La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5115 depositata il 27 febbraio 2024, intervenendo in tema di sanzioni tributarie, ed in particolare la compatibilità tra recidiva e cumulo giuridico, precisando che “… la recidiva si fonda sulla sussistenza di un precedente accertamento definitivo la preclusione costituita dall’inserimento nella vicenda della continuazione viene meno: il soggetto può ben aver commesso più violazioni della stessa indole ed è in tal caso possibile tener conto contemporaneamente delle valutazioni operate dal legislatore corrispondenti alla continuazione e alla recidiva. Il compimento di un’altra violazione incarnante il superamento di quel momento di valore rappresentato dall’accertamento giudiziale della violazione (o dalla definitività della stessa per mancata impugnazione) potrà coniugarsi col disvalore proprio della perpetrazione di una ripetuta condotta di violazioni della stessa indole. Consegue che, per giustificare la recidiva, nel sistema delineato dal del D. Lgs. n. 472 del 1992, art. 7, comma 3, e art. 12, comma 5, è necessario, quanto alla azione amministrativa e dunque al rilevo fiscale, che la violazione sia stata definitivamente accertata dal Giudice Tributario, ovvero sia divenuta definitiva per la mancata impugnazione della contestazione della violazione …” (così Cass., V, 11833/2020).
I giudici di legittimità hanno evidenziato che “… il d. lgs. n. 472 del 1997, all’art. 7, comma 3, e art. 12, prevede la compatibilità tra la “recidiva” in materia tributaria e la continuazione. In particolare, tanto l’art. 7, comma 3, che l’art. 12, comma 5, fanno espressamente riferimento a “violazioni della stessa indole” reiterate nel tempo. L’astratta compatibilità tra i due istituti impone di valutare il fondamento della recidiva e della continuazione nel sistema tributario (tanto più alla luce della modifica, in vigore dal 1.1.2016 sebbene non applicabile a questo giudizio ratione temporis, del D. Lgs. n. 472 del 1997, art. 7m comma 3, operata dal D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha previsto l’obbligatorietà dell’applicazione della recidiva). La questione della compatibilità e la contestuale coniugabilità di diversi valori e riferimenti non è dato pretorio, bensì è voluta dalla legge, la quale dunque ha, per criterio interpretativo dogmatico, ben considerato le differenze di struttura ontologica dei due istituti, ovvero la diversa considerazione dei fatti che essi suppongono. Il cumulo giuridico rappresenta, infatti, un beneficio che discende dalla sostanziale unitarietà della trasgressione; la recidiva, al contrario, punisce con più rigore chi si ostini a commettere consecutivamente la stessa violazione. A dispetto dell’espressione “stessa indole”, usata con disinvoltura dal legislatore all’art. 7 ed all’art. 12, le prospettive dei due istituti sono completamente diverse e non possono essere sovrapposte in maniera acritica. Ciò trova, del resto, autorevole conferma nella giurisprudenza della Cassazione penale, in parte già richiamata (Cass.9148/1996; Cass.49658/2014; Cass.21043 /2018), secondo cui il trattamento sanzionatorio più mite è giustificato dal minor disvalore sociale associato al reato continuato. Non appare dirimente, tuttavia, il riferimento al sistema della recidiva penale, il quale presuppone, in coerenza con la presunzione di non colpevolezza, un accertamento giudiziale definitivo della responsabilità. Invece l’azione amministrativa per sua natura si fonda sulla presunzione di legittimità del suo atto e su questa la autoritarietà e la esecutività immediata del suo agire organizzativo. In altri termini, le due recidive, al di là delle assonanze logiche dovute all’operare in entrambe del rilievo del precedente, sono predisposte a tutela di diverso valore e di -distinti riferimenti costituzionali. Essendo la esecutività dell’atto amministrativo sussistente fino a che esso non venga dichiarato invalido o revocato, e dunque i suoi effetti permanenti nel mondo del diritto fino a quel momento, ed essendo invece la condanna del giudice penale pienamente efficace nei suoi riflessi sostanziali solo a giudicato intervenuto. Notevoli difficoltà derivano all’interprete, come si è visto dall’utilizzo dell’espressione “stessa indole” sia in tema di recidiva, sia in tema di violazione ultrannuale. L’art. 7, comma 3, infatti, presenta un’importante differenza rispetto alle norme previgenti sulla recidiva, rispettivamente contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 54, comma 2, e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 49, comma 2: mentre queste ultime configuravano la recidiva nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, fosse incorso in un’altra violazione della stessa indole, per la quale fosse stata inflitta la pena pecuniaria, la nuova norma sembra prescindere dall’intervento di una contestazione o irrogazione tra la prima violazione e le successive. Ciò assume rilievo ai fini della compatibilità tra recidiva e cumulo giuridico delle sanzioni: se infatti la recidiva non necessitasse di una precedente irrogazione definitiva di sanzioni, essa non sarebbe mai applicabile unitamente alla continuazione la quale, viceversa, è interrotta dalla punizione delle violazioni pregresse. Se, pertanto, si individuasse il fondamento della recidiva nella reiterazione di una violazione, contestata ma non definitivamente accertata, la compatibilità tra i due istituti non potrebbe essere ritenuta. Lo escluderebbe l’unificazione dovuta al vincolo della continuazione cui sono soggette violazioni della stessa indole commesse in periodi di imposta diversi. L’incompatibilità tra tali istituti sarebbe determinata dalle loro differenti strutture logiche. …”
Pertanto per il Supremo consesso proprio sulla circostanza che la recidiva trova fondamento su un precedente definitivamente accertato fa veni meno la preclusione con il cumulo giuridico.
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