Con la risoluzione 94/E del 13 dicembre 2013 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti, ai fini della non imponibilità delle cessioni, può avere rilevanza il fatto che l’operazione, sin dalla sua origine, fosse concepita al fine di trasferire la merce all’estero.
Il questi è stato posto da una società italiana che avendo una trattativa commerciale in corso con una società statunitense per la fornitura di pompe. Il quesito riguarda il trattamento fiscale per la costituzione di un proprio deposito negli USA, presso i locali della propria controllata BETA Corp., ove stoccare le merci da cedere successivamente alla società statunitense. Lo scopo del predetto deposito è originato dalla garanzia della tempestività della fornitura dei beni, i quali sarebbero pertanto esportati con la procedura doganale franco valuta (senza vendita).
L’istante chiedeva, quindi, all’Agenzia di sapere se, all’atto della successiva vendita dei beni preventivamente stoccati all’estero, potrà fatturare le cessioni come non imponibili ex art. 8 (e non come cessioni fuori campo ex art. 7-bis per carenza di territorialità) e, di conseguenza, computare l’importo di tali operazioni, qualificabili cessioni all’esportazione con effetto traslativo posticipato rispetto all’invio delle merci, nel plafond utile per gli acquisti senza pagamento dell’Iva.
La soluzione prospettata dall’istante era basata sia sulle risoluzioni n. 520657 del 1975 e n. 411050 del 1979, che dalla recente sentenza n. 23588 del 2012 con cui la cassazione ha osservato che «non si riscontra disposizione né esigenza sistematica che imponga una sequenza temporale vincolata dagli effetti della transazione nel senso della necessaria anteriorità dell’effetto traslativo del diritto reale rispetto a quello dell’uscita della merce dal territorio comunitario» e che la nozione di cessione all’esportazione richiede «la necessaria ricorrenza di un vincolo finalistico tra trasferimento della proprietà e esportazione, ma non anche quella di un’obbligata successione temporale tra i due termini dell’operazione».
La società istante riteneva che nel caso di specie che la fornitura di beni con effetti reali differiti, presenta analogie con il contratto di consignment stock, rispetto al quale si differenzia solo per il fatto che, in tal caso, il soggetto deputato allo stoccaggio della merce è l’acquirente e non il venditore.
L’Agenzia delle Entrate con la risposta al quesito inoltrato ribadisce, in primis, che per configurare una cessione all’esportazione non imponibile è indispensabile non solo la materiale uscita dei beni dal territorio dell’Ue, ma anche il verificarsi di un trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento.
Tale affermazione trova applicazione anche in relazione ai contratti di consignment stock, in relazione ai quali la risoluzione n. 58/2005 ha però precisato che anche nell’ipotesi in cui, in base al contratto, le merci sono inviate a destinazione di un acquirente stabilito in un paese extra-Ue, presso un deposito nella disponibilità del medesimo, all’atto del prelievo delle merci da parte dell’acquirente si dà esecuzione alla compravendita e si realizzano i presupposti per inquadrare l’operazione come cessione all’esportazione non imponibile ex art. 8. In tal caso, quindi, l’effetto traslativo della proprietà dei beni esportati, ancorché differito, non esclude che l’operazione, unitariamente considerata, possa considerarsi una cessione all’esportazione non imponibile.
Pertanto, essendo la fattispecie in esame molto simile, riguardo agli effetti, al contratto di consignment stock, in quanto i beni inviati all’estero sono vincolati, sin dall’inizio, all’esclusivo trasferimento in proprietà del cliente, l’Agenzia ha ritenuto condivisibile la soluzione prospettata dall’interpellante.
Pertanto in conclusione all’atto della vendita di beni preventivamente stoccati all’estero senza trasferimento della proprietà, il cedente può emettere fattura per cessione all’esportazione non imponibile ai sensi dell’art. 8 del dpr 633/72, utile alla costituzione del plafond per gli acquisti in sospensione d’Iva, qualora vi sia con il cessionario, fin dall’origine, un impegno contrattuale alla compravendita. Tale soluzione è valida anche al di fuori dell’ipotesi del consignment stock, per la quale la risoluzione n. 58/2005 ha già riconosciuto l’unitarietà dell’operazione, ancorché realizzata in due fasi distinte, la prima, l’invio dei beni all’estero nella disponibilità del futuro acquirente, la seconda il trasferimento della proprietà al momento del prelievo, e ammesso la fatturazione in regime di non imponibilità. È quanto emerge dalla risoluzione n. 94/E del 13 dicembre 2013, con la quale l’Agenzia delle entrate ha risposto all’istanza di interpello di un’impresa che rappresentava di avere in corso una trattativa per la fornitura di beni ad una società statunitense.
In allegato
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