
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 27474 del 30 dicembre 2016 affronta il tema della tardiva produzione di documenti nel giudizio tributario di primo grado con riferimento alle conseguenze processuali della tardività sulle fasi successive della controversia.
La vicenda ha riguardato un contribuente a cui veniva notificata una cartella di pagamento per il recupero dell’ICI. Il contribuente avverso la cartella proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria ed in particolare contestava il mancato deposito della documentazione al fine di dimostrare la ritualità della notificazione degli avvisi di accertamento prodromici alla cartella di pagamento oggetto del contendere. Il Comune depositava tale documentazione oltre i termini stabiliti dall’art. 32 del D.Lgs. 546/1992. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva tale motivazione annullando la cartella di pagamento. La parte soccombente impugnava la sentenza innanzi alla Commissione Tributaria Regionale che escludeva la fondatezza della eccezione di decadenza del Comune, costituitosi nel giudizio di primo grado all’udienza di discussione, dalla facoltà di depositare documentazione al fine di dimostrare la ritualità della notificazione degli avvisi di accertamento prodromici alla cartella di pagamento oggetto del contendere, in considerazione della mancata produzione dei documenti nei venti giorni utili prima dell’udienza di primo grado.
Il ricorrente, impugna la decisione della CTR in Cassazione, nel ricorso chiede che la Corte dica che ove intervenga la produzione documentale oltre il termine perentorio di cui all’art. 32 del D.Lgs. n. 546/1992, ciò comporti o meno la nullità della successiva attività processuale posta in essere dalla parte che a tale tardività ha dato luogo.
Per gli Ermellini, che respinge tale prospettazione, va riconosciuto alla parte resistente in appello il diritto di negare i fatti costitutivi della pretesa attrice, di contestare l’applicabilità delle norme di diritto invocate, nonché di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
Per i giudici di legittimità, infatti, in appello, trova applicazione il dato normativo testuale dell’art. 58 del D.Lgs. n. 546 del 1992 – in ordine alla specialità del rito tributario, che non consente un automatico rinvio formale all’art. 345 c.p.c. ed alle condizioni ivi previste di ammissibilità di nuove prove documentali in grado di appello (Cass. n. 6734/2015; n. 20109/2012; n. 18907/2011; n. 1915/2007).
Il su richiamato articolo 58 al comma 2 espressamente prevede e consente la produzione di nuovi documenti in appello, con la conseguenza che, nel processo tributario, mentre non sono ammesse prove ulteriori rispetto a quelle già acquisite nel giudizio di primo grado, salvo che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio, i documenti possono essere liberamente prodotti anche in sede di gravame, ancorché preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cass. n. 22776/2015; n. 3661/2015), a nulla rilevando l’eventuale irritualità della loro produzione in primo grado (Cass. n. 22776/2015; n. 23616/2011).
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