NORMA DI COMPORTAMENTO 01 giugno 2017, n. 198
Attribuzione ai soci del maggior reddito accertato in capo a società di capitali con ristretta compagine sociale
MASSIMA
La presunzione secondo la quale nel caso di ristretta compagine sociale i maggiori redditi imponibili definitivamente accertati in capo ad una società di capitali si presumono attribuiti pro quota ai suoi soci può trovare applicazione solo qualora il maggior reddito imponibile accertato in capo alla società implichi una comprovata esistenza di corrispondenti disponibilità finanziarie occulte.
Nell’ordinamento vigente, mentre il reddito delle società di persone (NOTA 1) è attribuito per trasparenza ai loro soci in capo ai quali è assoggettato ad IRPEF, il reddito delle società di capitali è assoggettato ad IRES in via autonoma e definitiva solo in capo alle stesse, mentre è soggetto ad ulteriore imposizione IRPEF in capo ai soci il solo utile effettivamente distribuito agli stessi (NOTA 2).
In assenza di una sua distribuzione (palese o occulta) non può quindi mai esservi imposizione in capo ai soci dell’utile realizzato da una società di capitali.
Secondo un ripetuto orientamento della Corte di Cassazione (dal quale peraltro si sono discostati taluni giudici di merito (NOTA 3) ) “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria” (NOTA 4).
Trattasi di una presunzione semplice ex art. 2729 c.c., di fonte giurisprudenziale, che, trovando fondamento nella ristretta base azionaria e quindi nella “complicità che normalmente lega un gruppo ristretto di soci” (NOTA 5), viene ritenuta dalla Suprema Corte ragionevole e sufficientemente grave da fondare di per se, ex art. 39 del DPR 600/73, l’accertamento in capo al socio del maggior reddito della società che si presume da lui percepito in proporzione alla sua partecipazione, salva “la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti” (NOTA 6) ovvero che sono stati percepiti da altri.
I pronunciamenti della Corte di Cassazione sopra richiamati trovano tutti fondamento nella presunzione di “distribuzione” ai soci dei maggiori redditi accertati in capo alla società, per cui l’unica prova contraria che viene offerta al contribuente è quella di dimostrare di non avere finanziariamente “percepito” tali redditi.
Ne consegue quanto segue.
Tale presunzione, in ogni caso, può trovare applicazione solo e nei limiti in cui il maggior reddito accertato in capo alla società discenda da fattispecie che implicano una comprovata formazione di risorse finanziarie occulte, quindi da ricavi non dichiarati o da costi fittiziamente sostenuti (oggettivamente inesistenti).
Viceversa, la stessa non può trovare applicazione nei casi in cui il maggior reddito imponibile accertato nei confronti della società non sia chiaramente rappresentativo di una disponibilità finanziaria occulta che possa essere stata distribuita ai soci; in tali casi, infatti, manca del tutto il presupposto di imponibilità dei dividendi in capo ai soci ex art. 47 TUIR, rappresentato dalla percezione degli stessi.
Esempi di casi in cui la presunzione in commento non può trovare applicazione sono gli accertamenti di maggior reddito imponibile che trovano origine in
– costi effettivamente sostenuti ma ritenuti in tutto o in parte indeducibili,
– accantonamenti o ammortamenti recuperati a tassazione,
– rettifiche dei criteri di valutazione adottati dalla società,
– “spostamenti” di proventi od oneri da un esercizio ad un altro in violazione del principio di competenza,
– applicazione delle regole in tema di transfer pricing,
– applicazione delle regole in tema di acquisti da società residenti in paesi a fiscalità privilegiata,
– applicazione delle regole in materia di Controlled Foreign Companies (CFC Rules),
– applicazione di strumenti, indirettamente sanzionatori o di tipo “statistico”, quali la disciplina delle cosiddette società di comodo (NOTA 7) e gli studi di settore (NOTA 8).
Si osserva, in particolare, che se in tali casi, nei quali in capo alla società non si è formata alcuna disponibilità finanziaria occulta e quindi alcunché poteva essere distribuito ai soci, fosse ritenuta applicabile la presunzione in oggetto, per il socio sarebbe a priori impossibile fornire quell’unica prova contraria ammessa dalla Suprema Corte che è rappresentata dalla dimostrazione di non avere percepito tali maggiori redditi.
Si osserva, infine, che in ogni caso la presunzione di distribuzione ai soci del maggior reddito accertato in capo a società di capitali non può portare ad una illegittima duplicazione di imposizione (in senso economico) in capo a soggetti diversi dello stesso reddito lordo. Il maggior reddito accertato in capo alla società, infatti, non può essere considerato per intero distribuito ai soci e nuovamente assoggettato a imposizione in capo agli stessi nel suo intero ammontare, in quanto già gravato da imposizione in capo alla società per effetto dell’accertamento. Da un punto di vista economico, infatti, il maggior reddito che può essere considerato definitivamente distribuito ai soci è pari solo al maggior reddito accertato in capo alla società al netto delle imposte che su tale reddito, per effetto dell’accertamento, la stessa è chiamata a corrispondere.
—
Note:
(1) Oltre che delle società a responsabilità limitata che hanno optato per il regime della trasparenza.
(2) Ai sensi dell’art. 47 TUIR.
(3) Cfr. ex multis: Comm. Trib. Reg. Ancona, n. 228 del 9 luglio 2010; Comm. Trib. Prov. Parma, n. 97/6/13 del 6 dicembre 2013; Comm. Trib. Reg. Puglia, n. 19/5/12 del 17 aprile 2012.
(4) Cass. Ordinanza n. 12576 del 19 luglio 2012. Cfr. ex multis: Cass. n. 20806 del 11 settembre 2013; Cass. n. 441 del 10 gennaio 2013; Cass. n. 17358 del 24 luglio 2009; Cass. n. 18640 dell’8 luglio 2008; Cass. n. 21415 dell’11 ottobre 2007; Cass. n. 6197 del 16 marzo 2007; Cass. n. 16885 dell’11 novembre 2003; Cass. n. 3990 del 3 aprile 2000.
(5) Cass. n. 20078 del 17 ottobre 2005.
(6) Cass. n. 20806 dell’11 settembre 2013.
(7) Come indicato nella CM n. 5 del 2 febbraio del 2007, la disciplina fiscale delle società non operative è stata introdotta allo scopo di “disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario come schermo per nascondere l’effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle più favorevoli norme dettate per le società” penalizzando “quelle società che, al di là dell’oggetto sociale dichiarato, sono state costituite per gestire il patrimonio nell’interesse dei soci, anziché esercitare un’effettiva attività d’impresa”, conseguendo così un indebito risparmio d’imposta.
(8) Come precisato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 26635 del 18 dicembre 2009, gli studi di settore sono “una elaborazione statistica, il cui frutto è una elaborazione probabilistica, che, per quanto seriamente approssimata, può solo costituire presunzione semplice”.
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