La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 34419 depositata l’ 11 dicembre 2023. intervenendo in tema di crediti inesistenti, ha statuito il principio di diritto secondo cui “… in tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, all’azione di accertamento dell’erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008, quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano i termini ordinari per l’attività di accertamento …”
I giudici di legittimità hanno riaffermato che deve essere escluso un allargamento dei presupposti di rilevanza per l’applicazione del più rigoroso regime giuridico: il credito non solo è inesistente al momento del suo utilizzo in compensazione ma tale inesistenza, quando gli adempimenti richiesti si traducano in attività non meramente formali, non è neppure rilevabile in sede di controllo automatizzato, restando la condotta del contribuente – che ha posto in compensazione il credito nonostante l’inosservanza degli obblighi, di facere o non facere, su di lui ricadenti – indubbiamente valutabile come abusiva e fraudolenta.
Infatti nella sentenza in commento viene precisato che nell’ambito dell’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997, alla luce dell’orientamento affermatosi, e ritenuto dalla sentenza in commento prevalente, con le sentenze gemelle Cass. n. 34444 e n. 34445 del 2021 che hanno evidenziato la novità rappresentata dall’art. 13, comma 5 del D. Lgs n. 471/1997, secondo cui nella stessa definizione positiva di credito inesistente “può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base del precedente impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati”. A tal proposito, ha precisato che la nozione di credito inesistente è ancorata ad una dimensione “non reale”, “non vera”, ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, e non anche a connotazioni di fraudolenza. “… ai fini sanzionatori-tributari risulterebbero configurabili le seguenti ipotesi:
a) la compensazione di crediti inesistenti e la cui inesistenza non è riscontrabile in sede di controllo automatizzato;
b) la compensazione di crediti inesistenti la cui inesistenza è, invece, riscontrabile in sede di controllo automatizzato;
c) la compensazione di crediti esistenti ma non spettanti per la violazione di soglie di utilizzabilità o delle procedure e/o le formalità previste per il loro utilizzo. …”
Il Supremo consesso chiarisce che “… la nozione di credito non spettante implica un credito tributario che, pur certo nella sua esistenza e nel suo ammontare, sia, per una qualche ragione normativa, ancora non utilizzabile o non più utilizzabile in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti tra il contribuente e l’Erario» mentre è inesistente «il credito del quale non sussistono gli elementi costituitivi e giustificativi» (v. Cass., Terza Sez. Pen. n. 3367 del 26/06/2014; Cass. Terza Sez. Pen. n. 41229 del 25/09/2018).
[…]
Va sottolineato, sul punto, che la diversa prospettiva unitaria e sistematica è stata recentemente fatta propria anche dalla Terza Sezioni penale di questa Corte, che, con la sentenza n. 7615 del 3 marzo 2022, ha affermato che la definizione di credito inesistente deve essere tratta, anche ai fini penali, dall’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997, come novellato nel 2015, sicché devono ricorrere entrambi i requisiti ivi previsti per considerare il credito inesistente ossia «a) deve mancare il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente); b) l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria … se manca uno di tali requisiti, il credito deve ritenersi non spettante».
[…]
In conclusione, appare evidente che la definizione di crediti inesistenti e crediti non spettanti debba intendersi senza soluzione di continuità – rientrando nella nozione della prima quali elementi costitutivi entrambi i requisiti ora esplicitamente previsti dall’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997 e già inclusi nell’art. 27, comma 16, d.l. n. 185 del 2008 ed assumendo rilevanza residuale quella di cui all’art. 13, comma 4 – e unitaria tra ambito penale e tributario. …”
Per i giudici di piazza Cavour non sussiste alcuna distonia dell’art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471 del 1997. Infatti “… la norma si riferisce a crediti “esistenti”, sicché è idonea ad includere anche le ipotesi di crediti che, ancorché carenti dei presupposti costitutivi, siano, tuttavia, suscettibili di riscontro in sede di controllo automatizzato, e, quindi, per definizione normativa “non inesistenti”. …”
Pertanto per la Suprema Corte avendo provveduto ad una lettura sistematica della normativa individua due presupposti quello oggettivo e quello procedimentale. In ordine al presupposto oggettivo oltre che all’artificiosità della condotta, l’inesistenza del credito viene alternativamente riferita alla “carenza dei presupposti costitutivi previsti dalla legge”. Inoltre grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere della prova della insufficienza dei riscontri documentali.
Per cui per i giudici di legittimità la distinzione tra credito inesistente e credito non spettante ha un carattere strutturale e trae il suo fondamento logico giuridico dal complessivo sistema ordinamentale tributario: l’inesistenza ha un carattere obiettivo mentre la non spettanza ha un carattere dinamico ancorato al presupposto dell’esistenza del credito.
Alla luce della sentenza in commento solo ai crediti inesistenti è applicabile, ai fini dell’accertamento, il termine lungo di otto anni, mentre ai crediti non spettanti si applica il termine breve.