La Corte di Cassazione con la sentenza n. 16345 del 28 giugno 2013 interviene in materia di elusione fiscale affermando che ai fini dell’IVA e delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, la stipula di un mutuo fondiario per il restauro di un albergo, la costituzione di una società in accomandita semplice nella quale viene contestualmente conferita l’impresa alberghiera e la successiva integrale cessione delle quote societarie sono atti tra loro collegati che celano una cessione d’azienda.
La Il caso ha inizio con la notifica dell’avviso di liquidazioni, emesso dall’Ufficio, notificato alla società contribuente con cui l’Amministrazione finanziaria ravvisando l’intento elusivo perseguito con la stipula dell’atto di costituzione della Società in accomandita semplice e contestuale conferimento dell’azienda alberghiera (con annesse passività), da parte di S. e R. R., e nella successiva cessione delle quote di partecipazione in favore di D. e R. C., ha qualificato l’intera vicenda come cessione d’azienda, ai fini dell’Invim e delle imposte di registro, ipotecaria e catastale.
La società contribuente propone ricorso in Commissione Tributaria Provinciale avverso tale atto impositivo, I giudici di prime cure accolgono le doglianze della società.
L’Agenzia propone ricorso, alla Commissione Tributaria Regionale, avverso la sentenza dei giudici di primo grado. I giudici di appello, in riforma della sentenza di prime cure, dichiarava validi alcuni avvisi di liquidazione per IVA, imposte di registro, ipotecarie e catastali. I giudici d’appello hanno rilevato un collegamento tra i negozi, ritenendo che il loro oggetto fosse, in realtà, l’azienda alberghiera. Di qui il ricorso per cassazione dei contribuenti.
Gli Ermellini, ritenendo infondati tutti i motivi di ricorso, hanno confermato la sentenza dei giudici di appello.I giudici di legittimità hanno motivato ai sensi dell’articolo 20 del D.P.R. 131 del 1986 (TUR) l’imposta di registro è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente. Al tal proposito la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la scelta compiuta dal Legislatore è quella di privilegiare “la intrinseca natura e gli effetti giuridici” al “titolo o la forma apparenti” degli atti sottoposti a registrazione, sicché l’autonomia contrattuale nella scelta degli strumenti ritenuti più idonei per il conseguimento dello scopo perseguito e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi a esso preordinati restano circoscritte sul piano della regolamentazione formale degli interessi delle parti, e non si estendono alla loro rilevanza fiscale (cfr. Cass. sentenze n. 10273 del 2007 e n. 3584 del 2012).
L’articolo 20 del TUR – si legge in sentenza- “introduce, infatti, un criterio di qualificazione autonomo, rispetto alle ordinarie ipotesi interpretative civilistiche, che impone di tener conto, nella qualificazione del negozio, della sua causa reale e degli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti, anche qualora siano stati stipulati, pur in tempi diversi, più atti (Cass. n. 9162 del 2010). Ne consegue la tangibilità, sul piano fiscale, delle forme negoziali, in considerazione della funzione antielusiva sottesa alla disposizione in parola: ancorché non si prescinda dall’interpretazione della volontà contrattuale, secondo i canoni generali, nell’individuazione della materia imponibile va data preminenza assoluta alla causa reale sull’assetto cartolare”.
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