Corte di Cassazione, ordinanza n. 763 depositata il 9 gennaio 2024
inutilizzabilità delle prove da fonte anonima
Rilevato
che l’AGENZIA DELLE ENTRATE notificò a C.A., nella qualità di titolare della ditta individuale HOTEL C.S., un avviso di accertamento con cui l’Ufficio ha provveduto a riprese per I.R.P.E.F., I.R.A.P. ed I.V.A. relativamente all’anno di imposta 2007, conseguenti all’imputazione al contribuente di maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati;
che il contribuente impugnò detto provvedimento innanzi alla C.T.P. di Chieti che, con sentenza n. 512/2014, accolse il ricorso;
che l’AGENZIA DELLE ENTRATE propose appello innanzi alla C.T.R. della Abruzzo, sez. st. di Pescara, la quale, con sentenza n. 567, depositata il 14/06/2017 accolse il gravame osservando – per quanto in questa sede ancora rileva – come, il rinvenimento di contabilità in nero legittimasse l’accertamento analitico induttivo nei confronti del contribuente fondato sui dati da quella emergenti, gravando il contribuente dell’onere della prova contraria, nella specie ritenuta non assolta, anche considerando che le attività di verifica si svolsero “in presenza del legale rappresentante della società che all’esito ha sottoscritto il processo verbale di verifica, dando altresì atto di non aver nulla da eccepire sull’operato dei militari operanti” (cfr. sentenza impugnata, p. 3, ult. cpv. della motivazione), con assorbimento di “ogni ulteriore motivo” (cfr. ivi, p. 4, penultimo cpv.);
che avverso tale decisione C.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della HOTEL C.S. S.R.L., società nella quale la ditta individuale è stata conferita, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.; si è costituita con controricorso l’AGENZIA DELLE ENTRATE;
Rilevata, in via del tutto preliminare, l’inammissibilità, per difetto di legittimazione attiva, del ricorso proposto dalla HOTEL C.S. S.R.L., non avendo questa partecipato ai giudizi di merito né, tantomeno, essendovi prova del conferimento, in suddetta società, della ditta individuale destinataria dell’atto impositivo impugnato e parte dei precedenti gradi di merito: ed infatti, il ricorrente per cassazione che, nel giudizio di merito, non abbia formalmente assunto la veste di parte, è tenuto, a pena di inammissibilità dell’impugnazione, a depositare in cancelleria, ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ. (anche oltre il termine previsto dall’art. 369 cod. proc. civ., purché il relativo elenco sia notificato alle altre parti), la documentazione diretta a provare la sua legittimazione, nonché ad indicare specificamente i documenti depositati nel contesto del ricorso, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., nel testo modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006, così da realizzare l’assoluta precisa delimitazione del thema decidendum (Cass., Sez. 6-1, 23.11.2016, n. 23880, Rv. 642794-01. Cfr. anche Cass., Sez. 2, 4.12.2018, n. 31313, Rv. 651601-01, a proposito dell’applicazione del principio in tema di scissione societaria)
che quanto precede non preclude, tuttavia, l’esame dei motivi di ricorso, essendovi piena coincidenza tra la ditta individuale e la persona fisica del tuo titolare, con conseguente legittimazione di quest’ultimo ad agire in giudizio per conto della prima, anche senza specificazione (non necessaria) di tale sua qualità (arg., ex multis, da Cass., Sez. 3, 19.9.2014, n. 19735, Rv. 632355-01);
Rilevato
che con il primo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) della “violazione dell’articolo 14 della Costituzione nonché degli articoli 33 del DPR n. 600 del 1973 e 52 del DPR 633 del 1972” (cfr. ricorso, p. 6), per avere la C.T.R. “indebitamente rigettato implicitamente il secondo motivo di ricorso che era stato accolto in primo grado e successivamente riproposto in sede di appello” (cfr. ivi) relativamente all’assunta illegittimità del provvedimento autorizzatorio del P.M., a monte, ed alla conseguente inutilizzabilità, a valle ed ai fini della ricostruzione del reddito, della documentazione recuperata presso l’abitazione di tale C.D. (cfr. ivi, p. 8);
che con il secondo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) la “violazione dell’articolo 111, comma 6, della Costituzione, dell’art. 36 d.lgs. n. 546/92 e dell’articolo 132, comma 2, n. 4 del Codice di Procedura Civile; nullità della sentenza per motivazione in parte inesistente e in parte apparente” (cfr. ricorso, p. 13), per avere la C.T.R. riformato la decisione di prime cure senza, tuttavia, motivare in relazione al “sostanzialmente…unico motivo” di appello e, cioè, “quello dell’utilizzabilità delle prove acquisite per effetto dell’accesso domiciliare” (cfr. ivi) presso l’abitazione di C.D.;
che le censure, suscettibili di trattazione congiunta, per identità delle questioni alle stesse sottese, sono fondate in relazione a quanto dedotto nel primo motivo;
che, muovendo dalla preliminare analisi del secondo mezzo di gravame, va evidenziato come la C.T.R., lungi dall’omettere di motivare avuto riguardo alla utilizzabilità delle prove acquisite per effetto dell’accesso domiciliare ha, al contrario, preso posizione – sia pure implicitamente (arg. da Cass., Sez. 3, 8.5.2023, n. 12131, Rv. 667614-01) – sul punto, dapprima riportando le difese dell’Ufficio (“la fonte anonima era stata solo innesto di una serie di verifiche e controlli che avevano evidenziato i gravi indizi di violazione della norma tributaria a carico del contribuente” – cfr. p. 2 della motivazione) e del contribuente (“i Giudici non potevano dare legittimità all’autorizzazione all’accesso presso le abitazioni dei contribuenti sulla scorta di fonti anonime – l’accesso non poteva essere il primo atto dopo una denuncia anonima ma occorreva un minimo di indagine e riscontro” cfr. ivi) al riguardo e, quindi, assumendo una decisione che, postulando come utilizzabile, in concreto, la contabilità in nero reperita a seguito degli accessi domiciliari in questione, necessariamente sottende, quale antecedente logico- giuridico, la risoluzione (come detto, implicita), a favore della tesi erariale, della questione “a monte”, concernente la legittimità di un’autorizzazione all’accesso domiciliare sulla base di una denunzia anonima;
che, tuttavia, siffatta decisione (correttamente censurata con il primo motivo in termini di dedotta violazione di legge e, quindi, di error in iudicando) si appalesa errata, essendo sufficiente richiamare il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte ed in base al quale il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, in tema di imposta sul valore aggiunto – reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973 – ha il potere-dovere (in ossequio al canone ermeneutico secondo cui va privilegiata l’interpretazione conforme ai precetti costituzionali, nella specie agli artt. 14 e 113 Cost.), oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione – sia pure concisa o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria: sicché, nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando conseguenzialmente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove (Cass., Sez. U, 21.11.2002, n. 16424, Rv. 558642-01. Cfr. anche, più recentemente, Cass., Sez. 5, 18.10.2021, n. 28651, non massimata, in motivazione, pp. 7, ult. cpv. e 8);
che consegue a quanto esposto l’assorbimento del terzo e del quarto motivo di ricorso;
Ritenuto, in conclusione che il primo motivo del ricorso proposto da C.A., in proprio, debba essere accolto, con rigetto del secondo ed assorbimento del terzo e del quarto, con la conseguente cassazione della decisione impugnata e rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sez. st. di Pescara, in diversa composizione, affinché riesamini la controversia e liquidi, altresì, le spese del presente giudizio di legittimità;
che, quanto alle spese di lite del presente giudizio di legittimità, relativamente al rapporto tra l’HOTEL C.S. S.R.L. e l’AGENZIA DELLE ENTRATE, le ragioni sottese alla declaratoria di illegittimità del ricorso principale inducono a ritenere sussistenti
gravi ed eccezionali ragioni per la loro integrale compensazione tra le dette parti;
P.Q.M.
La Corte:
a) dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla HOTEL C.S. S.R.L. e compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità nei rapporti tra questa e l’AGENZIA DELLE ENTRATE;
b) accoglie il ricorso proposto da C.A. in proprio, limitatamente al primo motivo, con rigetto del secondo e l’assorbimento del terzo e del quarto. Per l’effetto, cassa la decisione impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sez. st. di Pescara, in diversa composizione, cui demanda, altresì, la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
c) dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della HOTEL C.S. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.