Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Roma, sezione n. 18, sentenza n. 3807 depositata il 22 marzo 2023
E’ valido l’avviso di accertamento che non menziona le osservazioni del contribuente ex art 12, comma 7, legge 212/2000. Infatti, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui deriva una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il presente giudizio ha ad oggetto il trattamento fiscale ai fini IRES dei dividendi incassati da BNL per effetto della partecipazione della ricorrente, nella misura del 2,83%, al capitale della Banca d’Italia, a seguito della riforma che ha interessato l’assetto proprietario e la governance della Banca d’Italia nel corso del 2013.
La riforma è stata attuata con la finalità di ridurre la concentrazione dei partecipanti al capitale della Banca, mediante l’introduzione di un limite massimo alla percentuale di quote detenibili da ciascun soggetto, ampliando al tempo stesso la base azionaria.
Secondo il rapporto Bankitalia sul punto, al fine di raggiungere l’obiettivo suddetto si rendeva necessario operare nei seguenti termini: “i) calcolare il valore corrente delle quote della Banca; ii) aumentare il valore del capitale della Banca (al momento puramente simbolico), trasferendo una parte di riserve a capitale; iii) attribuire ai partecipanti un flusso futuro di dividendi, il cui valore attuale netto sia pari al valore corrente stimato delle azioni della Banca (ponendo contemporaneamente fine a ogni eventuale pretesa sulle riserve statutarie); iv) fissare un limite massimo alla quota di capitale detenibile da una singola istituzione o gruppo, stabilendo un intervallo temporale entro il quale cedere obbligatoriamente le quote eccedenti”.
La riforma suddetta è stata attuata mediante il decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, il quale ha previsto – agli articoli da 4 a 6 – quanto segue: un aumento di capitale gratuito, autorizzando la Banca d’Italia ad “aumentare il proprio capitale mediante utilizzo delle riserve statutarie all’importo di euro 7.500.000.000”;
al contempo, che “a seguito dell’aumento il capitale [fosse] rappresentato da quote nominative di partecipazione di nuova emissione, di euro 25.000 ciascuna”.
Al fine di incentivare la circolazione delle quote, è stato previsto che ai partecipanti possano essere distribuiti dividendi annuali “a valere sugli utili netti, per un importo non superiore al 6 per cento del capitale”.
Nell’ottica di evitare posizioni dominanti, è stato poi stabilito il limite del 3% quale misura di detenzione – diretta o indiretta – delle quote, con l’ulteriore previsione che le partecipazioni eccedenti tale misura non danno diritto di voto ed i relativi dividendi sono imputati alle riserve statutarie della Banca d’Italia.
Al contempo, è stata data la possibilità alla Banca d’Italia di acquistare temporaneamente le proprie partecipazioni e stipulare contratti aventi ad oggetto le medesime, al fine di favorire gli scambi e, per l’effetto, il rispetto dei limiti di cui al comma 5 cit. (cfr. art. 4, comma 5, del decreto).
Sul piano contabile, l’art. 6, comma 6, del DL 133/2013 ha previsto che “A partire dall’esercizio in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, i partecipanti al capitale della Banca d’Italia iscrivono le quote di cui all’articolo 4, comma 2, nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione, ai medesimi valori”.
La legge finanziaria 2014 ha poi dettato le diposizioni fiscali per la tassazione di tali valori; in particolare, l’art. 1, comma 148 della legge 23.12.2103, n. 147 ha stabilito che “Ai maggiori valori iscritti nel bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2013, per effetto dell’articolo 6, comma 6, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2014, n. 5, si applica un’imposta sostitutiva [in misura del 26 per cento] delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali, da versarsi in unica soluzione entro il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013”.
L’odierna ricorrente partecipa al capitale della Banca d’Italia nella misura del 2,83% e, per tale partecipazione, in data 12.6.2014, ha incassato dividendi per ? 10.766.666,67.
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio ha contestato la tassazione applicata dall’Ufficio finanziario.
In sede di predisposizione del bilancio, la ricorrente aveva infatti iscritto in contabilità le quote della Banca d’Italia nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione (il cd. portafoglio di trading).
Successivamente, però, le ha riclassificate nel comparto della cd. attività finanziarie disponibili per la vendita (il cd. portafoglio AFS – Available for sale).
È questa, secondo l’accertamento oggi impugnato, l’attività “contestata” dall’Agenzia delle entrate, che ha comportato una minore imposizione fiscale a vantaggio della odierna ricorrente.
Infatti, l’ufficio ha recuperato a tassazione ai fini IRES l’importo di ? 10.228.333,34, corrispondente al 95% dei dividendi delle quote di Banca d’Italia percepiti da BNL nel 2014; contestualmente, l’Ufficio ha irrogato la sanzione amministrativa per dichiarazione infedele ex art. 1 comma 2, del D. Lgs. 18.12.1997, n. 471, nella misura del 90% della maggiore imposta accertata, dunque pari a ?. 2.531.512,80, intimando il pagamento dell’importo complessivo di ?. 5.821.486,37, oltre interessi.
La ricorrente ha dedotto la correttezza di tale propria classificazione, in quanto le partecipazioni Bankitalia non superavano la soglia del 3 per cento del capitale e considerata altresì l’assenza, da parte sua, di una effettiva volontà di smobilizzo. Dunque, non sussistevano, secondo il suo parere, le condizioni per poter ritenere quelle partecipazioni come titoli cd. trading sulla base dei principi contabili internazionali, in particolare dello IAS 39.
E, di conseguenza, ai fini fiscali, i suddetti dividendi sono stati trattati come dividendi non di trading e, ai sensi dell’art. 89 TUIR, sono stati assoggettati all’ordinario regime di esclusione da imposizione in misura pari al 95 % del loro ammontare anziché a quello di imposizione integrale previsto dall’art. 89, comma 2-bis TUIR per le attività finanziarie appartenenti al portafoglio di trading.
A fondamento del ricorso, la BNL ha articolato i motivi di seguito sinteticamente riportati.
Con il primo motivo ha eccepito l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato per vizio di motivazione nonché per violazione dell’obbligo di contraddittorio anticipato, in quanto l’Amministrazione non avrebbe valutato le osservazioni formulate da BNL al p.v.c.
In particolare, si sostiene che la motivazione addotta dall’Ufficio si caratterizza per affermazioni del tutto generiche e irrilevanti e che, tra l’altro, non danno in alcun modo conto dell’avvenuta valutazione delle puntuali osservazioni del contribuente, risolvendosi in una replica unicamente formale ed apparente alle stesse, che non consente al destinatario dell’atto impositivo di avvedersi né delle effettive ragioni sottese alle contestazioni né del perché le proprie deduzioni difensive non sono state recepite, con conseguente mortificazione del diritto di difesa e del contraddittorio endoprocedimentale.
Con il secondo, terzo e quarto motivo, la ricorrente ha eccepito l’illegittimità e/o infondatezza nel merito dell’avviso di accertamento impugnato per violazione dell’art. 6, comma 6, del D.L. n. 133/2013, degli artt. 83 e 89 del TUIR e dell’art. 1, comma 148, della legge 147/2013.
In particolare, la ricorrente contesta l’interpretazione che l’ufficio ha dato dell’art. 6, comma 6, del decreto legge 133/2013, ritenendo che, laddove esso prescrive che le partecipazioni al capitale di Banca d’Italia si iscrivono nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione, avrebbe inteso dettare una disciplina esclusivamente fiscale per le partecipazioni Bankitalia, con l’effetto di applicare alle stesse l’art. 89, comma 2-bis del TUIR, e la conseguente integrale tassazione dei dividendi.
Già i dati lessicali della norma non avrebbero attinenza con la materia fiscale, ma sarebbero riferiti al bilancio inteso in senso civilistico (in particolare, il termine “esercizio” avrebbe un significato civilistico-contabile, mentre il termine più appropriato in materia fiscale è quello di “periodo di imposta”; il termine “iscrivono” sottintende un’azione che non è fiscale ma – anch’essa – civilistico-contabile, mentre nel lessico riferito alla materia fiscale si usa il termine “costituire”; in tal senso ha citato alcune norme del TUIR e di altri testi normativi in cui è adottata la suddetta terminologia). Analogamente, il termine “comparto” non sembra proprio del linguaggio afferente alla materia fiscale, ove si parla piuttosto di “categorie” (ad esempio, l’art. 94 del TUIR, in tema di valutazione dei titoli).
Ad avviso della ricorrente, poi, la seconda parte dell’art. 6 (laddove si precisa che restano “in ogni caso ferme le disposizioni di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38”, ovvero le disposizioni che prevedono l’obbligo o la facoltà di adottare i principi contabili internazionali per la redazione del bilancio) denoterebbe l’impossibilità di attribuire alla norma una valenza fiscale.
Ciò perché, laddove il primo periodo dell’art. 6, comma 6, in commento avesse effettivamente una valenza fiscale (così come affermato dall’Ufficio), non vi sarebbe stata alcuna necessità di fare salva l’applicazione degli IAS/IFRS, perché non vi sarebbe stato motivo per ritenere che tali principi non avrebbero dovuto o potuto più trovare applicazione (o comunque essi avrebbero dovuto trovare una differente applicazione per effetto dell’art. 6, comma 6, del Decreto).
In altri termini, secondo la ricorrente, in tanto ha senso specificare la perdurante applicazione dei principi IAS/IFRS, in quanto la disposizione precedente ha un campo di applicazione in qualche modo, e anche solo parzialmente, sovrapponibile a quello dei principi contabili internazionali, il che condurrebbe ad escludere che tale norma avesse una valenza fiscale, come invece ritenuto dall’Ufficio.
Inoltre, poiché gli effetti fiscali della riforma sono stati disciplinati dall’art. 1, comma 148, della legge di stabilità 2014 (con applicazione di un’imposta sostitutiva commisurata ai maggior valori delle partecipazioni Bankitalia iscritti in bilancio), non sarebbe stato sistematicamente coerente che altra disciplina, in materia di dividendi, fosse dettata dall’art. 6 citato.
Ciò contrasterebbe con l’art. 2 dello Statuto del contribuente, il quale prevede che “le leggi e gli altri atti aventi forza di legge che contengono disposizioni tributarie devono menzionarne l’oggetto nel titolo”, aggiungendo altresì che “la rubrica delle partizioni interne e dei singoli articoli deve menzionare l’oggetto delle disposizioni ivi contenute”, ed altresì – al secondo comma – che “le leggi e gli atti aventi forza di legge che non hanno un oggetto tributario non possono contenere disposizioni di carattere tributario, fatte salve quelle strettamente inerenti all’oggetto della legge medesima”.
Nel caso di specie, viceversa, tali previsioni non sussisterebbero.
Inoltre, la ricorrente richiama il contenuto dell’art. 1, comma 148, della legge di stabilità 2014, laddove prevede che l’imposta sostitutiva dell’IRES e dell’IRAP prevista da tale legge si applica “Ai maggiori valori iscritti nel bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2013, per effetto dell’articolo 6, comma 6, del decreto legge 30 novembre 2013, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2014, n. 5 [ ]”; ciò significherebbe che l’art. 6, comma 6, del decreto, ha la sola funzione di regolamentare l’iscrizione in bilancio.
Analoga esclusione del significato fiscale della norma in commento si rinviene, secondo la ricorrente, da ulteriori testi, e segnatamente: la relazione illustrativa al disegno di conversione del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, in cui si afferma che “Il comma 148 dell’articolo 1 della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) specifica la disciplina concernente la riclassificazione contabile delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia operata dall’articolo 6, comma 6, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133”; il parere del 27 dicembre 2013 della Banca Centrale Europea in cui si affermava che “In conseguenza all’operazione di ricapitalizzazione autorizzata dal decreto legge, le quote devono essere registrate nei conti patrimoniali degli azionisti nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione al valore precedente l’operazione, al fine di costituire un mercato per le quote della Banca d’Italia”.
Un’ulteriore conferma di quanto asserito si trarrebbe dal tenore letterale del citato art. 1, comma 148, laddove specifica che “il valore fiscale delle quote si considera riallineato al maggior valore iscritto in bilancio, fino a concorrenza del valore nominale, a partire dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione”; osserva sul punto la ricorrente che, laddove l’art. 6 avesse avuto natura fiscale, il valore fiscale delle partecipazioni Bankitalia sarebbe risultato già riallineato al loro valore di bilancio al 31 dicembre 2013, per effetto di quanto disposto nell’art. 6.
La ricorrente, inoltre, ha richiamato la relazione tecnica del D.L. 133/2013, che non prevedeva uno specifico gettito ricollegabile al Decreto, altresì evidenziando che gli effetti positivi del gettito erano di difficile quantificazione, anche in ragione dell’impossibilità di quantificare il valore delle plusvalenze attive; dunque, ipotizzando che il gettito fosse collegabile alle sole plusvalenze e non anche ai dividendi.
L’unico gettito atteso, quindi, ancorché di difficile quantificazione, era quello derivante dall’applicazione dell’imposta sostitutiva (una tantum) prevista dall’art. 1, comma 148, della Legge di stabilità 2014 e non certamente quello connesso alla tassazione (periodica) dei futuri dividendi.
La ricorrente ha, poi, svolto una serie di considerazioni relative al contesto in cui è maturata la riforma, per giungere alla conclusione che l’iscrizione nel portafoglio di trading si rendeva necessaria in relazione alle esigenze di patrimonializzazione e vigilanza avute di mira con la riforma; per concludere che l’interpretazione che l’Ufficio propone della fattispecie è in contrasto anche con la ratio sottesa alla Riforma, in generale, e all’art. 6, comma 6, in particolare, con cui si mirava ad un rafforzamento patrimoniale e ai fini di vigilanza delle banche, e non certamente al maggior gettito per l’Erario mediante la tassazione integrale dei dividendi.
Sotto altro profilo, poi, sussisterebbe un contrasto interno alla stessa norma, sotto il profilo contabile, in quanto essa si riferisce, al comma 1, anche a soggetti diversi da quelli IAS-adopter, mentre al secondo comma ai soli soggetti IAS-adopter. La norma avrebbe, quindi, inteso imporre, al primo periodo del comma 6, uno specifico trattamento contabile delle partecipazioni Bankitalia (quale titolo di trading) per tutti i soggetti partecipanti, siano essi IAS-adopter ovvero OIC-adopter (per questi ultimi, infatti, non sussistono problemi di compatibilità con i principi contabili internazionali), mentre, solo per i primi, ha subordinato l’applicazione di tale impostazione contabile alla circostanza che la stessa, sulla base dei fatti e delle circostanze dei singoli soggetti, risulti in ogni caso compatibile con quanto disposto dai principi IAS/IFRS, attesa la loro inderogabilità.
Con il quinto e sesto motivo di ricorso, la ricorrente ha eccepito l’illegittimità dell’avviso impugnato per violazione del divieto di doppia imposizione, nonché del correlato principio di capacità contributiva.
Gli stessi dividendi oggetto di tassazione con l’atto impugnato hanno infatti già costituito oggetto di imposizione per effetto dell’art. 1, comma 148, della legge di stabilità 2014, che ha previsto l’assoggettamento a tassazione dei “maggiori valori iscritti nel bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2013, per effetto dell’articolo 6, comma 6″ del Decreto mediante l’applicazione di un'”imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali” nella misura del 26 per cento del valore nominale delle partecipazioni Bankitalia alla suddetta data, al netto del valore fiscalmente riconosciuto delle stesse.
Con il settimo motivo di ricorso, la ricorrente ha eccepito l’illegittimità e/o infondatezza dell’avviso di accertamento impugnato anche per violazione dell’art. 40-bis del d.P.R. n. 600 del 73, nonché del principio di capacità contributiva, stante l’insussistenza di alcun debito d’imposta a livello di consolidato.
ln particolare, l’avviso di accertamento è altresì illegittimo e infondato e va annullato anche perché, ammesso (ma non concesso) che i dividendi Bankitalia avessero dovuto effettivamente essere assoggettati a tassazione ai sensi dell’art. 89, comma 2-bis del TUIR (ma così non è), ciò in ogni caso non avrebbe determinato l’emersione di alcun debito d’imposta.
Con l’ottavo e nono motivo di ricorso, la ricorrente ha dedotto l’illegittimità delle sanzioni sia stante l’insussistenza di alcun debito d’imposta a livello di consolidato, sia in ragione dell’assenza di un comportamento colpevole da parte della contribuente, stante le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio, contestando tutto quanto dedotto dalla ricorrente e chiedendo il rigetto del ricorso.
Segnala, in particolare, che parte ricorrente, nel rigo RF47 della dichiarazione IRES 2015, ha appostato una dichiarazione in diminuzione per il 95% totale degli utili percepiti, che pertanto non sono stati tassati.
L’Ufficio spiega che, a fronte dell’operazione di aumento di capitale della Banca d’Italia, i soggetti bancari partecipanti hanno dovuto rivalutare civilisticamente nel bilancio la loro quota al nuovo valore, in modo che il valore complessivo della quota fosse pari a 25mila euro per azione, moltiplicato per il numero delle azioni possedute.
Gli aspetti fiscali di tale operazione sono stati disciplinati dall’art. 6, comma 6, D.L. n. 133/2013 e dall’art. l, comma 148, L. n. 147/2013, mediante l’iscrizione delle quote nel comparto attività finanziarie detenute per la negoziazione, ai medesimi valori (portafoglio di trading). Secondo l’Ufficio, la locuzione “medesimi valori” si riferisce al valore di 25mila euro per azione, a seguito dell’aumento di capitale di Banca d’Italia. Si tratterebbe di iscrizione di comparto a valenza strettamente fiscale. L’ultimo periodo del comma 6 dell’art. 6 D.L. n. 133/2013, infatti, fa salva l’applicazione dell’art. 4 D. Lgs. n. 38/2005, ossia la redazione dei bilanci in conformità ai principi contabili internazionali. Pertanto, ai fini civilistici, la classificazione di portafoglio non ha alcun effetto.
Dal punto di vista fiscale, dette partecipazioni sono appostate nel portafoglio delle attività finanziarie detenute per la negozi azione, mentre civilisticamente continuano ad essere classificate nel portafoglio delle attività finanziarie disponibili per la vendita, in applicazione dei principi contabili internazionali che restano fermi.
Detto inquadramento genera conseguenze anche per il trattamento dei dividendi percepiti dalla partecipazione in Banca d’Italia, in applicazione dell’art. 89, comma 2 bis, TUIR. Affinché tale rivalutazione civilistica acquisisse rilevanza fiscale, l’art. l, comma 148, L. n. 147/2013 ha previsto l’applicazione ai maggiori valori iscritti in bilancio 2013, di una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, IRAP e addizionali al 26%.
Detta imposta si applica ai maggiori valori iscritti nel bilancio.
Nega la sussistenza del difetto di motivazione e della violazione del contraddittorio, e sostiene anche che non sussistono le condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma.
La ricorrente ha poi depositato una memoria illustrativa con cui ha replicato alle tesi della parte resistente ed ha insistito nei motivi di ricorso.
Infine, ha depositato una seconda memoria, in vista dell’udienza pubblica del 15 dicembre 2022, in cui ha fatto riferimento all’ordinanza interlocutoria n. 1380/2022 di questo Giudice che aveva rinviato la causa a nuovo ruolo, ravvisando l’esigenza di sentire nuovamente le parti “considerato che sulla norma contestata in ricorso pende questione di legittimità costituzionale”.
Ebbene, parte ricorrente, sul punto, precisa che la CTP Trieste, con ordinanza del 29 giugno 2022, n. 74, con cui ha sottoposto alla Consulta la questione di legittimità costituzionale del diverso, ma connesso, art. 1, comma 148, della Legge di stabilità 2014 (con cui è stato previsto il pagamento di un’imposta sostitutiva ai fini del riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell’art. 6, comma 6, del Decreto, cfr. pag. 6 e ss. del ricorso introduttivo), ha opportunamente rilevato come “non sussiste una classificazione fiscale ex lege delle partecipazioni Banca d’Italia”, specificando altresì, per l’effetto, che “La ricostruzione del quadro normativo ed interpretativo di riferimento induce a dissentire dalla tesi secondo cui il comma 6 dell’art. 6 del decreto-legge n. 133/2013 prevederebbe una classificazione fiscale ex lege delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività finanziarie detenute per la negoziazione indipendente dalla loro classificazione contabile”; che, in palese contrasto con le tesi dell’Ufficio, “La predetta disposizione sembra volta ad introdurre esclusivamente un obbligo di classificazione e valutazione delle partecipazioni della Banca d’Italia di valenza contabile non solo perché non reca alcun richiamo alla normativa fiscale ovvero a nozioni fiscali, ma anche perché, ponendo il precetto secondo cui i «partecipanti al capitale di Banca d’Italia … iscrivono le quote di cui all’art. 4, comma 2, nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione ai medesimi valori» e cioè ai maggiori valori derivanti dall’aumento del loro valore nominale a 25.000 euro, richiama nozioni contabili”; ed infine che “Inoltre, il secondo periodo del comma 6 dell’art. 6 del decreto-legge n. 133/2013, mantenendo «in ogni caso ferme le disposizioni di cui all’art. 4 del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38» e cioè le disposizioni che prevedono l’obbligo o la facoltà di adottare i principi contabili internazionali per la redazione del bilancio, non solo dà per presupposto che il precedente primo periodo sancisca un obbligo di valenza contabile e non fiscale, risultando altrimenti inutiliter data, ma per i soggetti IAS adopter ha escluso anche la stessa sussistenza di un autonomo obbligo di classificazione contabile, mantenendo ferma l’applicazione degli IAS.
Né d’altra parte può obiettarsi che tale clausola, proprio facendo salva l’applicazione dei principi contabili internazionali, intenderebbe riconoscere una valenza esclusivamente fiscale agli obblighi di classificazione e valutazione sanciti dal comma 6 dell’art. 6 del decreto-legge n. 133/2013 per il fatto che, se così fosse stato, avrebbe dovuto fare salva l’applicazione anche delle disposizioni del codice civile in materia di bilancio”. Insiste, quindi, per l’accoglimento del ricorso con liquidazione delle spese di lite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte, letti gli atti ed i documenti, osserva quanto segue.
Il ricorso è fondato e meritevole di accoglimento, atteso che questo Collegio non condivide le conclusioni di cui alla sentenza della CGT di primo grado di Roma n. 185/2023, Sezione 24 che ha deciso sfavorevolmente il ricorso per l’anno 2015.
In primo luogo, sono da disattendere le due doglianze relative al difetto di motivazione e di contraddittorio.
La prima perché l’atto impugnato delimita in maniera sufficiente tanto i presupposti di fatto, quanto le norme giuridiche poste a presidio di un contesto fattuale analogo a quello di specie, in modo tale da avere consentito a parte ricorrente un pieno e libero esercizio del diritto di difesa.
Quanto alla seconda doglianza, si può convenire con l’Ufficio e con l’ormai giurisprudenza consolidata della Cassazione che è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e che, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo (Cfr. Cassazione n. 19951/2022, n. 8378/2017, n. 3583/2016).
Nel merito, come detto, il ricorso è invece fondato.
Il Collegio, infatti, condivide il ragionamento operato dalla CTP Trieste, con ordinanza del 29 giugno 2022, n. 74, con cui ha sottoposto alla Consulta la questione di legittimità costituzionale del diverso, ma connesso, art. 1, comma 148, della Legge di stabilità 2014.
In particolare, la ricostruzione del quadro normativo ed interpretativo di riferimento induce a dissentire dalla tesi secondo cui il comma 6 dell’ art. 6 del D.L. n. 133/2013 prevederebbe una classificazione fiscale ex lege delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività finanziarie detenute per la negoziazione indipendente dalla loro classificazione contabile.
La predetta disposizione sembra volta ad introdurre esclusivamente un obbligo di classificazione e valutazione delle partecipazioni della Banca d’Italia di valenza contabile non solo perché non reca alcun richiamo alla normativa fiscale ovvero a nozioni fiscali, ma anche perché, ponendo il precetto secondo cui i “partecipanti al capitale di Banca d’Italia … iscrivono le quote di cui all’art. 4, comma 2, nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione ai medesimi valori” e cioè ai maggiori valori derivanti dall’aumento del loro valore nominale a 25.000 euro, richiama nozioni contabili.
Ed infatti, se da un lato è esclusivamente la contabilità che accoglie l’iscrizione dei valori delle partecipazioni, esistendo autonome scritture fiscali solo per i beni ammortizzabili e quelli di magazzino, dall’altro lato, anche la nozione di “comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione” è una nozione contabile in quanto il T.U.I.R. utilizza di regola le diverse nozioni di attività che “non costituiscono immobilizzazioni finanziarie” nel comma 1 dell’ art. 85 del T.U.I.R., in contrapposizione a quelle di attività classificate “nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie” utilizzata nell’art. 87 e di attività che “costituiscono” o “si considerano come immobilizzazioni finanziarie” utilizzata nei commi 3 e 3- bis dell’art. 85, nel comma 4 dell’art. 86, nei commi 2 e 2- bis dell’art. 101 e nei commi 1 ed 1- bis dell’ art. 110 del medesimo T.U.I.R. Inoltre, il secondo periodo del comma 6 dell’art. 6 del D.L. n. 133/2013, mantenendo “in ogni caso ferme le disposizioni di cui all’ art. 4 del D.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38” e cioè le disposizioni che prevedono l’obbligo o la facoltà di adottare i principi contabili internazionali per la redazione del bilancio, non solo dà per presupposto che il precedente primo periodo sancisca un obbligo di valenza contabile e non fiscale, risultando altrimenti inutiliter data, ma per i soggetti IAS adopter ha escluso anche la stessa sussistenza di un autonomo obbligo di classificazione contabile, mantenendo ferma l’applicazione degli IAS.
Né, d’altra parte, può obiettarsi che tale clausola, proprio facendo salva l’applicazione dei princìpi contabili internazionali, intenderebbe riconoscere una valenza esclusivamente fiscale agli obblighi di classificazione e valutazione sanciti dal comma 6 dell’ art. 6 del D.L. n. 133/2013 per il fatto che, se così fosse stato, avrebbe dovuto fare salva l’applicazione anche delle disposizioni del Codice civile in materia di bilancio.
A ben vedere, peraltro, è lo stesso comma 148 della Legge n. 147/2013 a confermare che l’obbligo d’iscrizione delle partecipazioni nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione ai maggiori valori derivanti dall’aumento del loro valore nominale a 25.000 euro ha una valenza contabile in quanto prevede non solo che il comma 6 dell’ art. 6 del D.L. n. 133/2013 ha come effetto l’ iscrizione di “maggiori valori” nel bilancio dell’esercizio 2013 , ma anche che i maggiori valori così iscritti non sono rilevanti fiscalmente in quanto, come si è visto, assumono rilevanza fiscale soltanto nel periodo d’imposta 2014 fino a concorrenza del maggior valore nominale delle quote dietro pagamento dell’imposta sostitutiva del 26%.
Nel senso appena esposto depone anche la relazione illustrativa dell’art. 4 di tale D.L., laddove lascia intendere che il provvedimento legislativo non ha inteso modificare il regime fiscale dei dividendi delle partecipazioni della Banca d’Italia, avendo precisato che “il meccanismo di remunerazione basato esclusivamente sull’ammontare massimo dei dividendi, a valere sull’utile netto di esercizio, mantiene inalterato l’attuale regime fiscale”.
Tant’è vero che la relazione tecnica non ha inserito fra le previsioni di gettito il maggior gettito derivante
dall’integrale assoggettamento ad IRES dei dividendi.
Ed ancora, il comma 6 dell’art. 6 del D.L. n. 133/2013 non può porre a carico dei soggetti IAS adopter un obbligo di classificazione fiscale delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività finanziarie detenute per la negoziazione indipendente dalla qualificazione contabile, perché l’ art. 83 del T.U.I.R., sancendo il principio secondo cui i criteri di classificazione previsti dai princìpi contabili internazionali assumono diretta valenza fiscale, in difetto di una deroga espressa, non consente di prevedere classificazioni fiscali difformi da quelle dei predetti princìpi. Comunque, la previsione di un obbligo di riclassificazione solo fiscale delle partecipazioni della Banca d’Italia fra le attività finanziarie detenute per la negoziazione violerebbe i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’art. 3 della Costituzione, in quanto comporterebbe l’assoggettamento dei proventi di tali partecipazioni non detenute per la negoziazione ad un regime fiscale deteriore rispetto a quello dei proventi delle altre partecipazioni non detenute per la negoziazione, senza una giustificazione razionale, sfavorendone l’acquisto e la detenzione, tanto più per il fatto che per le partecipazioni della Banca d’Italia eccedenti il 3% non è previsto il pagamento di dividendi.
Né può obiettarsi che, in tal caso, l’assoggettamento integrale ad IRES dei dividendi e delle plusvalenze potrebbe trovare giustificazione nel precedente assoggettamento ad imposta sostitutiva con l’aliquota del 26% dei maggiori valori derivanti dall’aumento del valore nominale delle partecipazioni della Banca d’Italia.
L’applicazione di tale imposta sostitutiva ha comportato un aggravio e non un risparmio d’imposta a carico delle imprese, che non le hanno acquistate per la negoziazione in quanto le plusvalenze di tali partecipazioni avrebbero altrimenti fruito della PEX.
D’altro canto, sarebbero integralmente soggetti ad IRES anche i dividendi e le plusvalenze di partecipazioni detenute da imprese IAS adopter che, avendole acquistate dopo il periodo d’imposta 2013, non hanno corrisposto l’imposta sostitutiva. Peraltro, l’assoggettamento al regime d’imposizione integrale dei dividendi anche delle partecipazioni della Banca d’Italia non detenute per la negoziazione si pone in chiaro contrasto con la ratio di tale regime in quanto, essendo stato introdotto per contrastare le operazioni di acquisto e rivendita di partecipazioni che consentano di conseguire dividendi esclusi in contropartita del realizzo di minusvalenze deducibili, non ha ragione di trovare applicazione anche per le partecipazioni così individuate.
Infine, l’integrale assoggettamento ad IRES dei dividendi delle partecipazioni della Banca d’Italia non detenute per la negoziazione sarebbe incompatibile con l’eventuale fruizione della PEX sulle plusvalenze realizzate mediante la loro cessione a titolo oneroso, per il fatto che consentirebbe di considerare esenti da IRES per il 95% del loro importo plusvalenze che troverebbero fonte nella capitalizzazione di dividendi integralmente soggetti a tale imposta.
Con l’entrata in vigore dell’ IFRS 9 le conclusioni esposte sono state vieppiù confermate dall’art. 2 del Decreto del MEF del 10 gennaio 2018, recante “disposizioni di coordinamento” tra lo IFRS 9 “e le regole di determinazione della base imponibile dell’IRES e dell’IRAP”.
Tale disposizione ha, infatti, stabilito che, a seguito dell’adozione di tale principio contabile, “si considerano detenute per la negoziazione, ai sensi del comma 3-bis dell’ art. 85 del T.U.I.R.”, esclusivamente le attività finanziarie che integrino due distinti requisiti di natura contabile e cioè che rispettino “la definizione di possedute per la negoziazione di cui alle lettere a) e b) dell’Appendice A dell’IFRS 9” e “che sono rilevate come tali in bilancio”, senza fare alcuna eccezione per le partecipazioni nel capitale della Banca d’Italia.
Pertanto, come rilevato nella relazione illustrativa, tale disposizione ha statuito che le partecipazioni non detenute principalmente al fine di essere vendute o riacquistate a breve “non possono essere in alcun caso ricondotte alla classificazione di quelle detenute per la negoziazione, ai sensi del comma 3-bis dell’ art. 85 del T.U.I.R.”.
L’aver escluso che il comma 6 dell’ art. 6 del D.L. n. 133/2013 possa sancire una classificazione fiscale ex lege delle partecipazioni della Banca d’Italia come attività detenute per la negoziazione indipendente dalla loro classificazione contabile, consente di concludere che è la classificazione riservata a tali partecipazioni nel bilancio di esercizio ad assumere rilevanza fiscale.
Pertanto, le società commerciali IAS adopter devono ritenersi legittimate a fruire sui dividendi del regime di esclusione da IRES del 95%, fino all’esercizio 2017, nel caso in cui abbiano continuato a classificare le predette partecipazioni nel comparto delle attività finanziarie disponibili per la vendita e, a partire dall’esercizio 2018, in quanto non detengano tali partecipazioni al fine di venderle a breve e non le abbiano quindi classificate nella voce relativa alle attività finanziarie detenute per la negoziazione, ove prevista nello schema di bilancio, nonché della PEX, nel caso in cui non abbiano iscritto le predette partecipazioni fra quelle detenute per la negoziazione nel bilancio relativo al primo esercizio chiuso nel periodo di possesso.
Inoltre, i soggetti OIC adopter devono ritenersi legittimati a fruire non solo del regime di esclusione da IRES del 95% sui dividendi, ma anche della PEX, nel caso in cui abbiano classificato le partecipazioni della Banca d’Italia fra le immobilizzazioni finanziarie nel bilancio del primo esercizio chiuso nel periodo di possesso, nonché, nel bilancio dell’esercizio 2003 o dell’esercizio 2002, secondo che siano state acquistate nell’esercizio 2003 o in quelli precedenti.
Pertanto, per quanto sora esposto, il ricorso deve essere accolto, ma la particolarità, complessità e novità della controversia inducono a compensare le spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Spese compensate.