La Corte di Cassazione con la sentenza n. 25809 del 12 giugno 2013 intervenendo in materia di evasione fiscale afferma che il reato tributario colpisce sia il legale rappresentante sia l’ institore dall’altro quando quest’ultimo non ha impedito la commissione dell’illecito.
Nella fattispecie i vertici della società accusati di aver “occultato i libri contabili” e di aver omesso le dichiarazioni dei redditi. La Corte d’appello di Roma applicava ai due imputati (il prestanome e l’amministratore di fatto) le pene accessorie, in luogo di quella detentiva irrogata dal Tribunale, per il reato di cui all’articolo 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000, per avere il soggetto nella qualità di legale rappresentante della società Alfa e dell’amministratore di fatto in quanto institore occultato i libri contabili. Da qui il ricorso per cassazione.
Gli Ermellini, confermando l’orientamento della Suprema Corte, evidenziano che “il legale rappresentante si deve considerare mancante, non solo quando non vi è la nomina, ma anche in presenza di un prestanome che non ha alcun potere o ingerenza nella gestione della società”, e aggiungono che tale principio “si riscontra anche in materia di sanzioni amministrative tributarie”, essendo parificato “il legale rappresentante all’amministratore di fatto, sancendo formalmente la diretta responsabilità per le sanzioni anche degli amministratori di fatto”.
Precisamente la Suprema Corte ha ritenuto adeguatamente motivata la sentenza dei giudici di appello, poiche conforme ai principi di diritto enunciati dalla sentenza n. 23425 del 2011, secondo la quale il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o dell’IVA è configurabile nei confronti dell’amministratore di diritto di una società e l’amministratore di fatto, quale mero prestanome, risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento, a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice. Tale principio si riscontra anche in materia di sanzioni amministrative tributarie. Dunque, a prescindere dal reato per il quale si è proceduto in concreto, per la Terza Sezione Penale non muta la sostanza delle motivazioni della sentenza citata; motivazioni con le quali si è, fra l’altro, chiarito che il rappresentante legale si deve considerare mancante, non solo quando non vi è la nomina, ma anche in presenza di un prestanome che non ha alcun potere o ingerenza nella gestione della società e, quindi, non è in condizione di presentare la dichiarazione perché non dispone dei documenti contabili detenuti dall’amministratore di fatto. In una situazione simile il soggetto qualificato (“l’intraneo”) è infatti colui che, sia pure di fatto, ha l’amministrazione della società, mentre al prestanome il fatto potrebbe essere addebitato a titolo di concorso a norma dell’articolo 2392 cod. civ. e art. 40 cpv. a condizione che ricorra l’elemento psicologico del reato contestato.
Proporre un’ottica diversa, invece, significherebbe “addebitare al solo prestanome, per il semplice fatto di avere assunto formalmente la carica di amministratore, tutte le omissioni civilmente o penalmente imputabili a colui che di fatto ha gestito la società, mentre rimarrebbe esente da responsabilità civile o penale per i fatti omissivi proprio colui il quale ha il potere ed il dovere di compiere l’azione omessa”.
Ciò si attaglia perfettamente alla vicenda all’esame dei giudici: unica differenza è che “la carica formalmente assunta dal prestanome” è quella di “institore”.
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