La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4619 depositata il 14 febbraio 2023, intervenendo in tema di operazioni inesistenti, ha riaffermato che “… qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto  incombente  istruttorio,  grava  sul  contribuente  la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto» (cfr. Cass., 31 gennaio 2022, 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 20 aprile 2018, n. 9851). …”

La vicenda aveva riguardato una s.r.l. italiana, successivamente fallita, a cui l’Agenzia delle Entrate notificava due avvisi di accertamento. La società contribuente impugnava i due atti impositivi. I giudici di prime cure accolsero il ricorso introduttivo, statuendo che le presunzioni, su cui l’Ufficio aveva fondato gli avvisi d’accertamento, erano infondate. Avverso tale decisione l’Amministrazione finanziaria propose appello. I giudici di appello rigettavano l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate. Avverso la decisione della CTR l’Agenzia proponeva ricorso fondato su tre motivi.

Gli Ermellini accolgono il ricorso evidenziando che “… ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce, ha affermato che incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione e che, una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, citata). …”

Il Supremo consesso richiama quanto precisato, sul tema della prova, nella sentenza n. 9851 del 2018 ricordando che “…

-) la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale: l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni, ovvero il soggetto formale non è quello reale; il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione Iva, non è, dunque, necessaria la prova della partecipazione all’evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole;

-) la prova può ritenersi raggiunta se l’Amministrazione fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova «certa» e incontrovertibile di ogni operazione e dettaglio, ovvero l’Amministrazione può assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come prevede per l’Iva l’art. 54, secondo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 e, per le imposte dirette, l’art. 39, primo comma, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973 e mediante elementi indiziari;

-) è sufficiente che gli elementi forniti dall’Amministrazione si riferiscano anche solo ad alcune fatture o circostanze rilevanti per la qualificazione della società interposta come cartiera (quali ad es. la mancanza di sede, la mancanza di iscrizione, l’omesso versamento delle imposte) ovvero a singole indicazioni significativamente riferibili alla sfera di conoscenza o conoscibilità dell’imprenditore;

-) l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va dunque ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all’Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione;

-) raggiunta tale prova, è onere del contribuente dimostrare, oltre all’effettività del suo interlocutore, la propria buona fede, ossia, «di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto», non permettendo una diversa conclusione neppure gli accertamenti eventualmente effettuati ed attesa l’inesigibilità di ulteriori e più approfondite verifiche;

-) l’onere probatorio incombente sul destinatario può essere articolato su una pluralità di livelli e può investire sia l’asserito carattere di anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività conoscitiva preventiva eventualmente posta in essere da cui emergeva, in ordine all’effettività ed operatività dell’impresa interposta, un esito tranquillizzante, mentre non potevano essere esperibili, né tantomeno esigibili, accertamenti più incisivi;

-) è, invece, priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture, quanto sulle evidenze contabili dei pagamenti quanto, infine, sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio perché i prezzi di vendita erano conformi o superiori alla media di mercato, perché si tratta di circostanze, le prime, già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili), e, l’ultima, perché riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie tipica ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode. …”

Inoltre i giudici di piazza Cavour ricordano, sulla prova della effettività dell’operazione, il principio di diritto secondo cui “… Ai fini della prova dell’esistenza di un’operazione non è sufficiente produrre la relativa fattura in quanto l’emissione della fattura può prescindere dall’effettiva stipulazione della cessione; perciò il contribuente, a fronte della contestazione dell’Amministrazione circa l’inesistenza di un’ operazione, ha l’onere di dimostrare la effettività del contratto e non può limitari a dar prova dell’emissione della fattura che per la sua formazione unilaterale e la sua inerenza a un rapporto già formato tra le parti, ha natura di atto partecipativo e non di prova documentale». (cfr. Cass., 27 ottobre 2010, n. 21949). …”