Corte di Cassazione, ordinanza n. 20179 depositata il 13 luglio 2023
nullità degli atti impositivi
RILEVATO CHE
– Con la sentenza della CTR indicata in epigrafe veniva rigettato l’appello proposto da L.M., titolare dell’omonima impresa individuale esercente attività di agriturismo, avverso la sentenza della CTP di Catania, con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dal predetto contribuente avverso l’avviso di accertamento, riguardante imposte dirette e IVA, relativo all’anno 2003;
– dalla sentenza impugnata si evince, in sintesi, che:
– l’accertamento analitico – induttivo ai sensi dell’art. 39, comma I, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 è legittimo, quando le risultanze contabili divergono sensibilmente dai riscontri operati dall’Ufficio;
– nella specie, i ricavi erano stati correttamente ricostruiti sulla base dell’elaborazione di prezzi mediamente praticati dal contribuente desumendoli dalle ricevute fiscali emesse nel corso dell’anno 2003 e dai dati di ricezione indicati nel nulla-osta rilasciato dall’Ispettorato provinciale dell’agricoltura (IPA), ridotti del 20%, per un totale di maggiori ricavi pari ad € 353.000,00;
– i costi sono stati riconosciuti nella misura dichiarata dal contribuente, con esclusione di quelli per ammortamenti, non avendo il contribuente prodotto il registro dei beni ammortizzabili;
– la mancata convocazione del contribuente, a seguito della presentazione dell’istanza di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 218 del 1997, non incide sulla validità dell’avviso di accertamento, non essendo detta convocazione obbligatoria;
– contro la suddetta decisione proponevano ricorso per cassazione gli eredi di L.M., affidato a due motivi, illustrati con memoria;
– l’Agenzia resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
– Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione e la falsa applicazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, 3 della l. n. 241 del 1990, 7 della l. n. 212 del 2000, 112 cod. proc. civ., 97 e 53 Cost., non avendo la CTR censurato l’operato dell’Amministrazione finanziaria che non aveva considerato le osservazioni fatte valere dal contribuente e la documentazione da lui prodotta già nella fase procedimentale, prima della notificazione dell’avviso di accertamento;
– il motivo è infondato;
– con riferimento all’asserito obbligo per l’Ufficio di considerare, nella motivazione dell’atto impositivo, le osservazioni formulate dal contribuente, occorre rilevare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – cui questo collegio intende dare continuità – dalla stessa lettura della prima parte del comma 7 dell’art. 12 della l. n. 212 del 2000 (“nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori”) e dal raffronto con il tenore più perentorio della seconda parte del medesimo comma (“l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”), si evince che all’obbligo dell’amministrazione finanziaria di “valutare” le osservazioni del contribuente (cui l’imposizione del termine dilatorio, questa sì a pena di nullità, è strumentale) non si aggiunge l’ulteriore obbligo di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo, a pena di nullità, né a diversa conclusione può pervenirsi sulla base di quanto disposto dall’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 (Cass. n. 2583 del 2016; n. 8378 del 2017);
– occorre rammentare in proposito che “non tutte le irregolarità possono dar luogo a nullità, ma soltanto quelle così sanzionate dalla legge, ovvero quelle che, anche in difetto di una comminatoria espressa, sono talmente lesive di specifici diritti o garanzie da impedire la produzione di qualsiasi effetto da parte dell’atto cui ineriscono” (Cass. n. 4324 del 2011; n. 28764 del 2005);
– l’orientamento giurisprudenziale citato dai ricorrenti, infatti, riguardava proprio un caso in cui l’amministrazione è esplicitamente obbligata a tener conto dell’esito del contraddittorio con il contribuente, in tema di applicazione dei coefficienti e parametri presuntivi di reddito derivanti dal c.d. redditometro, a fronte di puntuali e dettagliate deduzioni difensive presentate dal contribuente a seguito della relativa richiesta di chiarimenti (Cass. n. 4624 del 2008);
– poiché la fattispecie in esame non rientra in alcuna delle ipotesi in cui è espressamente prevista la sanzione di nullità per l’inosservanza dell’obbligo in argomento, deve concludersi che la sentenza impugnata non abbia violato alcuna delle invocate disposizioni di legge respingendo implicitamente le osservazioni che la parte era stata abilitata a svolgere, nel termine dilatorio pacificamente rispettato dall’amministrazione;
– con il secondo motivo, deducono, ai sensi dell’art. 360, comma 1, 3 cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, avendo la CTR ritenuto legittimo l’accertamento, sebbene fondato su elementi errati, non avendo l’Agenzia considerato la documentazione esibita dal contribuente e quella pertinente all’annualità oggetto di verifica e alla tipologia di attività esercitata, posto che il numero dei posti letto e dei pasti era stato desunto da un documento relativo all’anno 2005 (prospetto risultante dal nulla – osta dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Catania), relativo ad un periodo successivo a quello oggetto di verifica e, dunque, non utilizzabile per l’anno 2003;
– anche questo motivo è infondato;
– come ha ripetutamente affermato questa Corte, in tema di accertamento dei redditi, costituisce presupposto per procedere col metodo analitico induttivo la complessiva inattendibilità della contabilità, da valutarsi sulla base di presunzioni ex art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600, del 1973, alla stregua di criteri di ragionevolezza, ancorché le scritture contabili siano formalmente corrette; dette presunzioni non devono essere necessariamente plurime, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave (ex plurimis, Cass. n. 22184 del 2020);
– dalla sentenza impugnata si evince che l’accertamento prende le mosse dalla consegna solo parziale della documentazione richiesta, a seguito della quale l’Ufficio ha operato una ricostruzione analitico – induttiva dei ricavi sulla base della media dei prezzi praticati dallo stesso contribuente, come rilevati dalle ricevute fiscali emesse nel corso dell’anno 2003, e dei dati sulle presenze, ricavati dal nulla-osta rilasciato dall’IPA;
– la doglianza riguardante la mancata considerazione dei dati statistici relativi alle effettive presenze negli esercizi extra – alberghieri nell’anno 2003, in luogo di quelli (ritenuti dal contribuente non pertinenti) desunti da un documento relativo all’anno 2005, successivo a quello oggetto di verifica, mira, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, ad una inammissibile rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, prospettando nel ricorso non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito (ex multis, Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
– in ogni caso, occorre rilevare che l’Ufficio ha rideterminato i ricavi anche sulla base della documentazione contabile, tanto che il prezzo medio giornaliero, riguardante le prestazioni di ristorazione e di pernottamento, è stato desunto dalle ricevute fiscali prodotte dal contribuente, ricavando poi in via induttiva i dati sulle presenze, in mancanza di quelli effettivi, non prodotti dal contribuente, e operando prudenzialmente una riduzione del 20% sia sui pasti che sui posti letto;
– in conclusione, il ricorso va rigettato e i ricorrenti devono essere condannati in solido al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna Viola Teresa, Lirosi Michele e Lirosi Francesco, nella qualità di eredi di L.M., in solido al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio, che liquida in euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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