AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 314 dell’ 8 maggio 2023
GRUPPO IVA – Operazioni tra stabili organizzazioni di un medesimo soggetto di cui una stabilita in Italia, non facente parte di un Gruppo IVA ivi costituito, e l’altra localizzata in un Paese extra UE (Regno Unito) e ivi partecipante ad un Gruppo IVA
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La ALFA SE (di seguito anche ”ALFA SE”) società di diritto tedesco appartenente all’omonimo gruppo bancario ALFA SE opera attualmente nel territorio dello Stato italiano attraverso la propria branch ALFA SE Italia (di seguito anche ”branch istante”).
La ALFA SE è il soggetto risultante da un’operazione di fusione per incorporazione, perfezionata in data XX 2022, che ha coinvolto due soggetti esteri, facenti parte del medesimo gruppo bancario ALFA, e nello specifico:
la società di diritto tedesco ALFA AG (incorporante), che a sua volta operava in Italia per il tramite della propria branch ALFA AG Italia;
la società di diritto lussemburghese ALFA S.A (incorporata), che svolgeva la propria attività in Italia tramite la relativa sede secondaria ALFA BL Italia.
Pertanto, a seguito del perfezionamento dell’operazione di ristrutturazione aziendale sopra menzionata, la succursale italiana della società incorporata ALFA S.A (ALFA BL Italia) è confluita nella branch italiana della società incorporante di ALFA AG (ALFA AG Italia), la quale, a partire alla data di efficacia della fusione, ha assunto la nuova denominazione sociale di ALFA SE.
Attualmente, il Gruppo bancario XXX ALFA opera nel territorio dello Stato italiano attraverso tre sedi secondarie di società di diritto estero: la branch (istante) della società di diritto tedesco ALFA SE (ALFA SE Italia), la sede secondaria della società di diritto statunitense ALFA N.A. e la branch della società di diritto lussemburghese ALFA S.A.L.
In particolare, la branch interpellante propone in Italia una vasta gamma di servizi che comprendono:
i servizi di private banking con un alto e/o altissimo patrimonio, compresa la consulenza e l’esecuzione di operazioni per i clienti e gestione patrimoniale; detti servizi erano in precedenza erogati, prima della fusione, dalla sede secondaria incorporata ALFA BL Italia;
i servizi bancari e di trading precedentemente offerti dalla stessa branch incorporante ex ALFA AG Italia.
La branch istante evidenzia, altresì, che il Gruppo bancario statunitense, a cui la stessa appartiene, è strutturato in modo tale che le entità del Gruppo debbano procurarsi determinati servizi da altre entità facenti parte della medesima area di consolidamento.
Nello specifico, la ALFA SE Italia fornisce e/o riceve una vasta gamma di servizi a/da altre entità del gruppo bancario americano e, in particolare, tra le entità che rendono servizi alla medesima branch istante è inclusa anche la branch londinese di ALFA SE, ossia ALFA SE UK risultante dalla fusione per incorporazione tra la branch ALFA BL UK e l’altra sede secondaria inglese ALFA AG UK quest’ultima aderente ad un Gruppo IVA costituito nel Regno Unito.
Ciò posto, la branch istante, dopo aver richiamato la disciplina recata dall’articolo 70quinquies, comma 4quater) del DPR n. 633 del 1972 che prevede la rilevanza, agli effetti dell’IVA, delle operazioni intercorse tra casa madre e/o stabile organizzazione quando uno dei due soggetti appartiene a un Gruppo IVA costituito in uno Stato membro dell’UE mentre l’altro operatore è stabilito in Italia fa presente che le prestazioni rese dalla stessa e/o ricevute da ALFA SE UK sono state considerate rilevanti, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, e nello specifico:
la branch ALFA SE Italia (incorporante ALFA BL Italia) ha provveduto ad integrare le fatture relative alle prestazioni di servizio, diverse da quelle esenti e non imponibili, ricevute dalla sede secondaria londinese ALFA SE UK (incorporante ALFA BL UK), applicando il meccanismo del reverse charge, ai sensi dell’art. 17, comma 2, del DPR n. 633 del 1972;
la branch ALFA SE Italia (e a sua volta l’incorporata ALFA BL Italia) ha emesso le relative fatture per le prestazioni di servizio erogate nei confronti della sede secondaria londinese ALFA SE UK, senza applicazione dell’IVA, ai sensi dell’art. 7ter del DPR n. 633 del 1972, per carenza del presupposto territoriale.
Ai fini di una completa prospettazione dei fatti, la branch ALFA SE Italia fa presente, inoltre, che:
prima della fusione la branch incorporata ALFA BL Italia aveva esercitato l’opzione facoltativa, ai sensi dell’art. 36, comma 3, del DPR n. 633 del 1972, per la separazione delle attività al fine di segregare le attività in regime di esenzione IVA rispetto a quelle attività imponibili;
prima della fusione la branch ALFA AG Italia aveva esclusivamente esercitato l’opzione ex art. 36bis del DPR n. 633 del 1972 per i servizi bancari e di trading esentati dall’IVA;
a seguito del perfezionamento dell’operazione di riorganizzazione aziendale le opzioni sono state mantenute in virtù del disposto normativo recato dall’art. 1, comma 2, del DPR n. 442 del 1997;
a fronte delle opzioni esercitate, l’applicazione dell’Iva tramite il meccanismo dell’inversione contabile ha generato una posizione a debito in sede di liquidazione periodica dell’imposta sul valore aggiunto, attesa l’impossibilità per entrambe le sedi secondarie (incorporante ALFA SE Italia e incorporata ALFA BL Italia) di recuperare l’IVA sulla quota parte dei servizi imponibili ricevuti riferibili all’attività segregata in relazione alla quale era stata esercitata opzione ai sensi dell’art. 36bis del DPR n. 633 del 1972.
Tanto premesso, la branch istante dopo aver premesso che a partire dal 1° gennaio 2021 il Regno Unito non appartiene più al territorio doganale e fiscale dell’Unione Europea chiede chiarimenti in merito al trattamento fiscale da riservarsi alle operazioni intercorse tra le stabili organizzazioni di un medesimo soggetto di cui una stabilita in Italia, non facente parte di un Gruppo IVA ivi costituito, e l’altra localizzata in un Paese extra UE (Regno Unito) e ivi partecipante ad un Gruppo IVA.
In particolare, la branch istante formula i seguenti due quesiti:
1) se, a seguito della fuoriuscita del Regno Unito dall’UE, le operazioni intercorse tra la branch italiana ALFA SE Italia e la branch londinese ALFA SE UK, facente parte di un Gruppo IVA costituito nel Regno Unito, siano irrilevanti, agli effetti dell’IVA, a decorrere dal 1° gennaio 2021;
2) quali siano le concrete modalità di recupero della maggiore imposta erroneamente assolta da ALFA SE Italia (incorporata ALFA BL Italia) nel territorio dello Stato italiano.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Ai fini della soluzione del quesito di cui al n. 1) attinente la rilevanza o meno delle operazioni intercorse, a partire dal 1° gennaio 2021, tra la branch italiana ALFA SE Italia e la sede secondaria londinese ALFA SE UK, membro di un Gruppo Iva inglese l’istante richiama, in primo luogo, i principi espressi dai giudici comunitari con la pronuncia relativa alla causa C-210/04 (FCE Bank), recepiti dall’Amministrazione finanziaria con la risoluzione n. 81/E del 16 giugno 2006.
In particolare, con il documento di prassi da ultimo richiamato è stato chiarito che, agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, un centro di attività stabile, che non sia un ente giuridico distinto dalla società di cui fa parte e stabilito in un altro Stato membro, non deve essere considerato un soggetto passivo in ragione dei costi che gli vengono imputati a fronte di tali prestazioni.
Secondo quanto sostenuto dall’interpellante, in applicazione dei principi statuiti dalla Corte di Giustizia dell’UE, sarebbero esclusi dal campo di applicazione dell’imposta:
le prestazioni di servizi intercorrenti tra casa madre estera e stabile organizzazione italiana ovvero tra casa madre italiana e stabile organizzazione estera;
i rapporti intercorrenti tra due sedi secondarie appartenenti alla stessa casa madre localizzate in diversi Paesi dell’Unione Europea;
i rapporti intercorrenti tra due sedi secondarie appartenenti alla stessa casa madre localizzate in diversi Paesi di cui uno non appartenente all’Unione europea.
Ciò posto, la branch ALFA SE Italia ritiene che le prestazioni di servizi rese a ALFA SE UK e/o effettuate nei confronti della stessa istante dalla medesima branch londinese, appartenente ad un Gruppo Iva inglese, siano irrilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto per il seguente ordine di motivazioni:
un’interpretazione strettamente letterale delle disposizioni contenute nell’art. 70quinquies, comma 4quater e quinquies del DPR n. 633 del 1972, limiterebbe espressamente la relativa efficacia alle operazioni effettuate a favore di (o ricevute da) una casa madre o una stabile organizzazione facente parte di un Gruppo IVA istituito in uno Stato membro dell’Unione Europea. Nel caso in esame l’assenza di una specifica disciplina riguardante le operazioni intercorse tra entità di cui una aderente ad un Gruppo Iva costituito in un Paese extra UE (Regno Unito) comporterebbe l’applicazione della regola generale in forza delle quali tali operazioni dovrebbero ritenersi fuori campo IVA;
il Comitato Iva, con diversi documenti (Working Paper n. 1025 e Working Papern. 1027), nell’esaminare la disciplina dell’istituto del Gruppo IVA, ha, tra l’altro, precisato che il concetto di Gruppo IVA, ai sensi dell’art. 11 della Direttiva n. 112 del 2006, ei suoi effetti non dovrebbero applicarsi ad altri Gruppi con una struttura simile stabiliti al di fuori dell’Unione Europea. Pertanto, i Gruppi IVA non UE non dovrebbero essere trattati come un unico soggetto passivo d’imposta nel sistema IVA dell’Unione Europea;
l’interpretazione fornita dal Comitato Iva, con i documenti di prassi sopra citati, è stata ulteriormente sposata nelle Linee Guida del 119° meeting del 22 novembre 2021, con cui è stato affermato che le persone stabilite al di fuori dell’Unione Europea che beneficano di un regime di Gruppo IVA in tale paese non possono essere considerate come un unico soggetto passivo d’imposta ai fini dell’IVA europea.
In conclusione, l’istante è dell’avviso che:
1) le prestazioni di servizi intercorrenti tra ALFA SE Italia, stabilita in uno Stato appartenente all’Unione Europea ma ivi non partecipante ad un Gruppo IVA e ALFA SE UK, succursale stabilita in uno Stato non appartenente all’Unione Europea ed ivi partecipante ad un Gruppo IVA, siano irrilevanti agli effetti dell’IVA;
2) la stessa conclusione varrebbe anche per le operazioni intercorse tra ALFA BL Italia (società incorporata) e ALFA BL UK a far data dal 1°gennaio 2021 fino alla data di efficacia dell’operazione straordinaria;
3) più in generale, tale principio vale nei rapporti in essere tra ALFA SE Italia e qualsivoglia stabile organizzazione di ALFA SE stabilita in un Paese terzo ed appartenente ad un Gruppo IVA localmente costituito.
In merito al quesito di cui al n. 2) concernente le concrete modalità di recupero della maggior IVA assolta da ALFA SE Italia e ALFA BL Italia l’istante rappresenta che non sembrano sussistere nell’ordinamento domestico delle disposizioni chiare in ordine al recupero dell’IVA per l’ipotesi di errata applicazione del meccanismo del reverse charge.
In particolare, l’interpellante dopo aver richiamato il quadro normativo in materia di errata applicazione del meccanismo del reverse charge ritiene che la soluzione al quesito di cui al n. 2) debba essere individuata negli strumenti generali della normativa a disposizione del contribuente e nello specifico:
1) per le operazioni occorse nel 2022, quale strumento generale per porre rimedio agli errori compiuti in sede di integrazione delle fatture e autoliquidazione dell’IVA, ALFA SE Italia provvederà ad emettere note di variazione in diminuzione dell’imposta erroneamente assolta, in ossequio a quanto chiarito dall’Amministrazione finanziaria nella risposta n. 308 del 30 aprile 2021, procedendo sia a recuperare l’imposta non dovuta che a riversare quella detratta. Sul punto, l’istante ritiene altresì che, in considerazione dell’incertezza interpretativa che connota la situazione, il termine annuale previsto dall’art. 26 del DPR n. 633 del 1972 per emettere la nota di variazione in diminuzione decorra dalla data in cui verrà fornita la risposta;
2) per le operazioni occorse nel 2021 ricevute da ALFA BL Italia (incorporata da ALFA SE Italia):
a) si debba procedere anche per esse al recupero della maggiore IVA erroneamente versata attraverso l’emissione delle note di variazione in diminuzione, prendendo a riferimento, per il decorso del termine annuale, la data in cui verrà resa la risposta alla presente istanza;
b) in subordine, il recupero della maggior IVA versata possa avvenire tramite la presentazione di una dichiarazione integrativa ”a favore” in base all’art. 8, comma 6bis del DPR n. 322 del 1998;
c) laddove anche l’ulteriore rimedio della dichiarazione integrativa non risulti percorribile, allora sarà necessario far ricorso alla procedura di rimborso prevista dall’art. 30ter del DPR n. 633 del 1972.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
Si rileva, in via preliminare, che la risposta ai quesiti oggetto d’interpello viene fornita sulla base di quanto rappresentato nell’istanza, i cui elementi vengono assunti acriticamente come descritti dalla stessa branch istante, prescindendo peraltro da ogni valutazione circa il riconoscimento o meno dello status di soggetto passivo, a sensi dell’art. 9 della Direttiva n. 112 del 2006, in capo alle sedi della società ALFA SE coinvolte nelle operazioni di cui trattasi.
In merito al quesito di cui al n. 1) concernente la rilevanza o meno, agli effetti dell’IVA, delle operazioni intercorse, a partire dal 1° gennaio 2021, tra le due sedi secondarie (di seguito ”branch”) ALFA SE Italia e ALFA SE UK, dello stesso soggetto giuridico di diritto tedesco ALFA SE, di cui la prima localizzata in uno Stato membro (Italia) e l’altra situata nel Regno Unito e ivi aderente ad un Gruppo IVA inglese giova, in primo luogo, ricordare che, a seguito del perfezionamento dell’Accordo di recesso intercorso in data 18 ottobre 2019 tra il Regno Unito (stato in cui è localizzata la branch aderente al Gruppo IVA inglese) e l’Unione Europea, il Regno Unito, al termine dell’anno 2020, non risulta essere più parte del territorio doganale e fiscale (IVA e accise) di quest’ultima.
In altri termini, in virtù del predetto Accordo di recesso, così come recepito nell’ordinamento domestico dall’articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 22 del 25 marzo 2019, il Regno Unito, a partire dal 1° gennaio 2021 (periodo post Brexit) è qualificabile quale Paese terzo rispetto all’Unione Europea (cfr. faq 31 dicembre 2020).
Ciò posto, ai fini della soluzione del quesito oggetto d’interpello, giova in primo luogo richiamare i principi statuiti con la pronuncia del 23 marzo 2006, relativa alla causa C-210/04 (FCE Bank), dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e relativi al regime Iva applicabile alle transazioni intercorrenti tra entità (sede secondaria e casa madre), facenti parte dello stesso soggetto giuridico, localizzate in diversi Stati membri dell’UE.
In particolare, con la predetta pronuncia i giudici comunitari nell’esaminare la questione pregiudiziale riguardante la rilevanza o meno delle prestazioni di servizio erogate da una società avente sede in un altro Stato (appartenente o non appartenente all’UE) nei confronti di una propria filiale estera hanno affermato, con esclusivo riferimento all’imposta sul valore aggiunto, che ”un centro di attività stabile, che non sia un ente giuridico distinto dalla società di cui fa parte, stabilito in un altro Stato membro e al quale la società fornisce prestazioni di servizi, non deve essere considerato un soggetto passivo in ragione dei costi che gli vengono imputati a fronte di tali prestazioni”.
L’orientamento giurisprudenziale espresso nella sentenza FCE Bank è stato recepito dall’Amministrazione finanziaria con la risoluzione del 27 settembre 2016 n. 81/E, con cui è stato, peraltro, chiarito che ”le prestazioni di servizio intercorrenti tra casa madre estera e stabile organizzazione italiana ovvero tra casa madre italiana e stabile organizzazione estera sono fuori campo di applicazione del tributo” e che l’anzidetto principio ”è valido anche nei rapporti con Paesi non appartenenti all’Unione europea”.
In conformità all’indirizzo espresso dai giudici comunitari, le transazioni intercorrenti tra entità (casa madre e stabile organizzazione o tra due stabili organizzazioni) dello stesso soggetto giuridico sono in linea di principio non rilevanti, agli effetti dell’IVA.
Tuttavia, occorre tener conto che va fatta un’eccezione per l’ipotesi in cui la casa madre e/o la branch siano inclusi nel perimetro di consolidamento di un Gruppo IVA costituito ai sensi dell’art. 11 della Direttiva n. 112 del 2006 in uno Stato membro dell’Unione Europea. In tale ultima ipotesi viene spezzato il rapporto di identità soggettiva intercorrente tra le due entità (branche casa madre) appartenenti al medesimo soggetto giuridico (Cfr. sentenza Skandia relativa alla causa C-7/13).
Con la sentenza Skandia da ultimo citata, la Corte di Giustizia dell’UE ha, infatti, riconosciuto la rilevanza, agli effetti dell’IVA, delle prestazioni di servizio intervenute tra una casa madre stabilita in un Paese terzo e la propria stabile organizzazione stabilita in un paese dell’UE (Svezia), appartenente ad un Gruppo IVA svedese, statuendo altresì che le operazioni effettuate dallo stabilimento principale a favore della propria branch svedese si considerano effettuate nei confronti del Gruppo IVA istituito nello Stato membro (Svezia), in quanto quest’ultimo soggetto collettivo assume la veste di debitore d’imposta.
Detti principi sono stati espressamente recepiti nel nostro ordinamento domestico in sede di regolamento del Gruppo IVA, in particolare mediante l’introduzione dei commi 4bis e seguenti dell’articolo 70quinquies del DPR n. 633 del 1972.
Pertanto, le transazioni tra due entità (stabile organizzazione e casa madre) dello stesso soggetto giuridico che in via generale sarebbero escluse dal campo di applicazione dell’IVA diventano rilevanti, agli effetti dell’IVA, nell’ipotesi in cui una delle due entità, localizzate in diversi Stati, aderisca ad un Gruppo IVA istituito in uno Stato membro dell’Unione Europea.
Tale principio trova riscontro anche nella posizione espressa più volte dalla Commissione europea DG TAXUD in seno al Comitato IVA, la quale, da ultimo con due Working Paper n. 1025 e n. 1027 del 2021, ha affrontato la questione dell’operatività dei principi della sentenza Skandia nell’ipotesi in cui una delle due entità (stabile organizzazione e casa madre) dello stesso soggetto giuridico aderisca ad un Gruppo IVA istituito in un Paese Terzo.
In particolare, con il Working Paper n. 1027 del 25 ottobre 2021, la Commissione muovendo dall’assunto che ”il concetto di gruppo IVA definito nella Direttiva IVA è un concetto indipendente del sistema comune dell’IVA il cui scopo è evitare divergenze nell’applicazione delle norme IVA tra gli Stati membri. Il significato, l’ambito di applicazione e gli elementi costitutivi di un gruppo IVA sono definiti nell’articolo 11 della Direttiva IVA e possono essere ulteriormente dettagliati dagli Stati membri nelle rispettive legislazioni nazionali in conformità al diritto dell’UE” ha affermato che ”il concetto di gruppo IVA ai sensi della Direttiva IVA e i suoi effetti non dovrebbero applicarsi ad altri gruppi con un’impostazione simile stabiliti al di fuori dell’Unione. Secondo l’articolo 11 della Direttiva IVA, solo le persone strettamente legate da vincoli finanziari, economici e organizzativi e stabilite in uno Stato membro che hanno esercitato l’opzione possono essere considerate un unico soggetto passivo. Ne consegue che i gruppi IVA istituiti in Paesi terzi non dovrebbero essere trattati come un unico soggetto passivo nel sistema IVA dell’UE” (traduzione paragrafo 3.4.).
Nello specifico, la Commissione ha peraltro precisato che ”considerato che i gruppi IVA stabiliti al di fuori dell’Unione non dovrebbero avere alcun effetto nel sistema IVA dell’UE, è importante fornire i seguenti chiarimenti:
le prestazioni di servizi da una stabile organizzazione (o sede centrale) di una società in un Paese terzo a una stabile organizzazione della stessa società in uno Stato membro non sono prese in considerazione ai fini dell’IVA (sentenza FCE Bank), indipendentemente dal fatto che la società sia o meno membro di un gruppo IVA non UE;
le prestazioni di servizi da una stabile organizzazione (o sede centrale) di una società in un Paese terzo a una stabile organizzazione della stessa società in uno Stato membro che è membro di un gruppo IVA in tale Paese, sono considerate come prestazioni tra due soggetti passivi distinti (sentenza Skandia), indipendentemente dal fatto che la società sia anche membro di un gruppo IVA non UE (…)”.
La posizione della Commissione è stata recepita nelle linee guida del Comitato IVA risultanti dalla 119° riunione del 22 novembre 2021 (Documento B taxud.c1 2022 2315070 1034), le quali sostituiscono quelle adottate in esito al 105° incontro del 26 ottobre 2015 (Documento A taxud.c1. 2016 7465801). In base alle conclusioni cui è giunto il Comitato IVA nelle Linee Guida del 2021, dunque, i soggetti passivi stabiliti al di fuori dell’Unione Europea che beneficiano del regime del Gruppo IVA in tale Paese non possono essere trattati come un unico soggetto (collettivo) passivo ai fini IVA nell’ambito dell’Unione Europea.
Tanto premesso, con riferimento al caso di specie, alla luce della ricostruzione sopra operata, si è dell’avviso che, a partire dal 1° gennaio 2021, le prestazioni di servizi effettuate tra le due sedi secondarie dello stesso soggetto (di diritto tedesco) ALFA SE (ALFA SE Italia e ALFA SE UK, quest’ultima aderente ad un Gruppo IVA istituito nel Regno Unito), siano in linea con i principi espressi nei documenti sopra più volte richiamati escluse dal campo di applicazione dell’IVA, non essendo il Gruppo IVA istituito in un Paese terzo (Regno unito) equiparabile ad un Gruppo IVA istituito in un Paese membro dell’Unione Europea.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, deve considerarsi superata la posizione espressa con la risposta n. 756 pubblicata in data 3 novembre 2021, richiamata dall’Istante.
Con specifico riferimento al quesito di cui al n. 2), concernente le modalità di recupero della maggior IVA assolta a causa dell’errata applicazione del meccanismo del reverse charge, si rammenta che l’articolo 6, comma 9bis3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, stabilisce che «Se il cessionario o committente applica l’inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell’imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l’imposta eventualmente non detratta ai sensi dell’articolo 26, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546».
Come già chiarito con la risposta ad interpello n. 203 pubblicata il 7 febbraio 2023 sul sito internet della scrivente, cui si rinvia per ogni ulteriore approfondimento, stante la disposizione appena citata avente natura procedurale più che sanzionatoria il cessionario/committente debitore dell’imposta può, dunque, correggere l’errore commesso (applicazione dell’IVA ad operazioni esenti, non imponibili o non soggette) tramite delle mere annotazioni contabili di senso contrario a quelle erroneamente eseguite e che intende neutralizzare, salva l’ipotesi in cui non abbia potuto esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA. In tale evenienza la norma prevede espressamente la possibilità di recuperare l’IVA non detratta tramite il ricorso alla nota di variazione, ove sussistano ancora i tempi di cui al comma 3 dell’articolo 26 del decreto IVA (secondo cui, nota di variazione in diminuzione non può essere emessa ”dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e può essere applicata, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione dell’articolo 21, comma 7”), ovvero, in alternativa, mediante la richiesta del cd ”rimborso anomalo” ex articolo 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, ora disciplinato dall’articolo 30ter del DPR n. 633 del 1972.
Si precisa che, diversamente da quanto prospettato dall’istante, il rimborso dell’IVA ai sensi dell’articolo 30ter, comma 1, del DPR n. 633 del 1972, deve essere richiesto entro il termine di due anni dalla data del versamento, ossia entro due anni dalla scadenza del termine per il pagamento dell’IVA periodica mensile o trimestrale relativa al mese in cui sono confluite le fatture errate.
Si ricorda infine che, come chiarito dalla circolare n. 20/E del 10 luglio 2020, paragrafo 6, non è ammissibile, in via generale, il recupero dell’imposta non detratta presentando, alternativamente, in una fase successiva, la dichiarazione integrativa a favore di cui all’articolo 8, comma 6bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322. Né è consentita una eccezione per la fattispecie descritta nell’istanza, tenuto conto che nulla in tal senso dispone il citato articolo 6, comma 9bis3 del d.lgs. n. 471 del 1997.
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