Corte di Cassazione. sezione tributaria, ordinanza n. 6349 depositata l’ 8 marzo 2024
ICI IMU – ACCERTAMENTO – ABITAZIONE PRINCIPALE – CATEGORIE CATASTALI
RILEVATO CHE:
1. S.A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Basilicata il 29 maggio 2018, n. 314/03/2018, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento per l’omesso versamento della maggiore IMU relativa all’anno 2012 con riguardo a due immobili ubicati in Matera e e censiti in catasto con le particelle 890 sub. 78 (categoria C/2) e 890 sub. 42 (categoria C/6) del folio 68, di cui lo stesso era proprietario, essendo stata disconosciuta l’esenzione prevista per l’abitazione principale, ha accolto l’appello proposto dal Comune di Matera nei confronti dello stesso avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Matera il 15 giugno 2016, n. 292/01/2016, con compensazione delle spese giudiziali;
2. il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure – che aveva accolto il ricorso originario – sul presupposto: che la classificazione nelle categorie catastali C/2 e C/6 non consentisse di riconoscere al contribuente l’esenzione per l’abitazione principale, la quale era limitata agli immobili classificati nella categoria catastale A; che tali categorie di immobili potevano, al più, costituire pertinenze dell’abitazione principale; che, in ogni caso, il contribuente non aveva provato la dimora familiare abituale nei suddetti immobili, essendo insufficiente a tale scopo la documentazione relativa alla residenza anagrafica;
3. il Comune di Matera ha resistito con controricorso;
CONSIDERATO CHE:
1. il ricorso è affidato a cinque motivi.
1.1 con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunziarsi sull’eccepita inammissibilità dell’appello proposto dall’ente impositore per genericità e aspecificità dei relativi motivi;
1.2 con il secondo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere incorso il giudice di secondo grado in extrapetizione, per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, là dove egli ha esteso il thema decidendum, che era limitato alla rilevanza delle categorie catastali ai fini del riconoscimento dell’esenzione, anche all’accertamento della mancanza di prova dell’abitualità della dimora;
1.3 con il terzo motivo, si denuncia violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per non essere stato tenuto in conto dal giudice di secondo grado che la residenza del contribuente non era stata messa in contestazione dall’ente impositore, decidendo per l’accoglimento dell’appello sul rilievo che il contribuente non aveva provato la dimora familiare abituale presso gli immobili in questione;
1.4 con il quarto motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 111, sesto comma, Cost., 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato accolto l’appello dal giudice di secondo grado con motivazione inesistente o apparente con riguardo alla valutazione ed all’apprezzamento degli elementi probatori in relazione alla decisione della controversia;
1.5 con il quinto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la classificazione in categoria catastale A era imprescindibile per usufruire dell’esenzione dal tributo;
2. il primo motivo è inammissibile;
2.1 il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata si sarebbe astenuta dall’esame dell’eccezione di inammissibilità dei motivi di appello per difetto di specificità;
2.2 invero, con riferimento alla specificità dei motivi di appello, premesso che l’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si pone come norma speciale rispetto all’art. 342 cod. proc. civ., che, nella sua attuale formulazione, si divarica sostanzialmente dalla citata norma in tema di contenzioso tributario, questa Corte ha chiarito che riguardo al contenzioso tributario, ove l’amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e a riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere di impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere «i motivi specifici dell’impugnazione» e non già «nuovi motivi», atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (tra le tante: Cass., Sez. 5^ 1 28 febbraio 2011, n. 4784; Cass., Sez. 5^, 29 febbraio 2012, n. 3064; Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2016, nn. 27497 e 27498; Cass., Sez. 6^-5, 22 marzo 2017, n. 7369; Cass., Sez. 6^-5, 27 giugno 2017, n. 16037; Cass., Sez. 6^-5, 5 ottobre 2018, n. 24641; Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2018, n. 32954; Cass., Sez. 5^, 18 aprile 2019, n. 10897; Cass., Sez. 5^, 10 ottobre 2019, nn. 22509 e 22511; Cass., Sez. 5^, 26 febbraio 2020, n. 5161 e 5164; Cass., Sez. 6^-5, 1 ottobre 2020, n. 20968; Cass., Sez. 5^, 11 febbraio 2021, n. 3443; Cass., Sez. 5^, 23 giugno 2021, n. 18051; Cass., Sez. 6^-5, 24 marzo 2022, n. 9600; Cass., Sez. 5^, 7 luglio 2022, n. 21489; Cass., Sez. 5^, 25 ottobre 2022, n. 31551; Cass., Sez. 5^, 17 gennaio 2023, n. 1360; Cass., Sez. 5^, 17 novembre 2023, n. 32041; Cass., Sez. 5^, 15 gennaio 2024, n. 1556);
2.3 per costante orientamento di questa Corte, nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall’art. 53, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. cod. civ., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (tra le tante: Cass., Sez. 6^-5, 24 agosto 2017, n. 20379; Cass., Sez. 5^, 15 gennaio 2019, n. 707; Cass., Sez. 5^, 15 gennaio 2019, n. 707; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5^, 2 dicembre 2020, n. 27496; Cass., Sez. 5^, 11 febbraio 2021, n. 3443; Cass., Sez. 5^, 10 marzo 2021, n. 6596; Cass., Sez. 5^, 11 marzo 2021, nn. 6850 e 6852; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5^, 26 maggio 2021, nn. 14562 e 14582; Cass., Sez. 5^, 27 maggio 2021, n. 14873; Cass., Sez. 5^, 27 gennaio 2022, n. 2379; Cass., Sez. 6^-5, 14 giugno 2022, n. 19116; Cass., Sez. 5^, 25 ottobre 2022, n. 31551; Cass., Sez. 5^, 17 novembre 2023, n. 32041);
2.4 pertanto, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dall’art. 53, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non deve, quindi, consistere in una rigorosa enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza (Cass., Sez. 5^, 21 novembre 2019, n. 30341);
2.5 si è, inoltre, ritenuto che non vi è incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, tali da comportare l’inammissibilità dell’appello a termini dell’art. 53, comma 1, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, ove il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi dall’intero atto di impugnazione nel suo complesso (Cass., Sez. 6^-5, 24 agosto 2017, n. 20379; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2020, n. 15519; Cass., Sez. 5^, 26 maggio 2021, n. 14582);
2.6 in particolare, si è affermato che, in tema di contenzioso tributario, la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni poste a fondamento dell’originaria impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della legittimità dell’accertamento (per l’amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2018, n. 32954; Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2020, n. 29908; Cass., Sez. 6^-5, 13 dicembre 2021, n. 39543; Cass., Sez. 6^-5, 24 gennaio 2022, n. 1971; Cass., Sez. 5^, 25 ottobre 2022, n. 31551; Cass., Sez. 5^, 23 agosto 2023, n. 25144);
2.7 non è, quindi, necessaria ai fini dell’ammissibilità dell’appello la indicazione di specifici motivi in relazione a specifiche censure della sentenza impugnata, essendo sufficiente che l’appellante si riporti alle argomentazioni già sostenute nel grado di merito precedente, insistendo per la legittimità dell’avviso impugnato (Cass., Sez. 5^, 26 maggio 2021, n. 14582);
2.8 nella specie, però, ad ogni buon conto, il testo dei motivi di appello non è stato trascritto né riportato in ricorso, essendosi limitato il contribuente all’isolata citazione di alcuni stralci nelle premesse del ricorso (il cui contenuto, peraltro, denota prima facie un tenore idoneo a contraddire la verosimiglianza della doglianza), per cui il collegio non è posto in grado di scrutinare la fondatezza della censura;
2.9 invero, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di Cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., Sez. 5^, 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., Sez. 5^, 13 febbraio 2015, n. 2928; Cass., Sez. 5^, 28 giugno 2017, n. sez. 5^, 10 dicembre 2021, n. 39283; 16147; Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2019, n. 28570; Cass., Cass., Sez. 5^, 14 marzo 2022, n. 8156; Cass., Sez. 5^, 12 aprile 2022, n. 11842; Cass., Sez. 6^-5, 11 maggio 2022, n. 14905; Cass., Sez. 5^, 16 gennaio 2023, n. 998; Cass., Sez. 5^, 15 settembre 2023, n. 26679; Cass., Sez. 5^, 12 febbraio 2024, n. 3885); ciò in quanto non è altrimenti possibile per il giudice di legittimità verificare la corrispondenza di contenuto dell’atto impositivo rispetto alle doglianze del contribuente, venendo preclusa ogni attività nomofilattica (Cass., Sez. 5^, 29 luglio 2015, n. 16010; Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2019, n. 28570);
2.10 come è noto, il tradizionale rigore di tale canone è stato rivisitato da questa Corte, anche alla luce di un doveroso coordinamento con i principi sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ed in particolare col principio del “diritto all’equo processo” di cui all’art. 6, par. 1); in tale prospettiva, si è affermato che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza depositata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo il 28 ottobre 2021 (ric. nn. 55064/11, 37781/13 e 26049/14 – Succi e altri c. Italia) – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può, pertanto, tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (in particolare: Cass., Sez. 1^, 1 marzo 2022, n. 6769; Cass., Sez. 3^, 4 marzo 2022, n. 7186; Cass., Sez. Un., 18 marzo 2022, n. 8950; Cass., Sez. 3^, 6 giugno 2023, n. 15846);
2.11 si è altresì precisato che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione è compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (Cass., Sez. 1^, 19 aprile 2022, n. 12481);
2.12 dunque, il mezzo neppure soddisfa i parametri fissati per l’autosufficienza dalla più recente giurisprudenza di legittimità, essendo stato omesso dal ricorrente sia di riprodurre o sintetizzare il testo dei motivi di appello, sia di allegare in questa sede l’atto di appello con il rinvio al testo dei medesimi motivi;
2.13 ciò non di meno, la censura deve essere disattesa, in quanto l’esame delle questioni di merito comporta l’implicito rigetto delle questioni (preliminari o pregiudiziali) di rito su cui il giudice di appello abbia omesso di pronunziarsi, per cui il ricorso per cassazione (sotto il profilo dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) può essere proposto soltanto in relazione alla carente motivazione (art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.) e non anche in relazione all’omessa pronunzia (art. 112 cod. proc. civ.) della decisione;
3. per il resto, ragioni di pregiudizialità logico – giuridica consigliano di scrutinare in via prioritaria il quarto motivo;
3.1 il suddetto motivo è infondato;
3.2 come è noto l’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sulla falsariga dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69), dispone che la sentenza:
«(…) deve contenere: (…) 4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; (…)»;
3.3 per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza impugnata, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9975; Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2022, n. 37344; Cass., Sez. 5^, 18 aprile 2023, n. 10354);
3.4 peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6^-5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. 5^, 18 aprile 2023, n. 10354);
3.5 nella specie, tuttavia, si può ritenere che la sentenza impugnata sia sufficiente o coerente sul piano della logica giuridica, contenendo un’adeguata illustrazione delle ragioni sottese all’accoglimento dell’appello (al di là della loro fondatezza o meno in punto di diritto), che è stato sufficientemente giustificato con tre argomentazioni: 1) la classificazione nelle categorie catastali C/2 e C/6 non consentiva di riconoscere al contribuente l’esenzione per l’abitazione principale, la quale era limitata agli immobili classificati nella categoria catastale A; 2) tali categorie di immobili potevano, al più, costituire pertinenze dell’abitazione principale; 3) in ogni caso, il contribuente non aveva provato la dimora abituale nei suddetti immobili (ad esempio, mediante la documentazione dei consumi delle utenze domestiche), essendo insufficiente a tale scopo la certificazione della residenza anagrafica;
4. i restanti motivi – la cui stretta ed intima connessione consiglia la trattazione congiunta – sono infondati, ancorché la conformità a diritto del dispositivo non esima il collegio dalla parziale correzione della motivazione della sentenza impugnata nei sensi specificati in appresso, a norma dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ.;
4.1 la decisione esige un’attenta analisi della disciplina dettata, dapprima, in materia di ICI e, poi in materia di IMU per l’abitazione principale;
4.2 secondo la previsione dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. 30 novembre 1992, n. 504 (“Riordino della finanza locale degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge n. 421 del 1992”): «Dalla imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, lire 200.000 [pari ad un controvalore di € 1.032,91] rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente»;
4.3 in seguito, l’art. 1, comma 173, lett. b, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007”), ha modificato il testo originario dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, nel senso che: «(…) dopo le parole: “adibita ad abitazione principale del soggetto passivo” sono inserite le seguenti: “, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica,”»; per cui, il tenore complessivo della citata disposizione è stato così riformulato:
«Dalla imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica, si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, lire 200.000 [pari ad un controvalore di € 1.032,91] rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione; se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente»;
4.4 tale modifica deve essere letta nel senso che – con effetto dall’annualità d’imposta 2007 – si considera abitazione principale quella di residenza anagrafica, salvo la prova contraria che consente al contribuente, nei casi appunto di mancata coincidenza, anche solo per un periodo di tempo, tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento fiscale meno gravoso previsto per l’abitazione principale, prova che deve riguardare l’effettivo utilizzo dell’unità immobiliare quale dimora abituale del nucleo familiare del contribuente (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2010, n. 14389; Cass., Sez. 5^, 24 maggio 2017, n. 13062; Cass., Sez. 5^, 11 dicembre 2020, n. 28252);
4.5 da ultimo, l’art. 1, comma 1, del d.l. 27 maggio 2008, n. 93 (recante “Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie”), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, ha stabilito che: «1. A decorrere dall’anno 2008 è esclusa dall’imposta comunale sugli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo. 2. Per unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si intende quella considerata tale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, nonché quelle ad esse assimilate dal comune con regolamento o delibera comunale vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ad eccezione di quelle di categoria catastale A/1, A/8 e A/9 per le quali continua ad applicarsi la detrazione prevista dall’articolo 8, commi 2 e 3, del citato decreto n. 504 del 1992»; per cui, con decorrenza dall’anno 2008, la riduzione è diventata esenzione per le abitazioni iscritte in catasto con categorie diverse da A/1, A/8 e A/9;
4.6 secondo questa Corte, in tema di ICI, ai fini della detrazione prevista dall’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1992, quale modificato dall’art. 1, comma 173, lett. b, della legge n. 296 del 2006 (con decorrenza dall’1 gennaio 2007), per l’abitazione principale (per tale intendendosi, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica), occorre che il contribuente provi che l’abitazione costituisce dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito sia riscontrabile solo per il medesimo e, invece, difetti nei familiari (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2010, n. 14389; Cass., Sez. 6^-5, 21 giugno 2017, n. 15444; Cass., Sez. 6^-5, 27 aprile 2018, n. 10167; Cass., Sez. 5^, 22 febbraio 2019, n. 5314; Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2019, n. 15439; Cass., Sez. 5^, 9 luglio 2019, n. 18367; Cass., Sez. 6^-5, 24 luglio 2019, n. 19964; Cass., Sez. 6^-5, 18 febbraio 2020, n. 3966; Cass., Sez. 6^-5, 19 febbraio 2020, n. 4170; Cass. Sez. 5^, 4 novembre 2020, n. 24538; Cass., Sez. 6^-5, 15 dicembre 2020, nn. 28534 e 28536; Cass., Sez. 6^-5, 3 febbraio 2021, n. 2344); a tal fine, per «abitazione principale» non doveva, quindi, necessariamente intendersi quella di residenza anagrafica, atteso che la norma introduceva una presunzione relativa che poteva essere superata dal contribuente mediante la prova contraria circa l’effettivo utilizzo quale dimora abituale del nucleo familiare, anche per un periodo di tempo limitato, di altro immobile non coincidente con quello di residenza (Cass., Sez. 5^, 24 maggio 2017, n. 13062; Cass., Sez. 5^, 8 marzo 2019, n. 6845; Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2021, n. 17408);
4.7 in seguito, con riguardo all’IMU (che ha preso il posto dell’ICI), in sede di istituzione, l’art. 8, comma 3, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (“Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale”), ha previsto che: «L’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale ed alle pertinenze della stessa. Si intende per effettiva abitazione principale l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. L’esclusione si applica alle pertinenze classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo. L’esclusione non si applica alle unità immobiliari classificate nelle categorie catastali A1, A8 e A9»;
4.8 come è evidente, il riferimento al “nucleo familiare” non era presente nell’originaria disciplina dell’IMU, che subordinava il riconoscimento dell’esenzione per l’abitazione principale alla sussistenza del solo requisito della residenza anagrafica e della
dimora abituale del possessore dell’immobile: a questi veniva riconosciuto il diritto all’esenzione in termini oggettivi, del tutto a prescindere dal suo status soggettivo di coniugato; ciò che rilevava, ai fini della identificazione della abitazione principale, era, infatti, che egli si trovasse a risiedere e dimorare abitualmente in un determinato immobile;
4.9 il riferimento al “nucleo familiare” nemmeno figurava nella successiva formulazione dell’art. 13, comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (“Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, a tenore del quale: «L’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, ivi compresa l’abitazione principale e le pertinenze della stessa. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo»;
4.10 l’agevolazione – consistente non più in un’esenzione, ma in una riduzione dell’aliquota (allo 0,4%, salva la detrazione di € 200,00, in base all’art. 13, commi 7 e 10, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011) – era riconosciuta, anche in questo caso, per l’immobile nel quale «il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente»; pertanto, sino a quel momento, se due persone unite in matrimonio avevano residenze e dimore abituali differenti, a ciascuna spettava l’agevolazione per l’abitazione principale;
4.11 soltanto con l’art. 4, comma 5, lett. a, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16 (“Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012 n. 44, che è intervenuto su diversi aspetti della disciplina dell’IMU, è stata modificata la definizione di “abitazione principale”, introducendo, in particolare, il riferimento al nucleo familiare ai fini di individuare l’immobile destinatario dell’agevolazione. Segnatamente, l’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, è stato così modificato e integrato: «L’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili, ivi comprese l’abitazione principale e le pertinenze della stessa; restano ferme le definizioni di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. I soggetti richiamati dall’articolo 2, comma 1, lettera b), secondo periodo, del decreto legislativo n. 504 del 1992, sono individuati nei coltivatori diretti e negli imprenditori agricoli professionali di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni, iscritti nella previdenza agricola. Per abitazione per un solo immobile. Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo»;
4.12 tale disciplina è stata poi confermata dall’art. 1, comma 707, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014”), che ha reintrodotto la completa esenzione dell’abitazione principale dall’1 gennaio 2014 per tutte le categorie catastali abitative, tranne quelle cosiddette di lusso (A/1, A/8 e A/9), riformulando l’art. 13, comma 7, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, nel modo seguente: «L’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili; restano ferme le definizioni di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. I soggetti richiamati dall’articolo 2, comma 1, lettera b), secondo periodo, del decreto legislativo n. 504 del 1992, sono individuati nei coltivatori diretti e negli imprenditori agricoli professionali di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni, iscritti nella previdenza agricola. Per abitazione per un solo immobile. Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo. I Comuni possono considerare direttamente adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata, l’unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata, nonché l’unità immobiliare concessa in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che la utilizzano come abitazione principale, prevedendo che l’agevolazione operi o limitatamente alla quota di rendita risultante in catasto non eccedente il valore di euro 500 oppure nel solo caso in cui il comodatario appartenga a un nucleo familiare con ISEE non superiore a 15.000 euro annui. In caso di più unità immobiliari, la predetta agevolazione può essere applicata ad una sola unità immobiliare. L’imposta municipale propria non si applica, altresì: a) alle unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari; b) ai fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali come definiti dal decreto del Ministro delle infrastrutture 22 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno 2008; c) alla casa coniugale assegnata al coniuge, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio; d) a un unico immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, posseduto, e non concesso in locazione, dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare e da quello dipendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, nonché dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, e, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139, dal personale appartenente alla carriera prefettizia, per il quale non sono richieste le condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica»;
4.13 ancora, sia pure con la preventiva abrogazione dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, tale regolamentazione è stata ribadita nell’art. 1, comma 741, lett. b, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022”), all’interno della disciplina della cosiddetta “nuova IMU”, divenuta sostanzialmente comprensiva anche del tributo sui servizi indivisibili (TASI), stabilendo che « per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile. Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo»;
4.14 in coerenza ai riferimenti normativi, questa Corte ha affermato che, in tema di ICI, ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale dell’immobile, secondo la previsione dell’art. 1, comma 1, del d.l. 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, per cui, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento (Cass., Sez. 5^, 29 gennaio 2016, n. 1704; Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2016, n. 7930; Cass., Sez. 5^, 18 dicembre 2020, n. 29077; Cass., Sez. 6^-5, 21 febbraio 2022, n. 5574);
4.15 tale orientamento si riferisce all’ICI, ma i principi affermati sono applicabili anche all’IMU, essendo rilevante per entrambi i tributi l’individuazione della categoria catastale, come si evince dalla previsione delle medesime eccezioni alle agevolazioni per le abitazioni principali classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (categorie di lusso); peraltro, la rilevanza delle risultanze catastali è, poi, di tutta evidenza nel riferimento all’estensione dell’agevolazione per l’abitazione principale anche alle pertinenze, purché classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna di queste categorie catastali;
4.16 ne consegue che, anche ai fini dell’IMU, la classificazione dell’immobile in una delle categorie catastali previste dal legislatore è requisito necessario e imprescindibile per il riconoscimento dell’esenzione per l’abitazione principale, per cui la carenza di tale elemento preclude, a monte, al contribuente di avvalersi dell’agevolazione, anche nel caso in cui egli abbia fissato la dimora abituale nell’immobile stesso; a maggior ragione, poi, nel caso in cui la categoria catastale degli immobili interessati (nella specie: C/2 e C/6) assuma rilievo nella previsione normativa soltanto per la destinazione a pertinenza dell’abitazione principale;
4.17 pertanto, la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto in parte qua che «gli immobili ad uso abitativo sono identificati dalle categorie catastali del gruppo A», per cui «non è possibile considerare abitazione uno degli immobili classificato in categoria C», pur essendosi superfluamente soffermato anche sulla prova della dimora abituale, che era irrilevante in carenza della classificazione nella categoria catastale A;
5. in conclusione, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi l’inammissibilità del primo motivo e l’infondatezza dei restanti motivi, il ricorso deve essere rigettato;
6. le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo;
7. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della ricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 550,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge; dà atto dell’obbligo, a carico del ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
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