Documentazione inerente indagini penali utilizzabili anche se manca l'autorizzazione del magistrato - Cassazione sentenza n. 23729 del 2013La Corte di Cassazione sez. tributaria con la sentenza n. 23729 depositata il 21 ottobre 2013 intervenendo in materia di accertamenti fiscali ha statuito che è legittimo l’accertamento fiscale anche se l’uso dei dati acquisiti dalla Finanza non fu autorizzato dal giudice penale. L’autorizzazione dell’autorità giudiziaria per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, e posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la sua mancanza, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi. Lo stesso principio vale nel caso in cui l’attività di polizia giudiziaria riguardi soggetti diversi dal contribuente. Il placet della magistratura serve a tutelare le indagini, non il contribuente: l’inosservanza dà luogo a responsabilità disciplinari ma non inficia il valore probatorio.
La vicenda ha avuto origine con la notifica, degli avvisi di accertamento concernenti Imposte Dirette, IVA e ritenute alla fonte, ad una società successivi ad attività di polizia giudiziaria. La società tempestivamente ricorreva alla Commissione Tributaria avverso gli atti impositivi. I giudici aditi accoglievano parzialmente le doglianze del ricorrente ed  annullavano gli atti limitatamente all’IRPEF e ritenute alla fonte, mentre rigettava quelli relativi ad IRPEG, ILOR ed IVA.
Avverso la decisione dei giudici di prime cure la società proponeva appello principale inanzi alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello rigettavano sia il ricorso principale che l’appello incidentale presentato dall’Agenzia delle Entrate.
Il contribuente avverso la sentenza del giudice di merito proponeva ricorso, alla Corte Suprema,  basandolo su otto motivi di censura.
Gli Ermellini rigettano il ricorso del contribuente affermando il principio di diritto delle Corte di Cassazione secondo cui  “in materia di IVA, l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta dall’art. 63, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la sua mancanza, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi; ciò neppure nel caso in cui l’attività di polizia giudiziaria riguardi soggetti diversi dal contribuente, anche considerato che l’art. 18, primo comma, della legge n. 413 del 1991, eliminando dal suddetto art. 33, terzo comma, le parale “nei confronti dell’imputato”, ha reso irrilevante la circostanza che l’indagine penale si sia svolta nei confronti del contribuente o di altro soggetto; l’autorizzazione in parola è stata infatti introdotta per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorio (Corte cost., sent. n. 51 del 1992), piuttosto che per filtrare ulteriormente l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali (Cass. 7279/2009; 11203/2007; v. anche Cass. 28695/2005; 2450/2007).”