La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 5002 depositata il 26 febbraio 2024, intervenendo in tema di licenziamento per giusta causa, ha statuito che non rileva che il destinatario del provvedimento di espulsione disconosca il dossier realizzato su di lui dall’investigatore privato, poiché è soltanto una scrittura privata che proviene da terzi; diversamente risulta decisiva la deposizione dell’investigatore privato, incaricato dal datore di lavoro, con cui conferma sia la paternità che il contenuto della relazione.
La vicenda ha riguardato un dipendente con mansioni di operaio addetto allo scarico dei bagagli, inquadrato nel livello 8 del ccnl personale di terra del trasporto aereo Assaeroporti, il quale veniva licenziato per giusta causa per aver tenuto, durante l’assenza per malattia, condotte incompatibili con lo stato di salute e comunque pregiudizievoli per la pronta guarigione. Il datore di lavoro aveva incaricato un investigatore privato, il quale aveva ripreso il dipendente, durante l’assenza per malattia, mentre faceva l’istruttore di kick boxing in una palestra che l’operaio pubblicizzava con il proprio numero di cellulare. Avverso tale provvedimento il dipendente ricorre al Tribunale, nella veste di giudice del lavoro. I giudici di prime cure all’esito della fase c.d. sommaria, rigettavano l’impugnazione. Il lavoratore propone opposizione, che veniva accolta, all’esito dell’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, con conseguente annullamento del licenziamento e ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, nonché con le ulteriori conseguenze. Il datore di lavoro impugnava la suddetta decisione in appello. La Corte territoriale accoglieva il reclamo della società e, in riforma della sentenza impugnata, rigettava l’opposizione e quindi la domanda del lavoratore. I giudici di appello affermavano, in particolare, che “… in via di principio non vi è un divieto assoluto di svolgere attività durante l’assenza per malattia, anche in favore di terzi, purché essa non sia contraria ai doveri generali di correttezza e di buona fede, nonché agli obblighi di diligenza e fedeltà; (…) tale violazione sussiste quando lo svolgimento di altra attività durante la malattia – valutato in relazione alla natura e alle caratteristiche della malattia, nonché alle mansioni svolte nell’ambito del rapporto di lavoro – sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione ed il pronto rientro al lavoro; (…) tale valutazione va compiuta ex ante, ossia con riferimento al momento in cui quell’attività viene svolta, sicché ai fini di questa potenzialità, la tempestiva ripresa del lavoro in concreto resta irrilevante (Cass. n. 27656/2018); …” Il lavoratore impugna la sentenza di appello con ricorso in cassazione fondato su quattro motivi.
I giudici di legittimità dichiarano inammissibile il ricorso del lavoratore.
Per gli Ermellini i giudici di merito si sono attenuti ai principi di diritto statuiti dalla Suprema Corte. Infatti il dipendente, come dimostrato dai certificati medici, che le sue condizioni di salute andavano peggiorando e nonostante ciò il dipendente continuava a mantenere il suo ordinario stile di vita e non rinunciava a tenere le lezioni di kick boxing. Inoltre, correttamente, i giudici di merito hanno ritenuto faziose le testimonianze parenti, amici e colleghi, considerando fondata la testimonianza dell’investigatore.