CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 9515 depositata il 6 aprile 2023
Tributi – Avviso di accertamento – IRPEF e IVA – Operazioni imponibili non dichiarate – Accesso della Guardia di Finanza presso lo studio del professionista incaricato della tenuta delle scritture contabili del contribuente – Presenza di un delegato – Rettifica del reddito – Documentazione extracontabile e documentazione in nero – Esclusione dall’IRAP dell’attività di piccolo imprenditore se attività non autonomamente organizzata – Accoglimento
Rilevato che
1. (…) esercente l’attività di riparazione di attrezzature di refrigerazione, ha impugnato l’avviso d’accertamento, relativo all’anno d’imposta 2007, con il quale l’Agenzia delle entrate aveva rettificato, ai fini Irpef ed Iva, il suo reddito imponibile ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. c) e d), del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, in relazione ad operazioni imponibili non dichiarate.
L’adita Commissione tributaria provinciale di Bari ha accolto il ricorso.
La Commissione tributaria regionale della Puglia ha rigettato l’appello dell’Agenzia.
Contro tale decisione ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate, con tre motivi.
Si è costituita con controricorso la contribuente.
Considerato che
1. Con il primo motivo [« Violazione art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 33 del d.P.R. n. 600 del 1972 (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.)»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata perché ha considerato illegittimo l’accesso della Guardia di Finanza presso lo studio del professionista incaricato della tenuta delle scritture contabili del contribuente, con l’acquisizione della documentazione contabile messa a disposizione da una collaboratrice del commercialista, il quale si trovava fuori sede.
Il motivo è fondato e va accolto.
Infatti, la peculiare disciplina, vigente ratione temporis, degli artt. 52, primo comma, ultimo periodo, del d.P.R. n. 633 del 1972 (« In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti e professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato.»), dettata in materia di Iva ed applicabile, per espresso rinvio ad essa da parte dell’art. 33, primo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 [ e non del 1972, come per mero errore materiale indicato nella rubrica del motivo], trova la sua ratio nella circostanza che il professionista è in genere custode di tutta una serie di documenti, notizie ed informazioni confidenziali che riguardano la sfera personale dei suoi assistiti e rispetto alle quali si impongono esigenze di riservatezza che, ricorrendone i presupposti normativi, possono assumere anche la rilevanza del segreto professionale. Le disposizioni in esame realizzano, pertanto, in ambito tributario, un contemperamento tra le esigenze di tutela della riservatezza non del professionista, ma dei clienti di quest’ultimo, estranei alla verifica fiscale, e la necessità dell’indagine dell’Amministrazione finanziaria nei confronti del professionista-contribuente. Nella sostanza, quindi, le norme in questione si preoccupano di tutelare la sfera di riservatezza dei clienti del professionista quando quest’ultimo sia direttamente oggetto delle indagini tributarie, rispetto alle quali i suoi assistiti siano meramente terzi, le cui esigenze di protezione sono limitate all’occasionale rischio di diffusione di notizie attinenti la loro sfera personale. Tale situazione è oggettivamente diversa da quella sub iudice, nella quale il commercialista non era attinto personalmente dalla verifica fiscale e l’accesso della Guardia di Finanza presso il suo studio era finalizzato solo ad acquisire la documentazione contabile del suo cliente, sottoposto a controllo fiscale, della quale egli era depositario. Quest’ultimo caso, infatti, è disciplinato dal decimo comma dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, secondo il quale « Se il contribuente dichiara che le scritture contabili o alcune di esse si trovano presso altri soggetti deve esibire una attestazione dei soggetti stessi recante la specificazione delle scritture in loro possesso. Se l’attestazione non è esibita e se il soggetto che l’ha rilasciata si oppone all’accesso o non esibisce in tutto o in parte le scritture si applicano le disposizioni del quinto comma.».
In disparte la specifica previsione relativa alla necessità dell’attestazione del depositario delle scritture contabili, la norma evidenzia come la fattispecie de qua sia ricondotta dal legislatore alla disciplina generale degli accessi, ispezioni e verifiche nei locali del contribuente, alla quale, infatti, questa Corte ha già fatto riferimento a proposito dell’applicabilità e della decorrenza del termine di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, nel caso in cui l’accesso avvenga al di fuori della sede aziendale presso persona diversa dal contribuente, detentrice delle scritture contabili e sua mandataria, ponendosi in questa ipotesi a carico del contribuente un onere di collaborazione con l’Ufficio verificatore (Cass. 16/11/2021, n. 34586), con conseguente decorrenza da tale accesso del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento (Cass. 02/12/2021, n. 38045).
Pertanto, può formularsi il seguente principio di diritto: « In tema di accessi, ispezioni e verifiche, ai fini degli accertamenti sia in materia di Iva che di imposte dirette, gli artt. 52, co. 1, ult. per., d.P.R. n. 633/1972 e 33, co. 1, d.P.R. n. 600/1973, secondo cui in ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti e professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato, disciplinano la fattispecie in cui il professionista sia lo stesso contribuente oggetto delle indagini tributarie, ma non anche quelle in cui egli sia il depositario delle scritture contabili di un diverso soggetto contribuente sottoposto a controllo fiscale.».
La sentenza impugnata, che non si è attenuta a tali principi, va quindi cassata.
2. Con il secondo motivo [« Violazione dell’ art. 39, comma I, lett. c) e d) del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.)»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata perché ha considerato illegittimo l’accertamento «induttivo», « sia pur in presenza di tutti gli elementi sufficienti per un accertamento analitico», «a seguito di semplice riscontro delle fatture di acquisto» con il reale contenuto del magazzino.
Il motivo è ammissibile, giacché non censura l’accertamento in fatto e la valutazione di merito effettuata dalla CTR, ma contesta, in termini di violazione di legge, il criterio con la quale essa è stata condotta. In particolare, come rileva la ricorrente (e come è premesso in fatto dalla stessa sentenza impugnata nella parte relativa all’antefatto sostanziale e processuale), la verifica e l’accertamento si fondano anche sul rinvenimento di documentazione extracontabile «con incerta quantificazione di magazzino». Ebbene, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 39, primo comma, lett. c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta (cfr. ex plurimis Cass. 24/09/2014, n. 20094, in tema documentazione extracontabile di altro contribuente; Cass. 27/02/2015, n. 4080, a proposito del valore presuntivo della “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dello stesso imprenditore, nella specie relativi al magazzino; Cass. 11/07/2016, n. 14150; Cass. 23/05/2018, n. 12680). Alle medesime conclusioni questa Corte è pervenuta in materia di Iva (ex plurimis Cass. 24/08/2018, n. 21138; Cass. 08/09/2006, n. 19329; Cass. 01/02/2006, n. 2217).
La CTR, pur dando atto dell’esistenza di documentazione extracontabile, non ne ha considerato in diritto la rilevanza quale presupposto che avrebbe potuto legittimare l’accertamento praticato che, come pure denuncia la ricorrente, non era comunque induttivo puro, come erroneamente rilevato dalla CTR, ma analitico-induttivo, muovendo da una relativa inattendibilità della documentazione contabile, del resto ammessa (quanto all’impossibilità di evidenziare la rispondenza tra le giacenze di magazzino ed i documenti di acquisto, dallo stesso contribuente (come risulta dalle dichiarazioni di cui al p.v.c. localizzate e riprodotte nel ricorso, nel corpo del motivo).
Il motivo è quindi fondato e la sentenza impugnata va cassata.
3. Con il terzo motivo [« Violazione dell’ art. 2 del d.lgs. 15 novembre 1977 n. 446 (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.)»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata perché ha escluso la fondatezza del rilievo in materia di Irap «trattandosi di pensionato che svolgeva la propria attività da solo e senza alucna organizzazione materiale».
Rileva la ricorrete che l’età del contribuente non è determinante, rilevando piuttosto che egli svolgeva attività d’impresa.
Il motivo è infondato.
Infatti, secondo questa Corte, in tema di Irap, l’esercizio dell’attività di piccolo imprenditore è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:
a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’ id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass. 13/10/2010, n. 21124, con riferimento all’artigiano; Cass. 13/10/2010, n. 21122, con riferimento al coltivatore diretto; Cass. 13/10/2010, n. 21123, con riferimento al tassista).
Fermo restando che il requisito dell’autonoma organizzazione deve essere accertato in concreto per i piccoli imprenditori (Cass. 19/07/2018, n. 19329), nel caso di specie la CTR, sia pur con una motivazione sintetica, ha dato di aver effettuato la relativa valutazione di merito, con riferimento sia all’assenza di personale dipendente che di una dotazione materiale a supporto dell’imprenditore.
Essendo pertanto corretti i parametri giuridici con i quali la fattispecie concreta è stata accertata, la valutazione in fatto espressa dalla sentenza impugnata non può essere sindacata in questa sede di legittimità.
4. In conclusione, accolti il primo ed il secondo motivo, e rigettato il terzo, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio al giudice d’appello per gli accertamenti in fatto, da condurre in base ai principi sopra esposti.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, rigetta il terzo e cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.