Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Basilicata, sezione 1, sentenza n. 128 depositata il 27 ottobre 2022

Sentenza penale – Efficacia di giudicato nel processo tributario – Prova.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’AdE di Matera accertava maggiori redditi per l’anno 2003, con avviso n. xxxxxxxx notificato in data 11.12.2006 nei confronti della “D.” esercente l’attività di “Intermediario Commercio autoveicoli usati”. Successivamente, a seguito dell’acquisizione del PVC redatto in data 02/04/2008 dalla Guardia di Finanza di Metaponto, emetteva, ancora per l’anno 2003 nuovo avviso di accertamento n. xxxxxxxx, con il quale rilevava la mancata applicazione dell’iva regime ordinario su alcuni acquisti e richiedeva il pagamento di una maggiore IVA per un ammontare di euro 18.653,00, oltre interessi ed irrogazione di sanzione paria a euro 23.041,00. I suddetti acquisti, per un ammontare complessivo di euro 93.260,00, risultavano documentati mediante fatture rilasciate dalla ditta “C.”, recanti la dicitura “operazione soggetta al regime del margine ex art. 36 d.l. 41/95” e le stesse autovetture risultavano cedute dalla ditta D.T nel corso dello stesso anno a privati consumatori, per un importo totale di euro 100.500,00. I veicoli in questione risultavano essere stati acquistati dalla ditta belga “A.”, che non aveva rilasciato alcuna attestazione in merito alla applicazione del regime del margine sulla cessione da essa effettuata. In conseguenza, la cessione dei predetti veicoli non poteva essere assoggettata al regime del margine ex art. 36 d.l. 41/95″ in quanto, ai sensi dell’art. 37 del d.l. 41/95 solamente “gli acquisti di beni di cui all’art. 36 assoggettati al regime del margine nello Stato membro di provenienza, non sono considerati acquisti intracomunitari”;.

Avverso il secondo avviso di accertamento il D. T. proponeva ricorso alla CTP di Matera eccependo che l’atto impugnato non riportava la sottoscrizione del direttore della convenuta Agenzia, bensì quella di altro funzionario; esprimeva, inoltre, ulteriori doglianze circa la violazione dello Statuto del contribuente per mancata allegazione del PVC elevato nei confronti dell’accertata C. e la irritualità dell’attività istruttoria della G.d.F. per essersi proceduto all’acquisizione di documenti in violazione dell’art. 52, comma 7, DPR 633/1972. Eccepiva, infine, la piena sussistenza dei requisiti per l’applicazione del margine sulle fatture contestate, non risultando provato, in atti, il contrario ed anzi dovendosi ritenere la piena legittimità dell’operato del contribuente . La C.T.P. di Matera , con sentenza n. 239/1/09 del 01/12/2009, accoglieva il ricorso affermando, tra l’altro, “che concreti dubbi derivano dalle ulteriori supposizioni avanzatesi e non sufficientemente dimostrate che, fra le varie cose, la parte abbia, in sodalizio con la ditta “C.” ritenuta cartiera di fatture false, realmente perpetrato operazioni finalizzate all ‘evasione fiscale” .

Avverso detta pronuncia l’AdE ricorreva in appello, all’esito del quale la CTR, con sentenza n. 154/1/2013, pronunciata il 5 aprile 2013, confermava la pronuncia di primo grado, affermando che “…..da ultimo e non ultimo, essendosi accertato in fatto nel processo penale innanzi al Tribunale di Chieti l’insussistenza del reato addebitato al C., inerente gli stessi fatti oggetto di accertamento fiscale , viene a cadere anche la presunzione che il contribuente fosse a conoscenza di una situazione di fatto mai esistita e che cioè le autovetture non dovessero essere assoggettate al regime del margine”.

L’AdE ricorreva in Cassazione avverso la predetta sentenza e la S.C. con ordinanza n. 15375 del 20 luglio 2020, oltre ad asserire che vi era l’obbligo di verificare se sussistessero i presupposti per l’integrazione o modificazione in aumento del primo avviso di accertamento, al fine di verificare se il potere accertativo fosse stato legittimamente esercitato una seconda volta sulla base di elementi nuovi appresi dall’Ufficio, statuiva: “La sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula «perche il fatto non sussiste», non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorche i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione destinata ad operare (Cass., sez. 5, ordinanza n. 17258 del 27/06/2019; Cass. n. 10578 del 22/5/2015). La Commissione Regionale era dunque tenuta a valutare specificamente, ancorchè al fine della formazione del proprio libero convincimento, la sentenza penale assolutoria pronunciata nei confronti del titolare dell’impresa C., mentre ne ha omesso totalmente l’esame, limitandosi a desumere che l’assoluzione in sede penale fosse di per sè sufficiente a far ritenere insussistente la presunzione di conoscenza della frode carosello in capo al contribuente.” Annullata dalla S.C. la sentenza di questa CTR del 5.4.2013, con ricorso ex art 63 d lgs. 546 /1992 il D. T. riassumeva la causa innanzi a questa CTR, riproponendo i motivi di ricorso gia formulati e chiedendo l’annullamento della cartella di pagamento impugnata e la conferma della decisione di primo grado.

L’appello dell’AdE va rigettato. Alla luce del pronunciato della S.C., punto nodale della vicenda che ci occupa è verificare , in concreto, se la sentenza di assoluzione del contribuente, ad opera del Tribunale di Chieti, ed emessa in relazione ai medesimi fatti contestati con l’impugnato avviso di accertamento, possa riverberarsi o meno sul giudicato tributario. Orbene tale indagine non può che essere condotta attraverso l’esame specifico delle motivazioni della predetta pronuncia di assoluzione e quindi rendendosi imprescindibile l’acquisizione, al presente processo, del relativo documento, in realtà mai effettivamente prodotto dalle parti.

Non essendo peraltro normativamente previsto un potere di integrazione istruttoria autonomo in capo al giudice tributario, questa CTR, attesa la mancata produzione della predetta pronuncia (cui doveva ritenersi onerata l’AdE appellante che, in concreto, vi aveva interesse avendo impugnato una pronuncia a lei sfavorevole), non può che prendere atto, comunque, della pronuncia del Tribunale di Chieti in ordine alla mera non riconducibilità dei fatti (identici a quelli oggetto del presente processo) al contribuente , se pur dal punto di vista penalistico. Va quindi confermato quanto deciso dall’impugnata pronuncia della CTP di Matera, ritenendosi che la predetta sentenza dell’A.G. ordinaria, incidendo sulla possibilità di ricondurre i fatti all’operato del contribuente, sia preclusiva dell’accertamento giudiziale della legittimità dell’atto di accertamento impugnato . Tenuto conto della particolarità dei fatti, le spese del giudizio andranno compensate.

P.Q.M.

La Commissione rigetta l’appello dell’ufficio . Spese compensate.