AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 26 marzo 2021, n. 216
IVA -Test genetico – Esenzione ex articolo 10, primo comma, n. 18) del D.P.R. n. 633 del 1972
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La Società ALFA (di seguito la “Società” o l'”Istante”) è la sede secondaria italiana della società estera BETA, leader mondiale nello sviluppo e commercializzazione di servizi di laboratorio di utilità clinica in grado di guidare le decisioni terapeutiche in campo oncologico.
Nell’ambito della propria attività, la casa madre fornisce test diagnostici basati sulla genomica, tra i quali il test “X”, specificamente rivolto alle pazienti colpite da carcinoma mammario.
Il test X consente di valutare l’efficacia dell’impiego della chemioterapia, limitandone l’impiego alle sole pazienti che ne possono effettivamente beneficiare, con conseguente abbattimento dei costi sociali e di trattamento e miglioramento della qualità di vita grazie alla riduzione delle tossicità delle cure.
Più precisamente, il test X è in grado di fornire una stima del rischio di recidiva (valore prognostico) in misura molto più accurata rispetto ai parametri clinicopatologici standard, identificando con maggiore precisione le pazienti a rischio più elevato e che quindi possono beneficiare del trattamento con la chemioterapia adiuvante e quelle che, invece, avendo un rischio di recidiva meno pronunciato, possono evitarla. In aggiunta, il test è in grado di fornire una previsione del beneficio derivato dalla chemioterapia (valore predittivo) selezionando in maniera accurata le pazienti alle quali andrebbe somministrata la chemioterapia rispetto a quelle che invece possono essere trattate in sicurezza con la sola terapia ormonale evitando gli effetti collaterali della chemioterapia.
Per le considerazioni che precedono, l’utilizzo del test X è fortemente raccomandato dalle Linee Guida Internazionali (NCCN/ASCO/AJCC) e Europee (ESMO, San Gallen) ed è anche inserito nelle linee guida della Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM).
Con specifico riferimento all’Italia, le linee guida AIOM indicano il test X, come il classificatore molecolare oggi meglio validato e più estesamente utilizzato nella pratica clinica. Il test inoltre è stato analizzato da Agenas (l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) che ne ha confermato la validità clinica e il rapporto costo/efficacia in un suo documento (“Test prognostici multigenici per guidare la decisione sulla chemioterapia adiuvante nel trattamento del tumore al seno in stadio precoce”). Anche il Consiglio Superiore di Sanità ha prodotto, già nel , un documento a favore dell’utilizzo dei Test X per il tracciamento delle pazienti con carcinoma della mammella non candidabili alla terapia adiuvante, in linea con le raccomandazioni internazionali.
Il test è attualmente rimborsato in — e in – per una specifica popolazione di pazienti ben identificata, sulla base del fatto che l’adozione dei test produrrà un risparmio per via del minore ricorso alla chemioterapia. Inoltre, il test X è anche utilizzato in numerosi ospedali e ASL in Italia.
La distribuzione del test X in Italia – sinora gestita direttamente dalla casa madre BETA – è stata assegnata alla branch neocostituita italiana (l’Istante) che intende adottare il seguente modello operativo.
Successivamente all’intervento chirurgico al quale viene sottoposta la paziente, viene analizzato il tessuto tumorale della stessa e, su indicazione del medico curante (clinico oncologo o chirurgo senologo), verrà preparato un campione tumorale per l’analisi genomica. La società istante gestirà il ritiro del campione e la sua spedizione presso un laboratorio specializzato all’estero dove verrà effettuata l’analisi. Alla paziente e al medico verrà infine restituito il referto che riepilogherà i risultati del test diagnostico circa: (i) il rischio di recidiva della malattia tumorale (ii) il beneficio atteso dalle varie opzioni di trattamento post chirurgico: chemioterapia o terapia endocrina.
Sulla base del referto, previa consultazione del patologo e del tumor board, l’oncologo determinerà la corretta terapia da utilizzare per la paziente.
La società italiana fatturerà il corrispettivo per l’effettuazione dell’esame diagnostico nei confronti dell’ospedale o direttamente al paziente.
Al fine di garantire elevati livelli di standardizzazione delle procedure di analisi e massima specializzazione nella elaborazione dei risultati, la società istante si avvarrà di un laboratorio di analisi situato all’estero.
Ciò premesso, la società istante chiede conferma dell’applicabilità dell’esenzione da IVA prevista dall’art. 10, primo comma, n. 18, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 alle prestazioni del servizio di accertamento diagnostico di profilazione genica (c.d. test X) tramite attività di analisi centralizzata presso un laboratorio di ricerche cliniche all’estero.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante ritiene che le operazioni in argomento siano da ritenersi esenti da IVA ai sensi dell’articolo 10, primo comma, n. 18) del D.P.R. n. 633 del 1972.
L’applicazione dell’esenzione da IVA nella fattispecie concreta, a parere della società istante, appare discendere dalle finalità terapeutiche del test X che, attraverso lo studio del genoma del paziente oncologico, è diretto ad accertare l’insorgenza di patologie e ad individuare il corretto trattamento terapeutico, favorendone il successo, e di conseguenza il recupero dello stato di salute della persona verso cui l’esame si rivolge.
In considerazione del consolidato orientamento espresso dall’Agenzia delle entrate, l’Istante evidenzia che le prestazioni rese a scopo di accertamento diagnostico hanno diretto rapporto con l’esercizio delle professioni sanitarie e, pertanto, vanno considerate alla stregua di qualunque altra prestazione svolta nell’esercizio delle arti e professioni sanitarie di cui all’art. 99 del Testo Unico, indipendentemente dal fatto che il laboratorio di analisi dove sono svolte sia diretto da medici, chimici o biologi.
Neanche l’assenza di un rapporto diretto con la paziente sottoposta al test appare circostanza ostativa all’applicazione dell’esenzione.
Peraltro, nella fattispecie in esame, il laboratorio è diretto da medici specialisti in chimica clinica e in diagnostica di laboratorio, a cui mancherebbe soltanto il riconoscimento in Italia del titolo professionale posseduto (cosa che qui appare irrilevante, atteso che gli stessi operano presso il laboratorio all’estero).
Come la Corte di Giustizia Europea ha avuto modo di chiarire, sebbene gli Stati membri possano subordinare l’esenzione a determinate condizioni, non può ritenersi legittima la normativa nazionale che subordina l’esenzione delle analisi cliniche alla condizione che esse siano effettuate sotto controllo medico. Per prestazioni sanitarie devono infatti intendersi non solo le prestazioni fornite direttamente da medici o da altri professionisti del settore sanitario sotto controllo medico, ma anche le prestazioni paramediche fornite sotto la sola responsabilità di persone che non posseggono la qualifica di medico (sentenza C-106/05 dell’8 giugno 2006).
Infine, l’Istante precisa che l’eventuale non applicazione dell’esenzione IVA al servizio di accertamento diagnostico qui descritto avrebbe l’effetto di scoraggiare la distribuzione in Italia del test X, a discapito della tutela della salute delle pazienti colpite da carcinoma mammario.
Parere dell’Agenzia delle entrate
L’articolo 10, primo comma, n. 18), del D.P.R. 26 ottobre 197, n. 633 prevede l’esenzione da IVA per “le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell’art. 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze”.
Ai fini dell’applicazione del regime di esenzione IVA di cui all’articolo 10, primo comma, n. 18 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, debbono sussistere congiuntamente sia il requisito oggettivo (ossia che trattasi di prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona), sia il requisito soggettivo (ossia che le prestazioni siano rese nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, secondo le disposizioni dello Stato).
Tale disposizione trova fondamento nell’articolo 132, paragrafo 1, lettera c), della Direttiva del 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, ai sensi del quale “gli Stati membri esentano le operazioni seguenti: c) le prestazioni mediche effettuate nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche quali sono definite dallo Stato membro interessato (…)”.
In base all’articolo 132, paragrafo 1, lettera c), della Direttiva, gli Stati membri dispongono di un potere discrezionale per definire le professioni nel cui ambito lo svolgimento delle prestazioni mediche è esentato dall’IVA e, in particolare, per determinare quali qualifiche siano richieste per esercitare tali professioni (cfr. in tal senso, sentenza del 27 aprile 2006, C-443/04 e C-444/04, sentenza del 27 giugno 2019, C-597/17, sentenza del 5 marzo 2020, causa C-48/1).
La Corte di Giustizia evidenzia in proposito come tale potere discrezionale non sia illimitato, dato che gli Stati Membri devono tenere conto, da una parte, dell’obiettivo perseguito da tale disposizione, che consiste nel garantire che l’esenzione si applichi esclusivamente alle prestazioni mediche fornite da prestatori che possiedono le necessarie qualifiche professionali, e, dall’altra, del principio di neutralità fiscale (cfr. sentenza del 27 aprile 2006 C-443/04 e C-444/04, sentenza del 27 giugno 2019, C-597/17).
L’Amministrazione Finanziaria ha delineato l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione dell’esenzione in commento con numerosi documenti di prassi.
In proposito, la circolare 28 gennaio 2005, n. 4/E ha chiarito che l’applicazione dell’articolo 10, primo comma, n. 18) del Decreto IVA “va limitato alle prestazioni mediche di diagnosi, cura e riabilitazione il cui scopo principale è quello di tutelare o ristabilire la salute delle persone, comprendendo in tale finalità anche quei trattamenti o esami medici a carattere profilattico eseguiti nei confronti di persone che non soffrono di alcuna malattia”.
Con riferimento all’attività di accertamento diagnostico, la risoluzione n. 184 del 24 settembre 2003 ha precisato che “per attività di diagnosi si indica l’attività diretta ad identificare la patologia cui i pazienti sono affetti”.
Inoltre, la risoluzione n. 87 del 12 luglio del 2006, richiamando a sua volta la circolare n. 25 del 3 agosto 1979, parte 3, ha ulteriormente precisato che “fruiscono dell’esenzione anche le prestazioni rese da laboratori radiologici e da laboratori di analisi mediche e di ricerche cliniche, in qualsiasi forma organizzati (ad esempio società di persone o di capitali, enti, ecc.) e indipendentemente dal fatto che siano diretti da medici, chimici o biologi. Ciò nella considerazione che le cennate prestazioni, in quanto rese a scopo di accertamento diagnostico, hanno diretto rapporto con l’esercizio delle professioni sanitarie” e, pertanto, “vanno considerate alla stregua di qualunque altra prestazione svolta nell’esercizio delle arti e professioni sanitarie di cui all’art. 99 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie”.
Le precisazioni contenute nei documenti di prassi sopra richiamati sono state fornite alla luce delle pronunce della Corte di Giustizia Europea in tema di prestazioni mediche esenti da IVA.
Dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia emerge che “…. le nozioni di «cure mediche», di cui all’articolo 132, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/112, e di «prestazioni mediche», ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera c), della stessa, riguardano entrambe prestazioni che hanno lo scopo di diagnosticare, di curare e, nella misura del possibile, di guarire malattie o problemi di salute (si veda, al riguardo la sentenza della Corte del 18 settembre 2019, WolfHenning Peters, causa C-700/17 e la sentenza del 2 luglio 2015, De Fruytier, causa C-334/14).”
I giudici comunitari hanno precisato, inoltre, che “ai fini di un’eventuale esenzione dall’IVA delle prestazioni di trasmissione di prelievi medici, occorre considerare lo scopo in vista del quale tali prelievi vengono effettuati. Pertanto, allorché un professionista medico a ciò abilitato prescrive, per l’elaborazione della propria diagnosi ed a scopo terapeutico, che il paziente si sottoponga ad analisi, la trasmissione del prelievo deve essere considerata come strettamente connessa alle analisi stesse e deve di conseguenza fruire di un’esenzione dall’IVA”. In altri termini, secondo la Corte, “la prestazione di prelievo e la trasmissione dello stesso ad un laboratorio specializzato costituiscono prestazioni strettamente connesse alle analisi, con la conseguenza che esse devono seguire il medesimo regime fiscale di queste ultime e, pertanto, non devono essere assoggettate all’IVA” (cfr. sentenza dell’11 gennaio 2000, causa C-76/99).
Sotto il profilo oggettivo, si osserva inoltre che la Corte di Giustizia, con la sentenza n. C-141/00 del 10 settembre 2002, ha affermato che l’applicazione dell’esenzione Iva alle prestazioni mediche deve essere valutata in relazione alla natura delle prestazioni fornite, a prescindere dalla forma giuridica che riveste il soggetto che le rende.
Riguardo al profilo soggettivo, la circolare n. 4/E del 2005 ha precisato che “la prestazione medica o paramedica può essere esente dall’IVA solo se resa dai soggetti sottoposti a vigilanza ai sensi dell’articolo 99 del R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 e successive modificazioni ovvero individuati dal decreto del ministero della Sanità 17 maggio 2002”.
Nella fattispecie in esame, la Società istante fornisce servizi di test diagnostici basati sulla genomica, tra i quali il test X, specificamente rivolto alle pazienti colpite da carcinoma mammario.
Come sopra specificato, per le prestazioni del servizio di accertamento diagnostico di profilazione genica, c.d. test X, la Società si avvale dell’attività di analisi centralizzata presso un laboratorio di ricerche cliniche situato all’estero.
Il laboratorio è diretto da medici specialisti in chimica clinica e in diagnostica di laboratorio, a cui, tuttavia – come evidenziato dall’Istante – mancherebbe il riconoscimento in Italia del titolo professionale posseduto, atteso che gli stessi operano presso il laboratorio all’estero.
Posto quanto sopra, preme, in proposito, rilevare che il test diagnostico si inserisce in un percorso terapeutico e di cura, che vede, in linea generale, l’intervento del patologo e dell’oncologo, al fine di determinare la corretta terapia da utilizzare per la paziente, risultando funzionale alle cure che i medici curanti predisporranno.
In virtù di ciò, si ritiene che il servizio di accertamento diagnostico tramite il test X possa beneficiare del regime di esenzione, di cui all’articolo 10, primo comma , n. 18), anche in considerazione del fatto che tale servizio, volto a tutelare e/o a ristabilire lo stato di salute della persona, si inserisce funzionalmente in un percorso terapeutico, come rappresentato in istanza, che vede l’intervento del patologo e dell’oncologo e/o del medico curante i quali, sulla base del referto, determineranno la corretta terapia da utilizzare per la paziente.
Tale accertamento diagnostico, peraltro, verrebbe ad inserirsi in un percorso terapeutico, anche qualora venga ad avere solo carattere profilattico per la paziente (cfr. circolare 28 gennaio 2005, n. 4/E; risposta n. 118 del 24 aprile 2020).
In tale ottica, sulla base della prassi amministrativa richiamata nonché dell’indirizzo espresso dalla Corte di Giustizia in materia, anche il servizio di accertamento diagnostico tramite il test X, funzionalmente connesso alla prestazione di cura, deve ritenersi riconducibile nell’ambito applicativo dell’esenzione dall’IVA di cui all’art. 10, primo comma, n. 18), del DPR n. 633 del 1972.
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