La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 763 depositata il 9 gennaio 2024, intervenendo in tema di accessi ed acquisizione di prove, ha ribadito il principio di diritto, statuito dalle SS.U., secondo cui “… il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, in tema di imposta sul valore aggiunto – reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973 – ha il potere-dovere (in ossequio al canone ermeneutico secondo cui va privilegiata l’interpretazione conforme ai precetti costituzionali, nella specie agli artt. 14 e 113 Cost.), oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione – sia pure concisa o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria: sicché, nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando conseguenzialmente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove (Cass., Sez. U, 21.11.2002, n. 16424, Rv. 558642-01. Cfr. anche, più recentemente, Cass., Sez. 5, 18.10.2021, n. 28651, non massimata, in motivazione, pp. 7, ult. cpv. e 8); …”

La vicenda ha riguardato un contribuente titolare di una ditta individuale operante nel settore del turismo a cui, l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento fondato sul rinvenimento di contabilità in nero rinvenuta nell’abitazione privata del contribuente a seguito dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica. Il contribuente avverso tale atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (attualmente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). I giudici di primo grado accolsero il ricorso. Avverso tale decisione l’Amministrazione finanziaria propose appello. I giudice di appello accolsero il gravame osservando come, il rinvenimento di contabilità in nero legittimasse l’accertamento analitico induttivo nei confronti del contribuente fondato sui dati da quella emergenti, gravando il contribuente dell’onere della prova contraria. Il contribuente impugnava la sentenza dei giudici di appello con ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.

Gli Ermellini accolsero il ricorso proposto dal contribuente limitatamente al primo motivo, con rigetto del secondo e l’assorbimento del terzo e del quarto. In particolare il ricorrente eccepiva l’illegittimità degli atti in base al fatto che sull’accesso dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica per mancata indicazione dei i gravi indizi di violazione di norme tributarie richiesti dalla legge per l’accesso domiciliare.

In altri termini, per i giudici di legittimità, l’autorizzazione all’accesso domiciliare e illegittima se basata sulla sola denuncia anonima (verbale o scritta), in quanto non è sufficiente a costituisce i grave indizio di colpevolezza con la conseguente illegittima acquisizione della documentazione reperita e rendendola inutilizzabile ai fini dell’accertamento. Inoltre il giudice tributario ha il potere-dovere di verificare i gravi indizi di colpevolezza indicati sull’autorizzazione all’accesso e non deve tener conto delle prove acquisite illegittimamente.