CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 7005 depositata il 13 febbraio 2019

Rapporto di lavoro pubblico – Dipendente comunale – Reati di truffa aggravata – Configurabilità

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Reggio Calabria, adito ex art. 309 c.p.p., ha confermato (quanto al quadro indiziario ed alle esigenze cautelari) l’ordinanza emessa in data 27.11.2017 dal GIP del Tribunale di Locri nei confronti di F., in atti generalizzato, indagato per i reati di truffa aggravata ed altro, attenuando gli obblighi.

Contro tale provvedimento, l’indagato ricorre deducendo:

I – violazione dell’art. 640 c.p. e vizi di motivazione quanto al valorizzato quadro indiziario per carenza di profitto (le assenze non sarebbero state pagate) e di danno per l’erario;

II – violazione dell’art. 55-quinquies d. Igs. n. 165 del 2001, per carenza delle necessarie false attestazioni della presenza in servizio;

III – violazione dell’art. 47 c.p. (secondo la difesa l’indagato non sapeva di dover timbrare anche durante le pause dal lavoro);

IV – violazione dell’art. 84 c.p. (per indebita duplicazione delle contestazioni).

All’odierna udienza camerale, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all’esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.

Considerato in diritto

Il ricorso è integralmente inammissibile, perché i motivi sono in parte non consentiti, in parte privi della necessaria specificità, in quanto meramente reiterativi, e comunque manifestamente infondati.

1. Il Tribunale ha valorizzato, a fondamento dell’impugnata ordinanza, gli esiti delle indagini svolte dalla P.G., corroborati da videoriprese documentanti il fatto che il F., dipendente comunale, si era allontanato a più riprese arbitrariamente dal posto di lavoro, dove risultava in apparenza presente.

Trattasi di circostanze fattuali che lo stesso ricorrente non nega.

2. Questa Corte (Sez. 5, sentenza n. 8426 del 17/12/2013, dep. 2014, Rv. 258987 – 01) ha già osservato che la falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi ultimi siano economicamente apprezzabili, osservando che anche una indebita percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica.

2.1. L’affermazione può essere condivisa, ma con la precisazione che la speciale tenuità del danno arrecato alla PA potrebbe al più legittimare il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, c.p. (tenuto anche conto dell’entità del profitto percepito), non certo impedire la configurabilità del reato.

2.2. Questa Corte (Sez. 6, sentenza n. 30177 del 04/06/2013, Rv. 256643) ha già chiarito che, anche ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, rilevano, oltre al valore economico del danno, anche gli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa dalla condotta delittuosa complessivamente valutata (fattispecie relativa ad una truffa commessa in danno di Poste Italiane S.p.A. attraverso l’utilizzo abusivo dei cartellini di ingresso e la conseguente alterazione dei dati sulle presenze in ufficio, in cui è stata esclusa l’attenuante, richiamando la grave lesione del rapporto fiduciario determinata dalla condotta delittuosa).

2.3. Osserva, in proposito, il collegio che assume all’uopo rilievo anche l’incidenza dell’accertata condotta delittuosa sull’organizzazione dell’ente interessato, che ben potrebbe aver subito pregiudizio rilevante per effetto delle pur minime assenze de quibus, poiché esse (ed il danno che ne consegue a carico della PA interessata) vanno valutate non soltanto sotto un profilo quantitativo, in riferimento al quantum di retribuzione in ipotesi indebitamente percepito dal deceptor, ma anche in quanto mettano in pericolo l’efficienza degli uffici: le singole assenze incidono, infatti, sull’organizzazione dell’ufficio, alterando la preordinata dislocazione delle risorse umane, nella quale il singolo funzionario non può ingerirsi, modificando arbitrariamente le prestabilite modalità di prestazione della propria opera quanto agli specifici orari di presenza.

La dislocazione degli impiegati nei singoli uffici è, infatti, predisposta dai dirigenti a ciò preposti curando l’utile e razionale impiego delle risorse disponibili, al fine di assicurare la proficuità (anche in favore dell’utenza) dello svolgimento della quotidiana attività amministrativa, certamente messa a repentaglio dalle personali iniziative di quei dipendenti che mutino a proprio piacimento i prestabiliti orari di presenza in ufficio (con il rischio di creare nocive scoperture ed inutili accavallamenti, e comunque fornendo una prestazione diversa da quella doverosa, non soltanto per durata, ma anche quanto all’orario di inizio e di fine).

2.4. Di qui, il profitto consistente nell’essersi sottratto ai doveri di ufficio e nell’indebita percezione di apprezzabile retribuzione (cfr. f. 6 dell’ordinanza impugnata), ed il danno patito dalla PA.

Il primo motivo risulta, pertanto, manifestamente infondato.

3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, essendo stato accertato (f. 6 s. dell’ordinanza impugnata) l’irregolare utilizzo dei sistemi di rilevazione delle presenza mediante omesso inserimento del badge all’uscita ed al rientro in corrispondenza dell’allontanamento temporaneo non giustificato dal posto di lavoro

4. Il terzo motivo non risulta dedotto in sede riesame, e non è quindi deducibile per la prima volta in questa sede; trattasi peraltro di deduzione meramente assertiva, frutto di congetture difensive, che postulano l’assoluta ignoranza dei doveri d’ufficio da parte dell’indagato.

5. Il quarto motivo è manifestamente infondato.

Come già correttamente chiarito dal Tribunale, è, infatti, configurabile il concorso materiale tra il reato di truffa aggravata e quello di false attestazioni o certificazioni previsto dall’art. 55 quinquies D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Sez. 3, Sentenza n. 47043 del 27/10/2015, Rv. 265223 – 01: fattispecie in tema di indebito utilizzo dei badges attestanti la presenza in ufficio da parte di dipendenti comunali).

6. La declaratoria d’inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – apparendo evidente dal contenuto dei motivi che egli ha proposto il ricorso determinando la causa d’inammissibilità per colpa (Corte cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell’entità di detta colpa, desumibile dal tenore della rilevata causa d’inammissibilità – della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.