CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, ordinanza n. 8748 depositata il 3 aprile 2024
Tributi – Cartella di pagamento – Crediti tributari – Abolizione tariffe professionali fisse – Parametri per la determinazione dei compensi – Accoglimento
Rilevato che
1. Con ricorso avanti la Commissione Tributaria Provinciale di Roma il Sig. E. impugnava un ruolo esattoriale e relativa cartella di pagamento per l’importo complessivo di Euro 499,04 fondati su crediti di natura tributaria di cui veniva casualmente a conoscenza in ragione di un occasionale accesso presso gli Uffici del Concessionario, evocando in giudizio Il Comune di Roma. L’originario ricorrente chiedeva l’annullamento del ruolo esattoriale e delle cartella di pagamento opposta, eccependo l’intervenuta prescrizione del credito maturata tra l’anno di imposta e comunque tra la data di notifica della singola cartella di pagamento e la data di estrazione del ruolo esattoriale, e, comunque, la mancata notifica della cartella di pagamento, e quale effetto dell’accoglimento del ricorso, chiedeva la condanna dell’Ufficio al pagamento delle spese di lite in suo favore con il beneficio della distrazione ex art. 93 c.p.c. .
La Commissione Tributaria Provinciale con decisione n. 1547/2020 del 4.12.2019 e depositata in data 5.2.2020 accoglieva il ricorso ritenendo fondata l’eccepita prescrizione, e condannava Roma Capitale al pagamento delle spese di giudizio in favore della contribuente quantificate in Euro 100,00 con il beneficio della distrazione in favore del difensore Avv. F. Avverso detta sentenza proponeva gravame il contribuente.
Il ricorrente, nella pendenza del giudizio di gravame, attivava la procedura di ottemperanza disciplinata dall’art. 70 e ss. del D.Lgs. 546/1992 e, pertanto in data 3.2.2021 notificava alla parte soccombente Roma Capitale atto di diffida e messa in mora (ed allegata copia autentica della sentenza di cui chiedeva l’esecuzione) con invito a provvedere alla corresponsione dell’importo liquidato in suo favore in forza della sentenza n. 1547/2020 della CTP di Roma per un importo complessivo di Euro 145,91 (lorde) (Euro 100,00 nette) entro e non oltre 90 giorni dalla ricezione; in data 14.5.2021, spirato inutilmente il termine di 90 giorni, depositava innanzi alla C.T.R. del Lazio ricorso (RG 2477/2021) a mezzo del quale chiedeva l’ottemperanza del capo di condanna contenuto nella sentenza n. 1547/2020 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma sul capo di condanna al pagamento delle spese legali in favore dell’odierna parte ricorrente come sopra descritto, con l’emanazione dei conseguenti provvedimenti, nonché la condanna dell’Ufficio alle spese del relativo giudizio.
Roma Capitale replica con controricorso.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 4316/2021 depositata in data 28.9.2021, dopo aver dato atto che “risultano svolte le procedure previste dalla legge e che la sentenza di primo grado, seppur non passata in giudicato, deve ritenersi immediatamente esecutiva ai sensi dell’art. 69 del D.Lgs. 546/1992; considerato altresì che la competenza è della CTR, essendo pendente il giudizio di secondo grado; ritenuto che le spese di questo giudizio seguono la soccombenza”, statuiva: “accoglie il ricorso per ottemperanza e per l’effetto ordina al Comune di Roma di dare esecuzione alla sentenza della CTP di Roma 1547/20, nella parte relativa alla condanna al pagamento delle spese di lite, corrispondendo all’Avvocato F., nella sua qualità di antistatario in quel procedimento, la somma di Euro 100,00 oltre spese fisse forfettarie pari al 15% ed accessori come per legge…condanna il Comune di Roma al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00”.
Il legale propone ricorso per cassazione in base ad un unico motivo avverso la sentenza della Commissione Regionale, relativamente al capo concernente la liquidazione delle spese.
Il Comune di Roma replica con controricorso.
Considerato che
2. L’unica censura deduce “violazione o falsa applicazione dell’art. 4 decreto ministeriale 5 aprile 2014 n.55 (ndr art. 4 decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55) come aggiornato dal d.m. 37/2018 del Ministero della giustizia e delle tabelle 1-2 dei parametri ad esso allegate, art. 15 D.Lgs. 546/1992 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.” per avere la Commissione operato, per il giudizio di ottemperanza, una liquidazione delle spese legali omnicomprensiva dei compensi dell’intero grado di giudizio, e non già distinta per fasi; e, comunque, per avere liquidato le spese di lite in misura evidentemente inferiore ai parametri medi, senza motivare in alcun modo le ragioni di detta riduzione.
Assume che il Giudice della fase di ottemperanza, operando una liquidazione complessiva dei compensi, e non già per fasi, ha violato, l’art. 4 del d.m. 55/14 in quanto non ha consentito all’odierno ricorrente di verificare la correttezza della liquidazione stessa e la sua conformità, anche in ragione del principio di inderogabilità posto ai valori minimi con riferimento a ciascuna fase di giudizio dal richiamato art. 4, alle tabelle 1-2 dei parametri allegati al d.m. Giustizia n. 55/2014 come aggiornato dal d.m. 37/2018, ed applicabile, ai sensi dell’art. 7 del medesimo decreto, alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore avvenuta in data 27.4.2018.
In altri termini, la liquidazione operata, ancorché in misura omnicomprensiva, potrebbe al più essere ritenuta legittima solo se, nella sua misura complessiva, essa sia di importo tale da escludere che una sola singola fase possa essere stata liquidata in misura inferiore al valore minimo consentito dal d.m. 55/2014, in modo tale da rendere priva di interesse la censura articolata dal ricorrente.
Nel caso di specie la liquidazione omnicomprensiva operata nella misura di Euro 100,00 compatibile con una liquidazione con riferimento a talune fasi (in quanto pari al valore e medio o massimo), risulterebbe illegittima con riferimento ad altre in quanto inferiori ai minimi.
2. Il motivo è fondato.
Il motivo pone quindi all’attenzione della Corte la questione circa la possibilità per il giudice, nel caso di assenza di accordo tra le parti circa la determinazione del compenso, ovvero in caso di liquidazione delle spese di lite a carico del soccombente, di poter derogare, sia pure in maniera motivata, ai minimi dettati dai parametri dettati in base alla previsione di cui all’art. 13 della legge n. 247/2012, per effetto della novella del d.m. n. 55 del 2014, operata dal d.m. n. 37 del 2018, e confermata dalle previsioni di cui al d.m. n. 147 del 2022.
3. Occorre premettere che “in tema di spese processuali, i parametri cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, vanno applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto a condizione che a tale data non sia stata ancora completata la prestazione professionale, ancorché essa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata” (v. Cass. 27233 del 26/10/2018; Cass. n.12537 del 10/05/2019).
3.1. La c.d. riforma Bersani (d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in l. n. 248/2006), ha comportato l’abrogazione di tutte le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle prestazioni professionali, ” l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime”, sul presupposto che tale scelta fosse imposta dalla normativa di rango comunitario, che non tollerava più un’imposizione vincolante delle tariffe professionali, essendo incompatibile con i principi comunitari di libera concorrenza e libera circolazione delle persone e dei servizi (e ciò sebbene, come si dirà oltre, tale incompatibilità della precedente disciplina con gli obblighi derivanti non avesse avuto seguito nella giurisprudenza della Corte di Giustizia).
3.2. L’art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, ha provveduto all’abrogazione delle tariffe (comma 1), sostituendole con i parametri (comma 2), ed a tale intervento normativo fece seguito l’emanazione della l. 31 dicembre 2012, n. 247, recante la nuova disciplina dell’ordinamento forense e dunque concernente, a differenza del d.l. n. 1/2012, soltanto gli avvocati e non anche le altre figure di professionisti, ma l’art. 13, commi 6 e 7, di tale legge riprende i parametri già introdotti per tutte le professioni intellettuali dal d.l. n. 1/2012. Nelle more dell’emanazione della legge n. 247/2012, stante l’avvenuta abrogazione delle tariffe, era stato però emanato il d.m. n. 140/2012, volto a fissare i nuovi criteri di determinazione dei compensi dei professionisti forensi.
3.3. Successivamente è stato poi emesso il d.m. 10 marzo 2014, n. 55, che ha sostituito integralmente, per gli esercenti la professione forense, sia la parte generale che quella che era loro specificamente dedicata (artt. 2 – 14) del d.m. 20 luglio 2012 n. 140. La novella, pur avendo lasciato immutato il criterio di liquidazione, per le quattro fasi processuali distinte già individuate, secondo una ripartizione valida per tutti gli organi giurisdizionali davanti ai quali venga svolta l’attività, e onnicomprensive, ha però nella sostanza confermato la possibilità di deroga ai valori minimi e massimi, quali scaturenti dalle percentuali di aumento e diminuzione massimi che il giudice può apportare ai valori medi, essendo stato valorizzato l’utilizzo dell’inciso “di regola” per indicare l’entità dell’aumento o della diminuzione, in quanto volto a sottendere come tali indicazioni non sono vincolanti per il giudice che può quindi anche discostarsi da esse nella misura che ritenga adeguata al caso specifico, purché ne dia conto in motivazione.
La successiva giurisprudenza di legittimità ha avallato tale lettura della norma, essendo pervenuta reiteratamente ad affermare che, nella vigenza delle previsioni di cui al d.m. n. 55/2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. n. 14198 del 05/05/2022; Cass. n. 19989 del 13/07/2021; Cass. n. 89 del 07/01/2021, Cass. n. 2386 del 31/01/2017; Cass. n. 11601 del 14/05/2018).
Resta però in ogni caso precluso al giudice di poter liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione (cfr. ex plurimis Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2386; Cass. civ., 31 luglio 2018, n. 20183; contra, Cass. civ., 17 gennaio 2018, n. 1018 e Cass. civ., 5 novembre 2018, n. 28267).
3.4. Il quadro normativo ha poi subito un’ulteriore variazione a seguito dell’emanazione del dm n. 37/2018, entrato in vigore il 27 aprile 2018, che ha modificato solo alcune delle previsioni del d.m. n. 55/2014.
Ai fini che rilevano la modifica ha integrato i parametri per la determinazione dei compensi, sia per l’attività giudiziale che per quella stragiudiziale (rispettivamente artt. 4 e 19) precisando che la riduzione, rispetto al valore medio di liquidazione non può essere superiore alla misura del 50 % (per la sola fase istruttoria fino al 70 %) mentre l’aumento può essere anche superiore alla percentuale fissata di regola nell’80 %, eliminando per il potere di riduzione l’espressione “di regola” che aveva appunto giustificato l’interpretazione volta a consentire, sia pure con motivazione, la liquidazione anche al di sotto dei minimi tariffari.
La significatività della modifica del testo delle norme richiamate si ricava anche dalle argomentazioni spese dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema del decreto del 2018 (parere numero 02703/2017 del 27/12/2017), nel quale si sottolinea come tra gli obiettivi del Ministero vi fosse anche quello di “superare l’incertezza applicativa ingenerata dalla possibilità, nell’attuale sistema parametrale, che il giudice provveda alla liquidazione del compenso dell’avvocato senza avere come riferimento alcuna soglia numerica minima, rendendo inadeguata la remunerazione della prestazione professionale”, limitando quindi “…. il perimetro di discrezionalità riconosciuto al giudice, individuando delle soglie minime percentuali di riduzione del compenso rispetto al valore parametrico di base al di sotto delle quali non è possibile andare”. Nel parere, inoltre, si rimarcava come la modifica proposta non si palesasse in contrasto neanche con la normativa europea in materia anche alla luce delle argomentazioni contenute nella sentenza n. 427 del 23 novembre 2017 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
4. La conclusione per l’inderogabilità dei minimi tariffari in sede di liquidazione giudiziale, ed in assenza di diversa convenzione non appare in alcun modo attinta dalle modifiche apportate al d.m. n. 55 del 2014 del recente d.m. n. 147/2022, non applicabile alla presente fattispecie, che, come si evince anche dal parere reso dal Consiglio di Stato sul relativo schema (affare n. Omissis, reso all’esito dell’adunanza del 17 febbraio 2022), ha previsto la soppressione, in tutti i commi in cui ricorrono, delle parole “di regola”, e ciò nel dichiarato intento (cfr. relazione illustrativa del Ministero della Giustizia) di ridurre il margine di discrezionalità dell’autorità giudiziaria nella liquidazione dei compensi, rendere più omogena l’applicazione dei parametri e garantire maggiore coesione interna alla categoria degli esercenti la professione forense.
4.1. Inoltre, come sancito dal decreto ministeriale n. 55 del 2014, articolo 18, nella formulazione applicabile ratione temporis, i compensi liquidati per prestazioni stragiudiziali sono onnicomprensivi in relazione ad ogni attività inerente l’affare. Il decreto ministeriale n. 147 del 2022, articolo 4, comma 1, ha aggiunto un comma 2 a questo articolo, prevedendo la possibilità di una liquidazione “per ciascuna fase o parte” quando però l’affare si componga “di fasi o di parti autonome in ragione della materia trattata”.
Quel che dunque emerge evidente nel raffronto tra il testo applicabile alla fattispecie e la nuova formulazione è il permanere tendenziale del principio di onnicomprensività: la liquidazione di un compenso per fasi o parti è infatti possibile purché’, in ragione della materia trattata, la fase o la parte dell’affare per cui è stata prestata l’attività stragiudiziale sia individuabile come “autonoma”; conferma questa ricostruzione la persistenza di un’unica voce nella tabella 25 che individua i parametri di liquidazione. Questa interpretazione era – ed è – necessitata dal principio di correlazione tra il compenso e l’effettività della prestazione professionale resa e può ora trovare conferma proprio nella aggiunta, all’articolo 18, come riportata, del comma 2, di più esplicita formulazione: in tal senso può ritenersi che questo nuovo precetto assolva una funzione interpretativa, chiarendo il senso e la portata del comma 1 (Cass. n. 28327/2023).
4.2. Deve poi recisamente negarsi ogni dubbio circa la compatibilità della soluzione in punto di inderogabilità dei minimi tariffari con la normativa comunitaria.
Giova in tal senso ricordare come l’analogo dubbio postosi in relazione alla disciplina previgente la riforma del 2006 è stato ritenuto insussistente dalla giurisprudenza della CGUE, che con la sentenza del 19 febbraio 2002 C-35/99 (cd. caso Arduino), adito dal pretore di Pinerolo in merito alla paventata violazione dell’art. 85 trattato CE da parte della normativa italiana in materia di tariffe forensi, in quanto adottate da un ente qualificabile come associazione di imprese (il Consiglio nazionale forense), ha escluso la ricorrenza di intese restrittive della libertà di concorrenza. La risposta dei giudici di Lussemburgo è però stata nel senso della piena compatibilità dei sistemi tariffari con il diritto comunitario della concorrenza, e ciò in quanto gli artt. 5 e 85 del Trattato CE (divenuti artt. 10 CE e 81 CE) non ostano all’adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di progetto stabilito da un ordine professionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell’ordine, qualora tale misura statale sia adottata. Pur essendosi posto in rilevo che l’adozione di tariffe a livello nazionale può incidere sulla concorrenza e che, sebbene l’allora art. 85 del Trattato CE (ora art. 101 TFUE) riguardasse solo la condotta delle imprese e non le disposizioni legislative o regolamentari, ciò non toglieva che tale disposizione, in combinato disposto con l’art. 5 del Trattato (ora art. 5 TUE), obbligasse gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti, anche di natura legislativa o regolamentare, idonei ad eliminare l’effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese, tuttavia la Corte ha specificato che l’elaborazione di un progetto di tariffa per le prestazioni professionali non priva automaticamente la tariffa del suo carattere di normativa statale se, come nel caso italiano, lo Stato membro non rinunci ad esercitare il suo potere di decisione in ultima istanza o a controllare l’applicazione della tariffa stessa (punto 40), posto che al CNF era riservato soltanto il ruolo di proporre un progetto di tariffe, le quali venivano poi emanate dal ministero della Giustizia, sentito il parere del CIP e previa consultazione obbligatoria del Consiglio di Stato (secondo quindi un procedimento di formazione del tutto analogo a quello attuale) (cfr. Cass. n. 10438 del 19/04/2023; Cass. n. 9815 del 13/04/2023; Cass. n. 14198 del 05/05/2022).
L’arresto del giudice di Lussemburgo è stato poi favorevolmente recepito dalla giurisprudenza nazionale, in quanto a far data da Cass. n. 7094 del 28 marzo 2006 è stato ribadito che, in tema di tariffe professionali degli avvocati, è valida la disposizione statale che fissa il principio della normale inderogabilità dei minimi degli onorari (conf. Cass. n. 15666/2007; Cass. n. 27090 del 15/12/2011; Cass. n. 15666 del 13/07/2007, che ha esteso la soluzione anche alla inderogabilità dei minimi delle tariffe professionali dei dottori commercialisti; Cass. n. 15963/2011, quanto alle tariffe notarili).
5. La censura è quindi fondata, avendo la Commissione tributaria ritenuto congrua, a titolo di spese processuali, in relazione al valore della causa, somma inferiore a quelle risultanti dalla massima riduzione percentuale consentita dal citato art. 4, comma primo, d.m. 55/2014, nel testo novellato dal d.m. 37/2018, e con l’attribuzione di un importo onnicomprensivo senza distinzione per fasi (Cass. 6518/2022; Cass. 23873/2021; Cass. 19482/2018; Cass. 6306/2016). Ebbene, l’adottata liquidazione dei compensi in euro 100,00 riferita alle spese del giudizio di ottemperanza si presenta inferiore al minimo previsto dall’art. 4 del d.m. n. 55/2014 (come modificato nel 2018 dal d.m. n. 37/2018), tenuto conto del valore della causa ricompreso nella suddetta fascia sino a 1.100,00 euro e dell’applicabilità del massimo dell’abbattimento (v., da ultimo, Cass. n. 9815/2023).
Pertanto, il ricorso va accolto, l’impugnata sentenza cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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