utilizzo in dichiarazione di tali fatture, pari a euro 40.791,00 – che costituiva l’oggetto del sequestro preventivo.
Sulla scorta degli elementi gravemente indizianti appena menzionati veniva ipotizzato a carico del S. il fumus del reato di cui all’art. 2 D.lgs n. 74 del 2000 e disposto il sequestro preventivo sui beni e sui conti correnti della società fino alla concorrenza del valore dell’imposta evasa.
3. Al cospetto di tali specifici e significativi elementi indizianti, il ricorrente ha omesso di prendere specifica posizione con il ricorso, deducendo pretesi vuoti investigativi del tutto inidonei a destrutturare la motivazione, peraltro non sindacabile in questa sede, dell’ordinanza impugnata, dovendosi ricordare il consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, perché, nei “gravami” sollevati nei confronti delle ordinanze emesse dal tribunale della libertà a seguito di riesame o appello sui provvedimenti che decidono i ricorsi in materia di cautele reali, l’articolo 325, comma 1, del codice di procedura penale espressamente ammette (a differenza dell’articolo 311, comma 1, del codice di procedura penale in materia di impugnazioni avverso le ordinanze cautelari personali) la ricorribilità per cassazione esclusivamente per “violazione di legge”, dovendo intendersi con tale locuzione gli “errores in iudicando” o quelli “in procedendo”, con esclusione, quindi, dei vizi della motivazione (articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale), fatta eccezione per il vizio di mancanza assoluta della motivazione e cioè di quel vizio così radicale da comportare la nullità del provvedimento impugnato, vizio che ricorre quando l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento gravato sia del tutto mancante o comunque apparente perché assolutamente privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692), cosi da rientrare nel vizio di violazione di legge di cui all’articolo 606, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale sotto il profilo dell’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (articolo 125, comma 3, del codice di procedura penale).
Da ciò consegue l’inammissibilità del ricorso per difetto di specificità.
4. Peraltro, quanto all’utilizzabilità delle dichiarazioni auto ed etera accusatorie rese dallo I., il Collegio cautelare ha chiarito che la ritenuta fittizietà della società non era stata desunta esclusivamente dalle sue dichiarazioni, quanto piuttosto da elementi obiettivamente ed autonomamente riscontrati dai militari della Guardia di Finanza, che avevano autonomamente accertato come la società fosse priva di sede operativa, di dipendenti, di beni strumentali che le consentissero di esercitare attività di impresa, né risultava che avesse mai effettuato acquisti di materiale da rivendere a terzi.
Si trattava dunque acquisizioni autosufficienti a radicare il convincimento circa la sussistenza del fumus criminis del reato provvisoriamente contestato.
Né si trattava di una situazione recentemente cristallizzatasi o comunque ristretta al contesto temporale di espletamento della verifica fiscale, trattandosi invece di accertamenti di più ampio raggio, che attenevano all’intera vita della società, dal momento che tutti gli elementi raccolti consentivano univocamente ed esaustivamente di ritenere che detta società, nel corso della sua apparente vita, non aveva mai realmente operato cosicché, una volta accertata la fittizietà della “I.U.”, gli elementi di prova ragionevolmente consentivano di escludere che detta società avesse effettivamente rifornito di merce la ditta del S. e non si fosse invece limitata ad emettere le contestate fatture per operazioni inesistenti.
Il Collegio cautelare si è anche confrontato con gli esiti della consulenza di parte, giungendo alla motivata, e perciò insindacabile, conclusione secondo la quale la desunta congruità tra la merce, che si assume essere stata acquistata dalla I., e le tipologie di lavorazioni eseguite dalla SG Coperture non fosse idonea a dimostrare la effettività dell’esecuzione delle prestazioni, sul rilievo che le fatture, benché false, dovevano essere logicamente coerenti con l’attività lavorativa del S., in quanto sarebbe stato sufficiente un controllo incrociato, anche superficiale, per rilevare aliunde la falsità della fatturazione.
Ne deriva l’inammissibilità del ricorso anche per manifesta infondatezza e per avere il ricorrente, pur enunciando il vizio di violazione di legge, articolato il motivo deducendo in realtà vizi della motivazione, il cui ingresso non è consentito in sede di sindacato di legittimità.
5. Sulla base delle precedenti considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e ciò comporta l’onere per il ricorrente di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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