FONDAZIONE STUDI CDL – Circolare 31 maggio 2021, n. 8
Il lavoro nel Sostegni-bis
SOMMARIO
Premessa
1. Le disposizioni tributarie
1.1 Contributi a fondo perduto
1.2 I crediti d’imposta per i canoni di locazione
1.3 I crediti d’imposta per sanificazione e acquisto di dispositivi di protezione
1.4 La proroga dei versamenti all’agente della riscossione
1.5 La sospensione delle notifiche
1.6 II pignoramento presso terzi
1.7 Pagamenti della pubblica amministrazione
2. Indennità e sostegno all’occupazione
2.1 li nuovo ammortizzatore temporaneo per i datori soggetti alla CIGO
2.2 La fruizione delle CIG classica e il connaturato divieto di licenziamento
2.3 La facoltà di proroga della CIGS per cessazione
2.4 Alternativa tra cassa integrazione senza contributo addizionale e licenziamento
2.5 Ipotesi di non applicazione delle sospensioni e preclusioni al blocco dei licenziamenti
2.6 REM: altre quattro quote per il 2021
2.7 Reddito di ultima istanza in favore di professionisti con disabilità
2.8 Sospensione dell’abbattimento dell’indennità di disoccupazione
2.9 Decontribuzione turismo, stabilimenti termali e commercio
2.10 Proroga dell’indennità per stagionali, turismo e spettacolo
2.11 Indennità per collaboratori sportivi
3. Gli interventi sui contratti
3.1 II contratto di rioccupazione
3.2 Potenziamento del contratto di espansione
PREMESSA
Tra proroghe, revisioni e nuove disposizioni, il decreto legge denominato “Sostegni-bis” porta all’interno dell’ordinamento italiano nuove regole con l’obiettivo di affrontare la tanto attesa, e auspicata, fase di ripartenza.
Mentre, infatti, la campagna vaccinale sembra aprire alla prospettiva di un ritorno alla cosiddetta normalità, è necessario fare i conti con gli effetti della pandemia: quelli già evidenti e quelli di cui si può facilmente identificare il perimetro. Delle sette aree d’intervento individuate dal Governo nel provvedimento – che vanno dalla tutela della salute al sostegno agli enti territoriali fino alle misure per giovani, scuola e ricerca – gli esperti di Fondazione Studi si sono soffermati su tutto ciò che impatta sul mondo del lavoro. Una ricognizione tecnica delle misure contenute nel Sostegni -bis che tiene conto dei combinati disposti con la legislazione vigente e sottolinea gli elementi di criticità in fase di applicazione pratica. A partire dai contributi a fondo perduto ai crediti d’imposta previsti, dalla sospensione delle cartelle alle decontribuzioni, passando per il reddito d’emergenza, quello di ultima istanza per gli autonomi con disabilità, gli interventi sui contratti con la previsione dei contratti di rioccupazione e l’estensione della platea per il contratto di espansione.
Nella carrellata di disposizioni prese in considerazione, non potevano mancare cassa integrazione e divieto di licenziamento, pietra della discordia nei giorni precedenti la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di martedì 25 maggio. Il forte incentivo a “non licenziare” introdotto dal Governo si configura nuovamente come un’azione a tutela del lavoro dipendente non altrimenti connessa con altre misure a sostegno del lavoro autonomo utili a far ripartire il comparto dell’imprenditoria né a disposizioni di ampio respiro in materia di politiche attive che permettano di limitare l’impatto della crisi attraverso l’investimento in competenze rinnovate per i lavoratori.
Di nuovo, nell’affrontare la crisi, sembra si sia lasciato in secondo piano un approccio alla questione lavoro – e di riflesso all’economia dallo stesso generata – capace di cogliere la sfida del cambiamento proposta a tutti i livelli dalla pandemia, proponendo soluzioni senza dar loro il respiro ampio che avrebbe forse potuto regalare loro maggiore efficacia. Nell’attesa di vedere come le disposizioni attuative ne permetteranno l’applicazione, l’auspicio è quello di andare oltre l’orizzonte estivo e cogliere l’occasione della conversione in legge per delineare le strategie d’azione sul medio periodo.
1. LE DISPOSIZIONI TRIBUTARIE
1.1 Contributi a fondo perduto
Al fine di sostenere gli operatori economici colpiti dall’emergenza epidemiologica Covid- 19, l’articolo 1 del decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, introduce un nuovo contributo a fondo perduto (di seguito CFP) così articolato:
1) CFP automatico (commi da 1 a 4), ovvero una replica automatica del fondo perduto percepito ai sensi dell’art. 1 del D. I. n. 41/2021 (c.d. decreto Sostegni) (NOTA 1);
2) CFP alternativo (commi da 5 a 15), con un diverso arco temporale di valutazione del requisito del calo di fatturato rispetto al fondo perduto del decreto Sostegni;
3) CFP a conguaglio (commi da 16 a 27) avente una finalità perequativa, nel quale in luogo del “calo di fatturato”, si considera il “peggioramento del risultato economico d’esercizio” del 2020 rispetto al 2019.
1) IL CFP AUTOMATICO
Il comma 1 dell’art. 1 riconosce un ulteriore CFP a favore di tutti i soggetti che:
– hanno la Partita IVA attiva alla data di entrata in vigore del decreto in commento (26 maggio 2021 );
– presentano istanza e ottengono il riconoscimento del CFP di cui all’art 1 D.L. n. 41/2021 (decreto Sostegni);
– non abbiano indebitamente percepito o non abbiano restituito il contributo di cui al punto precedente).
Il fondo perduto spetta nella medesima misura di quanto già riconosciuto con il contributo di cui al decreto Sostegni e sarà corrisposto, senza la necessità di presentare una nuova istanza, dall’Agenzia delle Entrate mediante accreditamento diretto sul conto corrente bancario o postale sul quale è stato erogato il precedente contributo, ovvero sarà riconosciuto sotto forma di credito d’imposta, qualora il richiedente abbia effettuato tale scelta per il precedente “sostegno”.
Il comma 3 dell’art. 1 in commento rimanda all’applicazione delle disposizioni di cui al precedente fondo perduto con riferimento a:
– la non concorrenza del CFP alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi e al valore della produzione netta ai fini IRAP;
– il regime sanzionatorio e le attività di controllo;
– la disciplina riferibile al “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza da Covid-19”.
2) IL CFP ALTERNATIVO
Il combinato disposto dai commi 5 e 7 riconosce il CFP in questione a favore dei soggetti:
– che svolgono attività d’impresa, arte o professione o che producono reddito agrario, titolari di Partita IVA residenti o stabiliti nel territorio dello Stato;
– con ricavi o compensi non superiori a 10 milioni di euro nel periodo d’imposta 2019.
Il comma 6 esclude dall’accesso al contributo:
– i contribuenti la cui Partita IVA risulti non attiva alla data del 26 maggio 2021 ;
– gli enti pubblici di cui all’articolo 74 del TUIR;
– gli intermediari finanziari di cui all’art. 162-bis del TUIR.
Il CFP di cui al comma 5, pur essendo definito dalla lettera della norma “alternativo” a quello dei commi da 1 a 3, è per certi versi complementare ad esso, perché l’eventuale contributo “automatico” già corrisposto dall’Agenzia delle Entrate verrà scomputato dal maggiore valore calcolato con il nuovo criterio. Di converso, se dall’istanza per il riconoscimento del contributo “alternativo” emerge un contributo da percepire inferiore rispetto a quello “automatico”, l’Agenzia non darà seguito all’istanza presentata.
Il requisito oggettivo da possedere per poter accedere al fondo perduto è diverso, con riferimento all’ambito temporale, rispetto a quanto previsto dal precedente decreto Sostegni: per il nuovo CFP l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 10 aprile 2020 al 31 marzo 2021 deve essere inferiore almeno del 30 per cento rispetto all’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 1° aprile 2019 al 31 marzo 2020.
Al fine di determinare correttamente i predetti importi, la norma, anche in questa occasione, fa riferimento alla “data di effettuazione dell’operazione di cessione di beni o di prestazione dei servizi” (NOTA 2).
2 A tal proposito, si ritengono validi i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con le circolari n. 15/E del 13 giugno 2020 e n. 22/E del 21 luglio 2020; inoltre si segnala la recente pubblicazione della circolare n. 5/E del 14 maggio 2021.
Circa le modalità di determinazione del fondo perduto “alternativo”, la norma distingue tra:
1) soggetti che hanno beneficiato del CFP del decreto Sostegni;
2) soggetti che non hanno beneficiato del CFP del decreto Sostegni.
Nel primo caso, ai sensi del comma 9, il CFP è determinato applicando una percentuale alla differenza tra l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 1° aprile 2020 al 31 marzo 2021 e l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo dal 1° aprile 2019 al 31 marzo 2020 come segue:
a) 60 per cento per i soggetti con ricavi e compensi non superiori a 100.000 euro;
b) 50 per cento per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 100.000 euro e fino a 400.0 euro;
c) 40 per cento per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 400.000 euro e fino a 1 milione di euro;
d) 30 per cento per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 1 milione di euro e fino a 5 milioni di euro;
e) 20 per cento per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro.
Per i soggetti che invece non hanno beneficiato del contributo del decreto Sostegni il nuovo CFP è determinato con le medesime modalità, ma con le seguenti percentuali maggiorate:
a) 90 per cento per i soggetti con ricavi e compensi non superiori a 100.000 euro;
b) 70 per cento per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 100.000 euro e fino a 400.000 euro;
c) 50 per cento per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 400.000 euro e fino a 1 milione di euro;
d) 40 per cento per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 1 milione di euro e fino a 5 milioni di euro;
e) 30 per cento per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro.
Come nel caso del precedente fondo perduto di cui al decreto Sostegni, anche il nuovo contributo “alternativo” (NOTA 3):
– non può essere superiore a 150.000 euro;
– non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi e del valore della produzione netta ai fini IRAP e non incide sul calcolo del rapporto per la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito, compresi gli interessi passivi, di cui agli artt. 61 e 109, comma 5, del TUIR;
– a scelta irrevocabile del contribuente, può essere riconosciuto nella sua totalità sotto forma di credito d’imposta, da utilizzare ai sensi dell’articolo 17, D. Lgs. n. 241/1997, presentando il modello F24 esclusivamente tramite i servizi telematici resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate.
Nel caso di riconoscimento del fondo in forma di credito d’imposta la norma esclude:
– l’applicazione dei limiti previsti dall’art. 31, comma 1, del D. I. n. 78/2010, secondo cui la compensazione dei crediti è vietata fino a concorrenza dell’importo dei debiti di ammontare superiore a 1.500 euro, iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori per i quali risulta scaduto il termine di pagamento;
– il credito d’imposta dal computo dei limiti di compensazione massimi effettuabili durante l’anno ai sensi dell’art. 34, Legge n. 388/2000, pari ad euro 700.000;
– il vincolo disposto all’art. 1, comma 53, della I. n. 244/2007 con riferimento al limite annuale di 250.000 euro relativo ai crediti d’imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi.
Ai sensi del comma 13, i soggetti interessati presentano, esclusivamente in via telematica (anche tramite un intermediario di cui all’art. 3, comma 3, D.RR. n. 322/1998 delegato al cassetto fiscale), un’istanza all’Agenzia delle Entrate con l’indicazione della sussistenza dei requisiti. L’istanza deve essere presentata, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla data di avvio della procedura telematica, che sarà definita con un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate.
L’ultimo periodo del comma 13 precisa che per i soggetti obbligati alla presentazione delle comunicazioni della liquidazione periodica IVA l’istanza può essere presentata esclusivamente dopo la presentazione della comunicazione riferita al primo trimestre 2021.
3) IL CFP A CONGUAGLIO
I medesimi soggetti individuati dalla disposizione per il CFP “alternativo” (NOTA 4) possono accedere ad un ulteriore fondo perduto.
II comma 19 definisce l’ambito oggettivo, condizionando l’accesso al fondo ad un “peggioramento del risultato economico d’esercizio relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2020, rispetto a quello relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019, in misura pari o superiore alla percentuale definita con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze”. Il fondo perduto è determinato applicando la percentuale che verrà definita con il predetto decreto del MEF alla differenza del risultato economico dell’esercizio 2020 rispetto al 2019, al netto dei CFP eventualmente riconosciuti durante il periodo emergenziale (NOTA 5).
Al fine di ottenere tale contributo i soggetti interessati presentano (anche tramite intermediario abilitato), una istanza telematica all’Agenzia delle Entrate entro trenta giorni dalla data di avvio della procedura telematica, che sarà definita con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate. Si segnala che la disposizione non tiene conto del principio contenuto nello Statuto del Contribuente per cui non si possono imporre ai contribuenti adempimenti che scadano prima di 60 giorni dalla loro entrata in vigore.
Altro aspetto criticabile è condizionare la possibilità di accesso al fondo perduto “a conguaglio” alla presentazione anticipata (entro il 10 settembre 2021) della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2020. Tale scelta non tiene conto delle difficoltà operative, connesse al periodo emergenziale, che imprese e professionisti stanno vivendo.
Infine, si segnala che:
– il comma 28 introduce un ulteriore onere richiedendo una autodichiarazione del rispetto delle condizioni UE sugli aiuti di Stato per emergenza Covid-19;
– l’efficacia delle misure previste dal comma 16 al comma 26 dell’articolo in commento è subordinata, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, all’autorizzazione della Commissione europea.
1.2 I crediti d’imposta per i canoni di locazione
Prorogato al 31 luglio 2021 il credito d’imposta per le imprese turistico-ricettive, le agenzie di viaggio e i tour operator, a condizione che abbiano subito una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi nel mese di riferimento dell’anno 2021 di almeno il 50 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno 2019.
Prevista l’estensione del credito d’imposta per i canoni di locazione degli immobili a uso non abitativo e affitto d’azienda di cui ai commi 1, 2 e 4 dell’articolo 28 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, in relazione ai canoni versati con riferimento a ciascuno dei mesi da gennaio 2021 a maggio 2021, ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione, con ricavi o compensi non superiori a 15 milioni di euro conseguiti nel periodo d’imposta 2019. L’estensione riguarda anche gli enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo Settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti.
Condizione necessaria per poter usufruire del credito d’imposta è che i soggetti locatari esercenti attività economica abbiano avuto un ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo compreso tra il 1° aprile 2020 e il 31 marzo 2021 inferiore almeno del 30 per cento rispetto all’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi del periodo compreso tra il 1° aprile 2019 e il 31 marzo 2020.
Il credito d’imposta spetta anche in assenza del predetto requisito di comparazione temporale del fatturato ai soggetti che hanno iniziato l’attività a partire dal 1° gennaio 2019.
Il credito d’imposta spetta ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione per un importo pari al 60 per cento dell’ammontare mensile del canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento dell’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico o all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo; in caso invece di contratti di servizi a prestazioni complesse o di affitto d’azienda, comprensivi di almeno un immobile a uso non abitativo destinato allo svolgimento dell’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico o all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo, spetta nella misura del 30 per cento dei relativi canoni. Per le strutture turistico-ricettive, il credito d’imposta relativo all’affitto d’azienda è determinato nella misura del 50 per cento.
Anche in questo caso le citate disposizioni si applicano nel rispetto dei limiti e delle condizioni previsti dalla Comunicazione della Commissione europea del 19 marzo 2020 C(2020) 1863 final “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del Covid-19”, e successive modifiche.
1.3 I crediti d’imposta per sanificazione e acquisto di dispositivi di protezione
Credito d’imposta del 30 per cento delle spese sostenute nei mesi di giugno, luglio ed agosto 2021 per la sanificazione degli ambienti e degli strumenti utilizzati e per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e di altri dispositivi atti a garantire la salute dei lavoratori e degli utenti, comprese le spese per la somministrazione di tamponi per Covid- 19. L’importo massimo del credito d’imposta riconosciuto a ciascun beneficiario è di 60.000 euro nel limite complessivo di 200 milioni di euro per l’anno 2021.
Il credito spetta ai soggetti esercenti attività d’impresa, arti e professioni, agli enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo Settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, nonché alle strutture ricettive extra-alberghiere a carattere non imprenditoriale a condizione che siano in possesso del codice identificativo di cui all’articolo 13 -quater, comma 4, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58.
Come prima, il credito d’imposta potrà essere utilizzato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sostenimento della spesa ovvero in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, senza applicazione dei limiti di cui all’articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e di cui all’articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Il credito d’imposta non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
Rientrano nel computo delle spese ammissibili ai fini dell’istanza per il riconoscimento del credito d’imposta le spese sostenute per:
a) la sanificazione degli ambienti nei quali è esercitata l’attività lavorativa e istituzionale e degli strumenti utilizzati nell’ambito di tali attività;
b) la somministrazione di tamponi a coloro che prestano la propria opera nell’ambito delle attività lavorative e istituzionali esercitate dai soggetti di cui al comma 1 dell’art. 32 del D.L. n. 73/2021;
c) l’acquisto di dispositivi di protezione individuale, quali mascherine, guanti, visiere e occhiali protettivi, tute di protezione e calzari, che siano conformi ai requisiti essenziali di sicurezza previsti dalla normativa europea;
d) l’acquisto di prodotti detergenti e disinfettanti;
e) l’acquisto di dispositivi di sicurezza diversi da quelli di cui alla lettera c), quali termometri, termoscanner, tappeti e vaschette decontaminanti e igienizzanti, che siano conformi ai requisiti essenziali di sicurezza previsti dalla normativa europea, ivi incluse le eventuali spese di installazione;
f) l’acquisto di dispositivi atti a garantire la distanza di sicurezza interpersonale, quali barriere e pannelli protettivi, ivi incluse le eventuali spese di installazione.
Per poter inviare l’istanza telematica sarà necessario attendere un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate in cui saranno stabiliti i criteri e le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta, al fine del rispetto del limite di spesa complessivo di 200 milioni di euro per l’anno 2021.
1.4 La proroga dei versamenti all’agente della riscossione
L’articolo 9 del decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, tra le misure introdotte, prevede che i termini di pagamento delle somme dovute all’agente della riscossione restano sospesi fino al prossimo 30 giugno 2021.
Analoga sospensione riguarda anche i pignoramenti presso terzi, sempre relativi a somme dovute all’agente della riscossione, e le verifiche che la Pubblica Amministrazione deve effettuare prima del pagamento di somme.
Innanzitutto, vengono spostati al 30 giugno 2021 i termini di pagamento delle somme dovute all’agente della riscossione in relazione ad entrate tributarie e non tributarie. Viene infatti modificato l’articolo 68, comma 1, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27. Il pagamento delle somme potrà avvenire entro il mese successivo e quindi entro il 2 agosto 2021 in quanto il 31 luglio 2021 cade di sabato.
La sospensione si applica anche alle scadenze delle rate relative alle dilazioni in corso.
Come si può notare, non è prevista alcuna dilazione delle somme dovute nel periodo di sospensione per cui i debitori si troveranno a dover effettuare i versamenti con scadenza nell’arco temporale interessato dalla moratoria in un’unica soluzione. In questo caso è opportuno che i contribuenti valutino la possibilità di procedere alla richiesta di una dilazione delle somme dovute anche al fine di evitare le procedure di recupero che potrebbero essere disposte dall’agente della riscossione. A questo proposito, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha confermato che anche nel corso del periodo di sospensione saranno trattate normalmente le istanze di rateizzazione presentate dai contribuenti.
1.5 La sospensione delle notifiche
Fino al 30 giugno sono altresì sospese le attività di notifica di nuovi atti relativi alla riscossione nonché le procedure cautelari ed esecutive. In tali casi, per effetto della sospensione al 30 giugno 2021, l’agente della riscossione potrà riprendere la notifica delle cartelle nonché avviare procedure cautelari o esecutive sin dal giorno successivo e quindi dal 1° luglio 2021.
1.6 II pignoramento presso terzi
Viene prorogata sempre al 30 giugno 2021 la sospensione dei pignoramenti dell’agente della riscossione su stipendi e pensioni. L’articolo 9 del D.L. n. 73/2021 modifica, infatti, il termine di cui all’articolo 152, comma 1, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, disponendo per l’appunto la sospensione fino al 30 giugno 2021 degli obblighi di accantonamento derivanti dai pignoramenti presso terzi effettuati dall’agente della riscossione e dai soggetti di cui all’articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (cioè coloro a cui province e comuni abbiano affidato l’accertamento e la riscossione dei tributi), prima del 19 maggio 2020, data di entrata in vigore del decreto, aventi ad oggetto le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza.
Si tratta, come è noto, degli obblighi del terzo pignorato che, normalmente, deve trattenere somme al debitore dell’agente della riscossione e degli altri soggetti a cui debbono essere destinate le somme trattenute. Fino al 30 giugno 2021, le somme che normalmente avrebbero dovuto essere accantonate nel periodo di sospensione non sono sottoposte al vincolo di indisponibilità e il terzo pignorato le rende fruibili al debitore esecutato, anche se anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto sia intervenuta ordinanza di assegnazione del giudice dell’esecuzione.
1.7 Pagamenti della pubblica amministrazione
La sospensione al 30 giugno 2021 si applica anche alle verifiche che le Pubbliche Amministrazioni debbono effettuare ai sensi dell’articolo 48-bis del D.P.R. n. 602/1973 prima di effettuare pagamenti a qualunque titolo di un importo superiore a cinquemila euro.
2. INDENNITÀ E SOSTEGNO ALL’OCCUPAZIONE
2.1 II nuovo ammortizzatore temporaneo per i datori soggetti alla CIGO
Un particolare interesse assume la previsione di cui all’art. 40 del decreto Sostegni -bis che, entro determinati limiti di spesa, introduce un particolare ammortizzatore sociale che può essere utilizzato, in alternativa ai trattamenti di integrazione salariale di cui al D.Lgs. n.148/2015, dai datori di lavoro privati di cui all’articolo 8, comma 1, del D.L. n. 41/2021 che, nel primo semestre dell’anno 2021, abbiano hanno subito un calo del fatturato del 50 per cento rispetto al primo semestre dell’anno 2019.
L’accesso alla misura comporta la preventiva stipula di un accordo collettivo aziendale ai sensi dell’articolo 51 del D.Lgs. n. 81/2015.
Attraverso questa soluzione potrà essere effettuata la domanda all’lnps per un periodo di riduzione dell’attività lavorativa dei lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del decreto d’urgenza non superiore a 26 settimane da fruire entro il 31 dicembre 2021, finalizzata al mantenimento dei livelli occupazionali nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica.
La provvidenza rientra nell’ambito della cassa integrazione guadagni straordinaria e deroga alle disposizioni in materia di durata massima complessiva della CIG ex art. 4, D.Lgs. n. 148/2015 oltre che all’art. 21 del medesimo articolato normativo per quanto attiene alle causali della CIGS.
L’ammortizzatore sembra ricordare il contratto di solidarietà in quanto, per certi versi, ne assume le sembianze.
La riduzione media oraria non può essere superiore all’80 per cento dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati dall’accordo collettivo mentre, per ciascun lavoratore, la percentuale di riduzione complessiva dell’orario di lavoro non può eccedere il 90 per cento nell’arco dell’intero periodo per il quale l’accordo collettivo viene stipulato. Il trattamento retributivo perso deve essere inizialmente determinato non tenendo conto degli aumenti retributivi previsti da contratti collettivi aziendali nel periodo di sei mesi antecedente la stipula dell’atto negoziale.
Il trattamento di integrazione salariale è ridotto in corrispondenza di eventuali successivi aumenti retributivi intervenuti in sede di contrattazione aziendale. L’accordo sindacale deve specificare le modalità attraverso le quali l’impresa, per soddisfare temporanee esigenze di maggior lavoro, può modificare in aumento, nei limiti del normale orario di lavoro, l’orario ridotto fermo restando che il maggior lavoro prestato comporta una corrispondente riduzione del trattamento di integrazione salariale.
Grande attenzione al trattamento d’integrazione salariale in quanto ai lavoratori impiegati esso viene riconosciuto in misura pari al 70 per cento della retribuzione globale che sarebbe loro spettata per le ore di lavoro non prestate, senza l’applicazione del massimale di cui all’articolo 3, comma 5, del D.Lgs. n. 148/2015.
La provvidenza è peraltro esclusa da contribuzione addizionale e permette l’accreditamento della contribuzione figurativa.
Dall’esame dell’impianto normativo emergono alcune criticità sotto il profilo soggettivo, concernenti la platea dei datori di lavoro che possono accedere alla misura.
La disposizione riguarda infatti i datori di lavoro che rientrano nell’ambito dell’articolo 8, comma 1, del D.L. n. 41/2021, vale a dire le aziende previdenzialmente soggette alla CIGO emergenziale (art. 19, D.L. n. 18/2020) e quelle che, soggette alla CIGS, possono comunque ricorrere alla CIGO emergenziale (art. 20, D.L. n. 18/2020).
La provvidenza in argomento è annoverata all’interno del perimetro della CIGS pur derogando, per quanto qui d’interesse, alle disposizioni di cui all’art. 21 del D.Lgs. n.148/2015 – attinente alle causali – ma non anche a quelle dell’art. 20 del medesimo decreto legislativo che riguarda invece il campo di applicazione della cassa integrazione guadagni straordinaria.
Occorre allora comprendere quale debba essere l’inquadramento previdenziale dei datori di lavoro che sono attratti dalla novella.
Essendo, infatti, essa riferita ai soggetti datoriali di cui all’art. 8, comma 1, del D.L. n. 41/2021, ne sarebbero coinvolte tutte le aziende ivi previste e quindi sia quelle previdenzialmente soggette soltanto alla CIGO che quelle soggette sia alla CIGO che alla CIGS. Tale ultima soluzione sembrerebbe però inconferente con i principi generali espressi dall’ordinamento atteso che non si individuano deroghe di diversa natura (come detto, nella fattispecie, all’art. 20 del D.Lgs. n. 148/2015). Ne dovrebbero quindi essere attratte unicamente le aziende soggette sia alla CIGO che alla CIGS e non anche quelle unicamente assoggettate alla CIGO.
Ma se questa fosse la soluzione si creerebbe una disuguaglianza tra datori di lavoro soggetti alla CIGS. Ne rimarrebbero infatti fuori coloro i quali, pur essendo attratti dalla normativa in materia di CIGS, non rientrano nel campo di applicazione della CIGO e che, nell’ambito del D.L. n. 41/2021, trovano residenza nell’art. 8, comma 2.
2.2 La fruizione delle CIG classica e il connaturato divieto di licenziamento
In sede di stesura finale del D.L. n. 73/2021, l’art. 40 comma 3, ha stabilito che i datori di lavoro privati di cui all’articolo 8, comma 1, del D.L. n. 41/2021, i quali, a decorrere dal 1° luglio 2021 sospendono o riducono l’attività lavorativa e presentano domanda di integrazione salariale ordinaria o straordinaria ai sensi degli articoli 11 e 21 del D.Lgs. n. 148/2015, sono esonerati dal pagamento del contributo addizionale di cui all’articolo 5 del medesimo decreto legislativo fino al 31 dicembre 2021. Nel corso dell’utilizzo della cassa integrazione e unicamente in tale frangente – dal 1° luglio 2021 al 31 dicembre 2021 – è preclusa ai datori di lavoro la possibilità di licenziare.
2.3 La facoltà di proroga della CIGS per cessazione
L’art. 45 del D.L. n. 73/2021 ha altresì provveduto ad introdurre, nell’ambito dell’art. 44 del D.L. n. 109/2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 130/2018 (c.d. decreto Genova), un nuovo comma 1 -bis con il quale, a determinate condizioni, è permesso l’accesso alla CIGS per cessazione di attività per ulteriori sei mesi.
L’istituto, prorogato per gli anni 2021 e 2022, attiene come è noto ad una specifica ipotesi di CIGS per crisi aziendale in deroga alla durata massima complessiva di cui agli artt. 4 e 22 del D.Lgs. n. 148/2015, subordinata ad un accordo in sede governativa in presenza della Regione interessata nel quale venga dato conto dell’onere finanziario connesso all’intervento (si veda in merito la circolare n. 15/2018 del Ministero del Lavoro).
La provvidenza è concessa:
1) alle imprese, anche in procedura concorsuale, che abbiano cessato o stiano cessando la propria attività produttiva, nella circostanza in cui sussistano concrete prospettive di cessione dell’attività con conseguente riassorbimento occupazionale;
2) ove sia possibile realizzare interventi di reindustrializzazione del sito produttivo;
3) nel caso in cui siano previsti specifici percorsi di politica attiva del lavoro posti in essere dalla Regione interessata per competenza territoriale.
Secondo la novella del decreto Sostegni -bis, in termini del tutto eccezionali e allo scopo di sostenere i lavoratori nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica, fino al 31 dicembre 2021 potrà essere autorizzata una proroga di sei mesi della richiesta di CIGS già concessa per effetto della richiamata disposizione. Tale facoltà è preordinata dalla stipula di un ulteriore accordo in sede governativa presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la partecipazione del Ministero dello Sviluppo Economico e della Regione interessata la cui finalità sia individuata nella salvaguardia occupazionale. Ne sono beneficiarie le aziende cui sia stata conferita dignità di particolare rilevanza strategica sul territorio che abbiano avviato un processo di cessazione aziendale nell’ambito del quale si siano incontrate fasi di particolare complessità.
2.4 Alternativa tra cassa integrazione senza contributo addizionale e licenziamento
Dopo un lungo percorso di confronti e polemiche politiche, il Governo sembra avere trovato una soluzione alla problematica del blocco dei licenziamenti dal 1° luglio 2021. Si ricorda che la proposta, tanto contestata, del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, prevedeva di subordinare l’utilizzo della Cassa Covid-19 fino al 30 giugno 2021 ad altri 60 giorni di proroga del blocco dei licenziamenti (fino al 28 agosto 2021).
Alla luce della nuova normativa l’art. 40, comma 3, D.L. n. 73/2021, ha stabilito che “I datori di lavoro privati di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge 21 maggio 2021, n. 69, che a decorrere dalla data del 1 ° luglio 2021 sospendono o riducono l’attività lavorativa e presentano domanda di Integrazione salariale ai sensi degli articoli 11 e 21 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 sono esonerati dal pagamento del contributo addizionale di cui all’articolo 5 del medesimo decreto legislativo fino al 31 dicembre 2021”.
La norma sopra riportata va coordinata con il disposto del comma 4 del medesimo art. 40, secondo il quale ai datori di lavoro che presentano domanda di integrazione salariale ai sensi del comma 3 resta precluso:
– l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021;
– e restano altresì sospese nel medesimo periodo le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto.
– resta, altresì, preclusa nel medesimo periodo, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all’articolo 7 della medesima legge.
Da quanto sopra si evince che dal 1° luglio:
– per le aziende industriali (manifatturiere) e dell’edilizia, non ha più efficacia il divieto assoluto di licenziare;
– rimane il blocco dei licenziamenti (così come declinato dal comma 4 dell’art. 40, sopra riportato), laddove le medesime aziende presentino domanda di integrazione salariale ai sensi del comma 3 dell’art. 40 citato.
Il Governo, quindi, introduce un forte incentivo a “non licenziare” (licenziamento collettivo e licenziamento per g.m.o.), esonerando l’azienda dal pagamento del contributo addizionale di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 fino al 31 dicembre 2021. Le aziende interessate potranno decidere in alternativa se accedere alla cassa integrazione ordinaria o se iniziare una procedura di licenziamento collettivo o individuale.
Ovviamente, quanto sopra esposto riguarda le aziende industriali (manifatturiere) e dell’edilizia, mentre per quanto riguarda le aziende del settore c.d. dei servizi, il blocco dei licenziamenti avrà efficacia sino alla fine di ottobre.
2.5 Ipotesi di non applicazione delle sospensioni e preclusioni al blocco dei licenziamenti
Il comma 5 dell’art. 40 prevede “che le sospensioni e le preclusioni di cui al comma 4 non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa oppure dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile o nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo.
A detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22. Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso”.
Dall’analisi del comma 5, sopra riportato, possono dedursi alcune considerazioni.
Si evince la volontà legislativa di condizionare la possibilità di licenziare alla definitiva cessazione dell’attività d’impresa, anche conseguente alla messa in liquidazione della stessa senza continuazione anche parziale; una semplice cessazione dell’attività, con chiusura dell’unità produttiva non realizzerebbe la condizione richiesta dal legislatore ai fini della legittimità del licenziamento. Inoltre, va tenuto presente che, se nel corso della liquidazione si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 c.c., sarà preclusa la possibilità di licenziare.
Il legislatore individua nell’accordo collettivo aziendale l’unico strumento possibile per procedere ai licenziamenti de quo.
In proposito, giova sottolineare la previsione della norma laddove richiede che in ogni caso l’accordo collettivo necessiti di una specifica adesione dei lavoratori interessati. Da ciò si evince che nell’ambito di una azienda, pur in presenza di un accordo collettivo aziendale, quest’ultimo avrà efficacia soltanto nei confronti di quei lavoratori che abbiano aderito allo stesso, i quali saranno destinatari del trattamento NASpl. Infine, per quanto concerne i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione, il legislatore stabilisce che nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
Tale previsione sembra corretta ed in linea con i principi della gestione della crisi di impresa e del fallimento improntati alla efficienza e alla rapidità.
2.6 REM: altre quattro quote per il 2021
Il Reddito di emergenza (REM) è stato istituito con il decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 convertito con modificazioni in legge 17 luglio 2020, n. 77, è una misura straordinaria di sostegno al reddito introdotta per supportare i nuclei familiari in condizioni di difficoltà economica causata dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, in possesso di determinati requisiti. Il decreto “Sostegni bis” interviene per riconoscere, nel 2021, ulteriori quattro quote di reddito di emergenza relative alle mensilità di giugno, luglio, agosto e settembre 2021. Si ricorda che l’articolo 12, comma 1, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 maggio 2021 n. 69, già prevedeva l’erogazione del REM per i mesi di marzo, aprile e maggio 2021. Ciascuna quota del reddito di emergenza è determinata in un ammontare pari a 400 euro e fino ad un massimo di 800 euro, ovvero fino ad un massimo di 840 euro nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti in condizioni di disabilità grave o non autosufficienza come definite ai fini ISEE.
Ai fini del riconoscimento delle quote di Rem i nuclei familiari devono possedere, cumulativamente, i seguenti requisiti:
a) un valore del reddito familiare nel mese di aprile 2021 inferiore ad una soglia pari all’ammontare del beneficio come sopra indicato; per i nuclei familiari che risiedono in abitazione in locazione, fermo restando l’ammontare del beneficio, la soglia è incrementata di un dodicesimo del valore annuo del canone di locazione come dichiarato ai fini ISEE;
b) assenza nel nucleo familiare di componenti che percepiscono o hanno percepito una delle indennità “Covid-19” (es. indennità per lavoratori danneggiati dall’emergenze iscritti alle gestioni AGO, liberi professionisti con partita IVA iscritti alla gestione separata; titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa iscritti alla gestione separata…);
c) al momento della presentazione della domanda il richiedente deve essere residente in Italia e il valore del patrimonio mobiliare familiare con riferimento all’anno 2019 deve essere inferiore a una soglia di euro 10.000, accresciuta di euro 5.000 per ogni componente successivo al primo e fino ad un massimo di euro 20.000.
Il predetto massimale è incrementato di 5.000 euro in caso di presenza nel nucleo familiare di un componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza come definite ai fini ISEE e di un valore dell’ISEE inferiore ad euro 15.000.
La domanda per le quote di REM deve essere presentata all’lnps entro il 31 luglio 2021 tramite modello di domanda predisposto dal medesimo Istituto secondo le modalità stabilite dallo stesso.
Si ricorda, in ultimo, che il reddito di emergenza non è compatibile con la presenza nel nucleo familiare di componenti che siano al momento della presentazione dell’istanza in una delle seguenti condizioni:
a) titolari di pensione diretta o indiretta ad eccezione dell’assegno ordinario di invalidità;
b) titolari di un rapporto di lavoro dipendente la cui retribuzione lorda sia superiore agli importi della quota di REM;
c) percettori di reddito di cittadinanza (RdC).
2.7 Reddito di ultima istanza in favore di professionisti con disabilità
L’art. 37 del decreto legge 25 maggio 2021, n. 73 rimedia ad una disparità di trattamento nei confronti dei liberi professionisti con disabilità, finora esclusi dalle misure di intervento e di sostegno al reddito – il cosiddetto reddito di ultima istanza – concesso ai liberi professionisti ordinistici. Il decreto “Cura Italia” aveva infatti istituito il “Fondo per il reddito di ultima istanza” al fine di riconoscere una specifica indennità in favore dei liberi professionisti con un reddito inferiore ai 50 mila euro, che avevano subito una riduzione di almeno il 33% e cessato o sospeso la loro attività professionale in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Ma il beneficio era, per espressa previsione normativa, precluso ai liberi professionisti che percepivano l’equivalente dell’assegno ordinario d’invalidità erogato dalle casse private a differenza di coloro i quali ricevono l’assegno ordinario di invalidità erogato dall’lnps che, invece, erano inclusi.
Pertanto, a decorrere dal 26 maggio 2021 data di entrata in vigore del D.L. n. 73/2021, viene a modificarsi l’art. 31 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020 n. 27, prevedendo, al comma 1 bis, la completa equiparazione di ogni emolumento corrisposto dai medesimi enti ad integrazione del reddito a titolo di invalidità e avente natura previdenziale dell’assegno di invalidità corrisposto da un ente di diritto privato di previdenza obbligatoria, all’assegno ordinario di invalidità e consentendo così di ottenere il reddito di ultima istanza. Nello specifico, tutti coloro i quali non hanno avuto accesso al beneficio, alla data di entrata in vigore del D.L n. 73/2021, potranno presentare domanda per la corresponsione dell’indennità entro il 31 luglio 2021. L’istanza è presentata dagli interessati agli enti di previdenza cui sono obbligatoriamente iscritti che ne verificano la regolarità ai fini dell’attribuzione del beneficio. L’indennità è erogata nel limite di spesa complessivo di 8,5 milioni di euro per l’anno 2021. Gli enti di previdenza provvedono al monitoraggio del rispetto di tali limiti e comunicano al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e al Ministero dell’Economia e delle finanze. Qualora dal predetto monitoraggio emerga il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, rispetto al predetto limite di spesa, non sono adottati altri provvedimenti concessori.
2.8 Sospensione dell’abbattimento dell’indennità di disoccupazione
L’articolo 38 del decreto Sostegni -bis sospende dalla sua entrata in vigore fino alla fine del 2021 quanto previsto dall’articolo 4, comma 3, del decreto legislativo n. 22/2015. La norma sospesa fino alla fine dell’anno prevede normalmente che l’indennità di disoccupazione NASpI si riduca del 3 per cento ogni mese a decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione (dunque a partire dal 91° dall’inizio della sua percezione). L’effetto di sospensione determina un congelamento dell’importo già determinato alla data di entrata in vigore della norma, mentre il decremento non viene applicato fino alla fine dell’anno per tutte le indennità decorrenti dall’1 giugno al 30 settembre. Il meccanismo di decalage della NASpI porta l’assegno di disoccupazione spettante ai lavoratori subordinati a vedere un costante ridimensionamento dell’importo percepito dal limite massimo mensile di 1.335 euro (al lordo del prelievo fiscale) fino a un massimo, al 24mo mese, pari a circa 700 euro mensili. Questo decremento non riguarda invece la contribuzione figurativa, accreditata sia ai fini del diritto sia dell’importo della futura pensione, che ha un valore costante, calcolato sulla media mensile delle retribuzioni imponibili degli ultimi 48 mesi prima della cessazione con un massimale equivalente a 1.4 volte il limite del valore economico mensile della NASpI. Il decreto Sostegni -bis prevede anche che, una volta finita la sospensione del decalage della indennità disoccupazione, a far data dal 10 gennaio 2022 l’importo della NASpI sarà calcolato considerando il recupero degli abbattimenti dell’importo parametrati ai mesi di sospensione previsti dalla norma emergenziale. In altri termini, il decreto “congela” l’importo della NASpI che dalla sua entrata in vigore smette di registrare il decremento (restando con il suo valore massimo o con quello già abbattuto fino a quel momento), per poi riprendere considerando i mesi di sospensione a partire dal 2022; nonostante il tenore letterale non particolarmente chiaro, la relazione illustrativa al provvedimento chiarisce che il decremento “assorbirà” i mesi sospesi, abbattendo il valore residuo della NASpI dal 2022 anche delle riduzioni non operate nei mesi di sospensione. Il decreto non “proroga” l’indennità di disoccupazione, non determinando un allungamento della sua durata massima che è pari a 24 mesi, ma solo la sospensione del decremento della indennità. Va ricordato come già prima altre misure emergenziali come il decreto Rilancio (art. 92 D.L. n. 34/2020) e poi il decreto Agosto (art. 5 D.L. n. 104/2020) avessero prorogato rispettivamente di due mesi ciascuno la durata della indennità di disoccupazione. Le medesime norme avevano disposto che l’importo riconosciuto per ognuna delle due mensilità aggiuntive dovesse essere pari all’importo dell’ultima mensilità spettante per la prestazione originaria, congelando conseguentemente anche il decalage del 3% su base mensile. Occorre poi sottolineare che il decreto non interviene direttamente sulla indennità riservata ai collaboratori iscritti a Gestione Separata (Dis-Coll), che era invece stata oggetto di proroga, analogamente alla NASpI, nei due precedenti provvedimenti del 2020 sopra richiamati. Infine, resta ancora efficace la misura di semplificazione prevista dal primo decreto sostegni che fino al 31 dicembre prossimo per le indennità di disoccupazione concesse dal 23 marzo 2021 non trova applicazione il requisito delle trenta giornate di lavoro effettivo di cui l’articolo 3, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 22/2015 (30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti).
2.9 Decontribuzione turismo, stabilimenti termali e commercio
All’art. 43 il nuovo decreto Sostegni -bis prevede una decontribuzione per i datori di lavoro del commercio del turismo e delle terme, ricalcando la modalità di determinazione dell’importo dell’esonero già prevista dall’articolo 3 del decreto Agosto (D.L. n. 104/2020) e dall’articolo 12 del decreto Ristori (D.L. n. 137/2020).
Diversamente dal passato, i settori che possono fruire della decontribuzione sono specificamente determinati ossia turismo, stabilimenti termali e commercio. Ci si aspetta che l’Inps chiarisca, con apposita circolare, se per “commercio” si debbano intendere unicamente le posizioni contraddistinte da CSC 7.01 .XX, 7.02.XX, 7.03.XX e pubblici esercizi.
Ai fini del calcolo dell’effettivo ammontare dell’esonero, lo stesso è pari al doppio delle ore di integrazione salariale autorizzate e già fruite nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2021. L’importo della decontribuzione è pari ai contributi calcolati sulla retribuzione teorica persa per il doppio delle ore di integrazione salariale. Si ritiene che basterà aver fruito di un qualsiasi ammortizzatore sociale anche in un solo mese e che la retribuzione persa da utilizzare come base di calcolo per la misura dell’esonero debba essere maggiorata dei ratei di mensilità aggiuntive.
L’aliquota per calcolare i contributi di cui sopra è pari a quella piena a carico azienda senza nessuna esclusione ad eccezione dei premi dovuti all’lnail.
Si ipotizza che l’esonero sarà utilizzabile nel periodo di competenza maggio/dicembre 2021 e analogamente a quanto disposto per gli esoneri alternativi ex D.L. n. 104/2020 e D.L. n. 137/2020, i contributi dai quali si potrà recuperare la decontribuzione, fino a capienza, saranno quelli a carico dei datori di lavori escluse le contribuzioni al Fondo Interprofessionale (0,30%), FIS (0,45% ovvero 0,65%), le quote dovute al fondo di tesoreria ecc.
La misura in questione è cumulabile con altri esoneri o riduzione di aliquote, nei limiti dei contributi dovuti dai datori di lavoro, eccezione fatta per gli sgravi che prevedono espressamente la non cumulabilità.
Per poter beneficiare dello sgravio contributivo i datori di lavoro devono astenersi dall’effettuare procedure di licenziamento per motivi oggettivi per tutto l’arco del 2021, in base ai divieti di cui all’articolo 8, commi da 9 a 11, del decreto Sostegni (D.L. n. 41/2021) e di non avere in essere fatti ostativi al rilascio del DURC (art. 1, c. 1175, Legge n. 296/2006).
Nel caso in cui il divieto di licenziamento non venga rispettato, l’esonero contributivo viene revocato in modo retroattivo con impossibilità di presentare domanda di integrazione salariale fino a fine anno.
Viene inoltre stabilito che l’efficacia delle disposizioni del presente articolo è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
Appare chiaro che in mancanza delle istruzioni operative fornite dall’lnps e dell’autorizzazione della Commissione europea, questa agevolazione potrebbe essere applicabile molto tardi nell’anno, seguendo la sorte dell’esonero per l’assunzione di giovani under 36 e donne ex L. n. 178/2020.
Dal tenore letterale del comma 3 sembrerebbe che diversamente da quanto previsto in passato l’esonero risulterebbe cumulabile con la fruizione degli ammortizzatori sociali.
Si ritiene che la domanda di esonero dovrà essere presentata tramite cassetto bidirezionale Inps con valore di autocertificazione dei requisiti.
Il beneficio contributivo è riconosciuto nel limite di minori entrate contributive pari a 770 milioni di euro per l’anno 2021.
Diversamente dai precedenti esoneri ex D.L. n. 104 e DL 137, quindi, qualora emerga il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, rispetto al predetto limite di spesa, non saranno adottati altri provvedimenti concessori.
2.10 Proroga dell’indennità per stagionali, turismo e spettacolo
All’art. 42 il decreto legge Sostegni -bis prevede l’erogazione una tantum di un’ulteriore indennità pari a 1.600 euro a favore dei soggetti beneficiari dell’indennità di cui all’art. 10 del decreto legge Sostegni, 22 marzo 2021, n. 41.
Questa misura si aggiunge quindi all’uno tantum di 2.400 euro già prevista dal D.L. n. 41/2021.
In particolare, si conferma che i soggetti beneficiari di questo ultimo intervento sono:
– lavoratori stagionali e i lavoratori in somministrazione dei settori del turismo e degli stabilimenti termali;
– lavoratori dipendenti stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo e degli stabilimenti termali;
– lavoratori intermittenti;
– lavoratori autonomi occasionali;
– lavoratori incaricati alle vendite a domicilio;
– i lavoratori a tempo determinato dei settori del turismo e degli stabilimenti termali;
– i lavoratori dello spettacolo.
L’indennità non è cumulabile nel caso il lavoratore appartenga contemporaneamente a diverse categorie interessate dal medesimo provvedimento e non concorre alla formazione del reddito.
Si ritiene che l’erogazione non sia automatica, bensì subordinata a una nuova domanda da presentarsi all’lnps.
2.11 Indennità per collaboratori sportivi
All’art. 44 il D.L. Sostegni -bis introduce una nuova indennità per i mesi di aprile e maggio per i collaboratori sportivi, di importo superiore rispetto alle informazioni contenute nelle prime bozze del decreto.
Sarà erogata dalla società Sport e Salute Spa, in favore dei lavoratori impiegati con rapporti di collaborazione presso il Comitato Olimpico Nazionale (CONI), il Comitato Italiano Paralimpico (CIP), le Federazioni sportive nazionali, le discipline sportive associate, gli enti di promozione sportiva, riconosciuti dal Comitato Olimpico Nazionale e dal Comitato Italiano Paralimpico, le società e associazioni sportive dilettantistiche, di cui all’articolo 67, comma 1, lettera m), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, i quali, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid- 19, hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività.
Il predetto emolumento non concorre alla formazione del reddito ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e non è riconosciuto ai percettori di altro reddito da lavoro e del reddito di cittadinanza, del reddito di emergenza, ammortizzatori sociali o indennità uno tantum previste della normativa emergenziale. Si considerano reddito da lavoro che esclude il diritto a percepire l’indennità i redditi da lavoro autonomo, i redditi da lavoro dipendente e assimilati, nonché le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati, con esclusione dell’assegno ordinario di invalidità.
L’ammontare dell’indennità di cui al comma 1 è determinata come segue:
a) ai soggetti che, nell’anno di imposta 2019, hanno percepito compensi relativi ad attività sportiva in misura superiore ai 10.000 euro annui, spetta la somma complessiva di 2.400 euro;
b) ai soggetti che, nell’anno di imposta 2019, hanno percepito compensi relativi ad attività sportiva in misura compresa tra 4.000 e 10.000 euro annui, spetta la somma complessiva di 1.600 euro;
c) ai soggetti che, nell’anno di imposta 2019, hanno percepito compensi relativi ad attività sportiva in misura inferiore ad euro 4.000 annui, spetta la somma complessiva di 800 euro.
d) Con riferimento ai dati reddituali, la società Sport e Salute Spa, sulla base di apposite intese, acquisisce dall’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai beneficiari, mentre gli altri requisiti saranno oggetto di autocertificazione.
Si considerano cessati a causa dell’emergenza epidemiologica anche tutti i rapporti di collaborazione scaduti entro la data del 31 marzo 2021 e non rinnovati.
3. GLI INTERVENTI SUI CONTRATTI
3.1 II contratto di rioccupazione
Il decreto Sostegni-bis introduce, tra le misure con le quali intende rilanciare il mercato del lavoro, il “Contratto di rioccupazione”, destinato, giusto il primo comma dell’art. 41, a incentivare l’inserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori disoccupati che hanno reso la dichiarazione di immediata disponibilità “ai sensi dell’art. 19 del D.lgs. n. 150/2015”. Il nucleo essenziale di questo piano di rioccupazione post pandemica è rappresentato dal “progetto individuale di inserimento”, che ai sensi del secondo comma rappresenta una condizione essenziale per stipulare il contratto, ed è finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore al nuovo contesto lavorativo.
La misura è dichiaratamente di carattere eccezionale e il suo ricorso è limitato al periodo che va dal 1° luglio al 31 ottobre 2021. La fase formativa regolata con il progetto individuale di inserimento ha una durata – prestabilita dalla norma – di sei mesi, al termine dei quali le parti possono recedere anche senza specificare il motivo, con la sola concessione del preavviso, decorrente dalla fine del semestre di inserimento formativo.
La stipula di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di questo tipo, dà diritto a tutti i lavoratori privati (escluso il settore agricolo e il lavoro domestico) all’esonero dal versamento del 100% dei complessivi contributi previdenziali a loro carico, con esclusione dei premi e contributi Inail. Ciò per un periodo massimo di sei mesi e nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile. Resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.
La fruizione dell’esonero contributivo è informata ai principi generali di fruizione degli incentivi, fissati dall’articolo 31 del D.Lgs. n. 150/15, cui fa esplicito rinvio il sesto comma dell’art. 41, purché i datori di lavoro interessati, nei sei mesi precedenti l’assunzione, non abbiano proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 o a licenziamenti collettivi, ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, nella medesima unità produttiva.
L’esonero è revocato, e la fruizione recuperata, se il datore di lavoro procede al licenziamento durante o al termine del periodo di inserimento, o al licenziamento collettivo o individuale per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con lo stesso livello e categoria legale di inquadramento del lavoratore assunto con l’esonero, effettuato nei sei mesi successivi alla predetta assunzione. Ai fini del computo del periodo residuo utile alla fruizione dell’esonero, la revoca non ha effetti nei confronti degli altri datori di lavoro privati che assumono il lavoratore ai sensi del presente articolo. In caso di dimissioni del lavoratore
il beneficio viene riconosciuto per il periodo di effettiva durata del rapporto.
È da condividere l’attenzione del legislatore nei confronti di strumenti di promozione dell’occupazione, superando il ricorso a misure di mera assistenza passiva. Tuttavia, il contratto di rioccupazione denuncia limiti piuttosto evidenti, sia di merito che rispetto al contesto in cui interviene, che rischiano di comprometterne l’efficacia.
Appare innanzi tutto piuttosto limitativo della sua possibile diffusione il dato temporale: sostanzialmente si tratta di un esonero massimo di 500 euro mensili, con uno spettro possibile per verificare l’opportunità dell’opzione che si esaurisce il prossimo 31 ottobre. Tutto ciò con l’ulteriore alea della decisione della Commissione europea, alla cui autorizzazione è subordinata la concessione del beneficio, peraltro nei limiti del plafond previsto dal comma 10 (limite di minori entrate contributive pari a 585,6 milioni di euro per l’anno 2021 e a 292,8 milioni di euro per l’anno 2022).
Un’altra restrizione emerge rispetto alla demarcazione dell’ambito soggettivo.
Se questo è praticamente diffuso per la parte datoriale privata (sono esclusi solo il settore agricolo e il lavoro domestico), dal punto di vista dei lavoratori candidabili invece, il limite del riferimento ai requisiti di disoccupazione di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 150/2015 può rivelarsi poco conveniente, considerato che giungiamo a queste misure con alle spalle i tanti mesi di pandemia e di divieto dei licenziamenti, per effetto dei quali molti lavoratori, attualmente “occupati” solo sulla carta per effetto del divieto, rischiano di trovarsi spiazzati perché privi dei requisiti richiesti. A ciò si aggiunga che la fruibilità stessa della misura cessa con lo spirare del divieto di licenziamento per i datori di lavoro che possono ricorrere a cassa in deroga e assegno ordinario.
Incerti, infine, appaiono i canoni di adeguatezza del “Progetto Individuale di Inserimento”. La legge non ne fa alcun cenno, se non per fissarne la durata di sei mesi. Si tratta invece di una esigenza fondamentale, considerato che è riferita a quella che lo stesso legislatore dichiara essere la condizione per l’assunzione con il contratto di rioccupazione, necessaria ai fini della verifica e – soprattutto – della verificabilità in nuce, della conformità del progetto convenuto con il contratto, ai fini della garanzia dell’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore al nuovo contesto lavorativo nel quale si vuole sia inserito stabilmente.
Da chiarire infine, la natura del licenziamento che, ai sensi del comma 7, causa la revoca dell’esonero e il recupero di quanto fruito, considerato che alla luce del dato letterale, sembrerebbe non limitato soltanto a quello di natura organizzativa, fino a ricomprendere
i motivi disciplinari durante il periodo di inserimento, circostanza quest’ultima che razionalmente deve però respingersi.
3.2 Potenziamento del contratto di espansione
Il decreto Sostegni-bis non interviene direttamente sul panorama pensionistico italiano, ma modifica strategicamente l’istituto sperimentale del contratto di espansione. Il contratto di espansione, dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 178/2020 era passato da un requisito dimensionale molto significativo (accesso consentito solo a imprese con più di mille unità lavorative, senza possibilità di riunirsi in gruppo) a un doppio requisito: almeno 250 unità lavorative nel caso dell’accompagnamento a pensione della durata massima di 60 mesi e 500 unità lavorative per l’accesso alla CIGS derogatoria rispetto ai limiti massimi di fruizione nel quinquennio e priva di qualsiasi contributo addizionale a carico dell’azienda. Il nuovo decreto Sostegni -bis prevede che dalla sua data di entrata in vigore entrambi i requisiti vengano abbassati a una soglia dimensionale ancora più accessibile, pari ad almeno 100 unità lavorative. Tale limite può essere raggiungo anche come somma dell’organico di più realtà aziendali nelle ipotesi di aggregazione di imprese stabile con un’unica finalità produttiva o di servizi. Parallelamente all’ampliamento della platea delle aziende che vi potranno fare ricorso, la norma si occupa di ampliare conseguentemente gli stanziamenti della finanza pubblica aumentando i fondi per il prepensionamento di 35 milioni di euro per il 2021, 91 milioni di euro per il 2022 e 50,5 milioni di euro per l’anno 2023, mente la CIGS in espansione (accessibile alle sole imprese in campo CIGS secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 148/2015) riceve uno stanziamento di 66,7 milioni di euro per il 2021 e 134,5 milioni per il 2022.
Va anche notato come il comma 3 del decreto intervenga sullo stanziamento per le imprese con più di mille lavoratori che attuino piani di riorganizzazione o di ristrutturazione di particolare rilevanza strategica in linea con i programmi europei. Tali imprese accedono nel caso del prepensionamento del comma 5-bis a un beneficio che consente di abbattere i costi dell’esodo di un valore pari alla NASpI maturata dai dipendenti esodati per un massimo pari a 36 e non 24 mesi (come nel caso delle imprese con almeno 100 lavoratori). Tale beneficio si accompagna però a un più forte obbligo occupazionale, secondo cui l’azienda dovrà impegnarsi ad assumere 1 lavoratore ogni 3 accompagnati a pensione. Prima della modifica introdotta dal D.L. Sostegni -bis il finanziamento previsto per il 2024, a copertura di buona parte dell’estensione del bonus pari al valore del terzo anno di NASpI prevedeva un valore estremamente ridotto (3,7 milioni di euro), che aveva suscitato notevoli perplessità fra gli operatori del mercato del lavoro. A valle del finanziamento previsto dal comma 3, l’accantonamento sale a 30,4 milioni, consentendo così a un numero decisamente più nutrito di grandi imprese, anche riunite in gruppo, di procedere a processi di rinnovamento generazionale.
—
Note:
(1) Per approfondire il fondo perduto di cui all’art. 1. D.L. n. 41/2021 si rimanda alla consultazione della circolare n. 6 del 25 marzo 2021 di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.
(2) A tal proposito, si ritengono validi i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con le circolari n. 15/E del 13 giugno 2020 e n. 22/E del 21 luglio 2020; inoltre si segnala la recente pubblicazione della circolare n. 5/E del 14 maggio 2021.
(3) Le medesime condizioni si applicano per il fondo perduto “a conguaglio” di cui ai commi da 16 a 27 di cui si dirà in seguito.
(4) I commi 16 e 17 ricalcano l’ambito soggettivo definito per il CFP alternativo dai commi 5, 6 e 7.
(5) La norma letteralmente richiama i CFP di cui all’art. 25 D.L. n. 34/2020, agli artt. 59 e 60, D.L. n. 104/2020, agli artt. 1, 1-bis e 1-ter D.L. n. 137/2020, all’art. 2, D.L. n. 172/2020, all’art. 1, D.L. n. 41/2021, e all’art. 1, c.c. da 1 a 3 e da 5 a 13, D.L. n. 73/2021.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
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