Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 4712 depositata il 22 febbraio 2024
sanzioni per infedele dichiarazione del socio accomandante
Rilevato che:
con ricorso per cassazione affidato a un motivo, nei cui confronti il contribuente non ha spiegato difese, l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della C.T.R. della Toscana, indicata in epigrafe, relativa ad un avviso d’accertamento Irpef per l’anno 2009 e 2010, effettuato nei confronti di una società in accomandita semplice, di cui il contribuente era socio accomandante; avviso che era divenuto definitivo nei confronti della società per omessa impugnazione, e imputato “per trasparenza”, ex art. 5 TUIR, nei confronti del contribuente in proporzione alla quota societaria dallo stesso detenuta, ed annullato in riferimento all’irrogazione delle sanzioni, dalla C.T.P. con sentenza confermata dalla C.T.R., denunciando la violazione dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 471 del 1997, degli artt. 2 e 5 del d.lgs. n. 472/97, dell’art. 5 D.P.R. n. 917/86, degli artt. 2320 e 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto erroneamente i giudici d’appello avevano ritenuto che al contribuente non fosse imputabile alcun coefficiente di dolo o colpa per il maggior reddito accertato in capo alla società, e quindi, non gli dovessero essere addebitate le sanzioni previste, poiché l’omesso controllo non sarebbe dipeso da negligenza o complicità, ma nella comprensibile fiducia nell’agire dei suoi familiari, anch’essi soci nei quali era concentrato il potere gestionale, al quale era estranea, anche per formazione professionale.
Il ricorso è fondato.
Va, infatti, ribadito il principio, reiteratamente affermato da questa Corte (Cass. n.22122/2010; Cass. n.3011/2007; Cass. n.11997/2006), secondo cui “il maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di persone – reddito che, a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, va imputato al socio ai fini dell’IRPEF, in proporzione della relativa quota di partecipazione, comporta anche l’applicazione allo stesso socio della sanzione per infedele dichiarazione prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 46” (ora d.lgs. n. 471/1997). Ciò vale anche per il socio accomandante di società in accomandita semplice, essendo irrilevante l’estraneità di tali soci all’amministrazione della società, in quanto ad essi è sempre consentito di verificare l’effettivo ammontare degli utili conseguiti: la sanzione, quindi, non viene irrogata all’accomandante sulla base della mera volontarietà, in contrasto con l’elemento della colpevolezza introdotto dal D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, in quanto, nel suo caso, la colpa consiste nell’omesso od insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società, ai sensi dell’art. 2320 cod. civ., u. c. (cfr. Cass., 19456/2009: “ove il socio di società di persone non abbia dichiarato, per la parte di sua spettanza, il reddito societario risultante dalla rettifica operata dall’Amministrazione a carico della società risponde delle sanzioni per l’infedele dichiarazione, atteso che la loro applicazione trova causa nella dichiarazione di un reddito inferiore a quello imponibile e che il socio non può farsi scudo della società, attribuendo esclusivamente ad essa la violazione fiscale, atteso che la sua posizione nell’ambito della compagine sociale, tanto nel caso in cui non rivesta la carica di amministratore, quanto, a maggior ragione, qualora come la rivesta, gli consente il controllo dell’attività della società e della sua contabilità e, quindi, di verificare l’effettivo ammontare del suo reddito e, pertanto, degli utili conseguiti in proporzione alla propria quota di partecipazione (Cass. n. 2699 del 2002; Cass. n. 2554 del 1997; Cass. S. U. n. 125 del 1993)” (così Cass. n. 10501/14, Cass. n. 22122/10; Cass.n.22011/2017).
Nel caso di specie, in assenza di cause di non punibilità, ex art. 6 del d.lgs. n. 472/97, oppure di disapplicazione, ex art. 8 del d.lgs. n. 546/92, la decisione dei giudici d’appello è stata adottata in violazione dell’art. 5 TUIR e dell’art. 2320 c.c., poiché, in virtù di tali disposizioni, il socio non solo è in grado di conoscere i rilievi e gli accertamenti fiscali effettuati nei confronti della società ma il reddito di partecipazione è considerato suo reddito personale, indipendentemente dalla mancata contabilizzazione dei ricavi e dei metodi utilizzati dalla società per realizzarli, fermo restando il diritto del socio di agire nei confronti della società in sede civile ordinaria per recuperare la quota di utili a lui spettante, nonché l’esclusione della sua responsabilità qualora sia dimostrata la sua buona fede (Cass. n. 11989/15). Nella vicenda, pertanto, la qualità di socio accomandante del contribuente non ha fatto venir meno l’imputabilità allo stesso, quantomeno per colpa, del maggior reddito accertato, di cui ha beneficiato per l’incremento di ricchezza della società. Il fatto che il contribuente avesse una formazione professionale estranea alla materia societaria non rileva, in quanto avrebbe potuto esercitare i suoi diritti amministrativi con l’ausilio di soggetti reputati competenti ed accettando la veste giuridica di socia accomandante, ne ha inevitabilmente assunto i diritti gli obblighi e le responsabilità connesse alla posizione societaria ricoperta. Va, conseguentemente accolto il ricorso, cassata l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso introduttivo.
Le peculiarietà della vicenda processuale inducono a compensare le spese dei gradi di merito, ponendosi, invece, a carico dell’intimato, soccombente, le spese del giudizio di legittimità nella misura come liquidata in dispositivo.
PQM
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e condanna l’intimato al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità̀ che liquida in € 5.000,00 oltre spese prenotate a debito.