Corte di Cassazione, ordinanza n. 33399 depositata il 30 novembre 2023
inutilizzabilità delle prove se raccolte con un autorizzazione illegittima – Tributi – documentazione extracontabile – accesso domiciliare presso terzi – art. 52 dpr 633/1972
Rilevato che:
1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento che l’Agenzia delle entrate, sulla scorta delle risultanze di un p.v.c. della G.d.F., aveva emesso nei confronti della G. s.r.l. per recupero a tassazione di maggiori imposte ai fini IRES, IVA ed IRAP per l’anno d’imposta 2006, la CTR dell’Emilia Romagna con la sentenza in epigrafe indicata accoglieva l’appello incidentale proposto dalla predetta società avverso la statuizione di primo grado ad essa sfavorevole, ritenendo inutilizzabile la documentazione extracontabile rinvenuta dalla G.d.F. in sede di accesso domiciliare presso l’abitazione della madre del legale rappresentante della società sottoposta a verifica fiscale stante l’illegittimità dell’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica in quanto fondata su delazione anonima, come tale inidonea ad integrare il requisito della sussistenza dei gravi indizi dei violazioni fiscali.
2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui replica la società intimata con controricorso e memoria.
Considerato che:
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 33 del d.P.R. n. 600 del 1973 per avere la CTR erroneamente ritenuto legittimata la società contribuente a dolersi di una presunta illegittimità dell’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica ad effettuare una verifica domiciliare nei confronti di un soggetto (nella specie, la madre del legale rappresentante della società sottoposta a verifica fiscale) estraneo alla compagine sociale.
2. Con il secondo motivo propone la medesima questione posta nel primo motivo ma «sotto il versante processuale», deducendo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. nonché degli artt. 52 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 33 del d.P.R. n. 600 del 1973, e ribadendo il difetto di legittimazione della G. s.r.l. a dedurre l’illegittimità dell’autorizzazione all’accesso domiciliare.
3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente stante l’intrinseca connessione, sono infondati e vanno rigettati.
4. Muovendo dalla pacifica natura di impugnazione-merito del processo tributario, in quanto diretto non alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato (come nelle ipotesi di “impugnazione-annullamento”, orientate unicamente all’eliminazione dell’atto – Cass. n. 3309 del 2004), ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio» (cfr., ex multis, Cass. n. 15825 del 2006, n. 16252 del 2007, n. 26322 del 2010 e, più recentemente Cass. n. 34723 del 2022), questa Corte ha affermato e più volte ribadito, anche con pronunce nomofilattiche del Supremo consesso, che «La giurisdizione del giudice tributario, a seguito della modifica introdotta dall’art. 12, comma secondo, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 all’art. 2 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ha carattere pieno ed esclusivo, estendendosi non solo all’impugnazione del provvedimento impositivo, ma anche alla legittimità di tutti gli atti del procedimento, ivi compresi gli ordini di verifica, a seguito dei quali l’attività di accertamento inizia (Cass., Sez. U, n. 6315 del 2009 Rv. 607458 – 01), nonché l’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica ai sensi dell’art. 52, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass., Sez. U, n. 11082 del 2010, Rv. 612858 – 01).
4.1. L’insegnamento nomofilattico di questa Corte (rinvenibile anche in Cass. n. 23595 del 2011, Rv. 619979 – 01), è quindi chiaro nel ritenere che la giurisdizione del giudice tributario «non ha ad oggetto solo gli atti per così dire finali del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (ovverosia gli atti definiti, propriamente, come impugnabili dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19) ma investe – nei limiti, ovviamente, dei motivi sottoposti dal contribuente all’esame di quel giudice ai sensi del medesimo D.Lgs., art. 18, comma 2, lett. e), – tutte le fasi del procedimento che hanno portato alla adozione ed alla formazione di quell’atto tanto che l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o alla regolarità (formale e/o sostanziale) su un qualche atto istruttorio prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto finale impugnato» (Cass., Sez. U, n. 11082 del 2010, cit., che richiama «in terminis ex multis, Cass. SS.UU. civ., sent. n. 103 del 12 marzo 2001»), atteso che «la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria […] è assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa» (Cass., Sez. U, 4 marzo 2008 n. 5791; ma già, Cass., Sez. U, 25 luglio 2007 n. 16412).
4.2. Nelle pronunce sopra richiamate (Cass. Sez. U del 2009 e del 2010) si è altresì precisato che gli eventuali vizi degli atti della sequenza procedimentale (nei casi esaminati, degli ordini di verifica e dell’autorizzazione ex art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972), «potranno tuttavia essere dedotti soltanto e nel momento in cui si impugni il provvedimento che conclude l'”iter” di accertamento. Gli eventuali vizi di tale autorizzazione, in quanto attinente esclusivamente al procedimento amministrativo di verifica tributaria e produttiva di effetti solo nell’ambito dello stesso, potranno essere dedotti soltanto e nel momento in cui si impugni il provvedimento che conclude l'”iter” di accertamento. Qualora, invece, l’attività di accertamento non sfoci in un atto impositivo […] l’autorizzazione del P.M., in quanto ipoteticamente lesiva del diritto soggettivo del contribuente a non subire verifiche fiscali al di fuori dei casi previsti dalla legge, e la connessa compressione dei propri diritti anche costituzionali (in particolare, libertà di domicilio, di corrispondenza, di iniziativa economica), sarà autonomamente impugnabile dinanzi al giudice ordinario, nessun elemento di collegamento potendosi ricavare dall’art. 7, comma quarto, della legge n. 212 del 2000, che si limita ad attribuire alla giurisdizione del giudice amministrativo, secondo i normali criteri di riparto, l’impugnazione di atti amministrativi a contenuto generale o normativo, ovvero di atti di natura provvedimentale che costituiscano un presupposto dell’esercizio della potestà impositiva» Cass., Sez. U, n. 11082 del 2010; in senso analogo Cass. Sez. U, n. 6315 del 2009 con riferimento agli ordini di verifica).
4.3. Pertanto, nella prima ipotesi (di emissione dell’atto impositivo), il contribuente ha piena legittimazione ad impugnare l’atto della sequenza procedimentale che ritenga illegittimo o invalido, indipendentemente dal fatto che lo stesso non sia stato emesso nei suoi confronti, come accaduto nel caso di specie, in cui l’autorizzazione all’accesso domiciliare del Procuratore della Repubblica riguardava un soggetto estraneo alla società verificata. Piuttosto, quest’ultimo, proprio perché estraneo alla compagine societaria, potrà impugnare autonomamente dinanzi al giudice ordinario il provvedimento che lo ha riguardato, ove ritenuto lesivo delle sue prerogative costituzionali, indipendentemente dal fatto che sia stato emesso o meno un atto conclusivo del procedimento accertativo, al quale è del tutto estraneo.
5. Pertanto, va affermato che, in tema di accertamento delle imposte, il contribuente è legittimato ad impugnare, unitamente all’atto impositivo, anche un atto istruttorio prodromico, quale il provvedimento di autorizzazione del Procuratore della Repubblica previsto, in materia di IVA, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 2, richiamato dal d.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, in materia di imposte dirette, emesso nei confronti di soggetto estraneo all’accertamento. Principio, questo, già pronunciato da Cass., Sez. 5, sentenza n. 28577 del 18/10/2021 (Rv. 662595 – 01), secondo cui «In tema di accertamento, l’autorizzazione alla perquisizione domiciliare del Procuratore della Repubblica, prevista dall’art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni tributarie la cui sussistenza e legittimità deve essere oggetto di verifica da parte del giudice, atteso che tale requisito coinvolge la regolarità del procedimento accertativo su cui si fonda la pretesa impositiva; verifica che deve essere compiuta anche nel caso in cui il contribuente impugni l’autorizzazione relativa a perquisizione compiuta presso il domicilio di un terzo e a seguito della quale sono stati rinvenuti documenti poi utilizzati in sede di contestazione tributaria nei confronti dello stesso contribuente».
6. Con il terzo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostiene la ricorrente che la CTR, nel dichiarare l’illegittimità dell’autorizzazione all’accesso domiciliare rilasciata dal Procuratore della Repubblica, era incorsa in un «errore valutativo» là dove aveva assimilato «ad una “delazione anonima” un “esposto dettagliato” che la Guardia di Finanza [aveva] ricevuto “da una ex dipendente delle aziende in trattazione”».
7. Il motivo è inammissibile ed infondato.
7.1. Invero, in disparte l’inammissibilità del motivo per «doppia conforme» ex art. 348-ter cod. proc. civ., va ricordato che ai sensi del n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. può denunciarsi per cassazione l’omesso esame di uno specifico fatto storico («principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia» – Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014) e non, invece, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 18710 del 2022), come invece fatto dalla ricorrente con il motivo in esame, con cui lamenta un «errore valutativo» commesso dalla CTR sul contenuto della richiesta di autorizzazione all’accesso domiciliare fatta dalla G.d.F. al Procuratore della Repubblica, da intendersi, più correttamente, quale errore di percezione del contenuto oggettivo di tale documento, in quanto cade sul demonstratum e non sul demonstrandum, in cui si sostanzia l’errore di valutazione delle prove, ed avrebbe dovuto essere denunziato quale error in procedendo, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (Cass. n. 37382 del 2022, in particolare pagg. 15 e 16).
7.2. Nella specie, peraltro, non può dubitarsi che i giudici di appello abbiano preso in esame il predetto documento, essendosi espressamente posti il quesito (pag. 4 della sentenza impugnata) «se la richiesta avanzata dalla Guardia di Finanza e l’autorizzazione all’accesso all’abitazione di un terzo estraneo alle verifiche fiscali disposta dal procuratore della Repubblica […] fossero adeguatamente motivate ed integrassero “gravi indizi” di violazioni esistenti», fornendo poi risposta negativa.
8. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la medesima questione posta con il precedente mezzo di cassazione, ovvero l’errore valutativo commesso dalla CTR per avere aveva assimilato «ad una “delazione anonima” un “esposto dettagliato” che la Guardia di Finanza [aveva] ricevuto “da una ex dipendente delle aziende in trattazione”», ma sotto il profilo dell’error in iudicando, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, 33 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 2727 cod. civ.
9. Anche tale motivo è inammissibile in quanto si risolve nella contestazione della valutazione di quel documento operata dai giudici di appello, i quali, equivocando sul contenuto dello stesso, hanno ritenuto illegittima l’autorizzazione all’accesso domiciliare per insussistenza dei gravi indizi richiesti dall’art. 52 citato. Non si verte, quindi, nell’ipotesi di erronea applicazione delle disposizioni censurate, ma di «errore di percezione […] caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova», che, avendo investito una circostanza che aveva formato oggetto di discussione tra le parti, andava censurata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 115 del medesimo codice (Cass. n. 37382 del 2022, Rv. 666679 – 01). Né può ritenersi che nella specie ricorra un vizio c.d. di sussunzione, riconducibile al paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in quanto, in tale ipotesi, l’idoneità o meno del fatto accertato ad integrare la fattispecie astratta di riferimento presuppone l’incontrovertibilità di quel fatto, nella specie, invece, esclusa.
10. In estrema sintesi, il ricorso va complessivamente rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della società controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge, da distrarsi in favore del difensore antistatario.
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