La Corte di Cassazione sez. civile con la sentenza n. 17577 del 18 luglio 2013 interviene in tema di locazione di immobili ad uso abitativo affermando che affinché il locatore possa legittimamente denegare il rinnovo del contratto alla prima scadenza, secondo quanto previsto dall’art. 3 della legge 9 dicembre 1998 n. 431, non è necessario che egli fornisca la prova dell’effettiva necessità di destinare l’immobile ad abitazione propria o di un proprio familiare, ma è sufficiente una semplice manifestazione di volontà in tal senso, fermo restando il diritto del conduttore al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato o, in alternativa, al risarcimento di cui al comma 3 del citato art. 3, nell’eventualità in cui il locatore non abbia adibito l’immobile all’uso dichiarato nell’atto di diniego del rinnovo nel termine di dodici mesi della data in cui ne abbia riacquistato la disponibilità.
La vicenda ha avuto origine con la notifica dell’atto con cui L.I..A. intimava licenza e sfratto per finita locazione relativamente all’immobile di sua proprietà sito in (omissis) e conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Civitavecchia, sez. distaccata di Bracciano il conduttore V..M. per ottenere il rilascio dell’immobile, esponendo di avere preventivamente comunicato con lettera A.R. del 15.05.2003 l’intenzione di non rinnovare il contratto alla scadenza del 30.11.2003, dovendo destinare l’immobile ad esigenze abitative del figlio; sull’opposizione dell’intimato, era emessa ordinanza provvisoria di rilascio e disposto il mutamento del rito in quello speciale locativo ex artt. 426 e 667 cod. proc. civ., con assegnazione di termine per integrazione degli atti difensivi; quindi, all’esito dell’istruttoria, era pronunciata dal Tribunale sentenza in data 11.01.2005 di risoluzione del contratto di locazione con condanna del resistente V..M. al pagamento delle spese; la decisione, gravata da impugnazione da parte del M. , era confermata dalla Corte di appello di Roma, la quale con sentenza in data 12.06.2007, rigettava l’appello, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.V. , svolgendo tre motivi.
Gli Ermellini esaminato il ricorso depositato hanno ritenuto lo stesso non meritevole di accoglimento e le censure ritenute infondate.
I giudici di legittimita hanno evidenziato e confermato l’orientamento della Corte in riferimento al principio che “il giudice di appello, nel confermare la sentenza di prime grado, può, senza violare il principio del contraddittorio e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, anche d’ufficio, sostituirne la motivazione che ritenga scorretta, purché la diversa motivazione sia radicata nelle risultanze acquisite al processo e sia contenuta entro i limiti del devolutum, quali risultanti dall’atto di appello (Cass. 22 gennaio 2002 n. 696; Cass. n. 4945 del 1987). Infatti la sentenza d’appello, anche se confermativa, si sostituisce totalmente alla sentenza di primo grado, onde il giudice d’appello ben può in dispositivo confermare la decisione impugnata e in motivazione enunciare, a sostegno di tale statuizione, ragioni ed argomentazioni diverse da quelle addotte dal giudice di primo grado, senza che sia per questo configurabile una contraddittorietà tra il dispositivo e la motivazione della sentenza d’appello, né incorrere nella violazione dei principi di cui agli artt.112, 342 e 345 cod. proc. civ. (cfr. Cass. 10 ottobre 2003, n. 15185).”
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