La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 47900 depositata il 30 novembre 2023, intervenendo in tema di reato di bancarotta societaria (art. 223 l.f.), ha ribadito che “… in tema di bancarotta societaria (art. 223, comma secondo, n. 1 legge fall.), rilevano ai fini della responsabilità penale anche le condotte successive alla irreversibilità del dissesto, in quanto sia il richiamo alla rilevanza delle cause successive, espressamente dispiegata dall’art. 41 cod. pen. che disciplina il legame eziologico tra il comportamento illecito e l’evento, sia la circostanza per cui il fenomeno del dissesto non si esprime istantaneamente, ma con progressione e durata nel tempo (tanto da essere suscettibile di misurazione) assegnano influenza ad ogni condotta che incida, aggravandolo, sullo stato di dissesto già maturato (Sez. 5, n. 16259 del 04/03/2010, Chini, Rv. 247254 – 01).
Il delitto di bancarotta societaria sussiste anche quando la condotta illecita abbia concorso a determinare solo un aggravamento dell’evento costituito dal dissesto già in atto della società (Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, Geronzi, Rv. 263803; conf. Sez. 5, n. 29885 del 09/05/2017, Merlo, Rv. 270877). …”
La vicenda ha riguardato il presidente del Consiglio di Amministrazione di una società per azioni e dei due revisori, poi fallita, accusati del delitto di bancarotta impropria da reato societario. Il Tribunale in ordine ai due revisori statuisce che il falso nella relazione integra una autonoma fattispecie di reato “proprio” dei revisori, allora prevista dall’art. 2624 cod. civ., diversa e non concorrente con il falso in bilancio di amministratori e sindaci disciplinato nell’art. 2621 cod. civ., così da rendere manifesta la scelta legislativa di tenere distinte, anche ai fini della bancarotta societaria, le due fattispecie. Anche il presidente del CdA veniva riconosciuto del reato ascritogli. Avverso la decisione dei giudici di prime cure gli imputati proponevano appello. La Corte Territoriale confermava la sentenza impugnata. Gli imputati proponevano, singolarmente, ricorso in cassazione fondato su vari motivi.
Gli Ermellini, in riferimento al ricorso del presidente del CdA, annullano la sentenza impugnata con rinvio, in quanto l’errore di impostazione si traduce in vuoto motivazionale, dato che il giudice di merito ha del tutto pretermesso di esaminare il profilo soggettivo nelle sua struttura complessa.
I Giudici di legittimità, anche alla luce del comportamento contrario del presidente del CdA all’approvazione del bilancio con voci false, hanno precisato che “… oltre alla “volontà protesa al dissesto” […], deve sussistere anche l’atteggiamento psicologico richiesto dal reato societario, nella specie dall’art. 2621 cod. civ. che, nel testo vigente al momento del fatto, richiedeva: il dolo generico del falso, il dolo intenzionale dell’inganno rivolto a soci o al pubblico, il dolo specifico del fine di conseguire un ingiusto profitto.
La Corte di legittimità ha avuto modo di chiarire che nel reato di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio, l’elemento soggettivo presenta una struttura complessa comprendendo – oltre alla consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico – il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari (Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti, Rv. 268673 – 01).
E si è evidenziato che il pregiudizio interessato dal dolo del reato fallimentare «non sempre coincide con la volontà di danno supposto dalla norma penal/societaria, sicché non necessariamente la dimostrazione del dolo specifico del reato societario esaurisce l’onere probatorio sul momento soggettivo della bancarotta di cui all’art. 223, comma secondo, n. 1 legge fall.» (così in motivazione Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Baraldi). …”
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