La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 7475 depositata il 20 marzo 2024, intervenendo anche sulla questione se i documenti informatici costituiscono prova, ha statuito il seguente principio di diritto “… I dati che i pubblici ufficiali, in sede di ispezione o verifica, estraggono e rielaborano da un sistema informatico non sono destinati di per sé soli a prova privilegiata, facendo fede fino a querela di falso non il documento informatico, bensì il verbale redatto dai pubblici ufficiali nella parte in cui attesta che quei dati sono stati estratti da quel sistema e sono quelli ivi indicati, mentre i dati in sé sono oggetto di libera valutazione da parte del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente e ragionevolmente motivata, non risultando altresì pertinente il richiamo alle norme del d.lgs. n. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione digitale), che disciplinano i requisiti delle scritture private e degli atti pubblici formati con modalità informatiche …”
La vicenda ha riguardato una s.r.l. nei cui confronti veniva redatto un verbale INPS, a seguito di verifica, che contestava alla società l’omesso versamento di contributi sulle maggiori retribuzioni corrisposti ai propri dipendenti. I funzionari dell’INPS estraggono i dati dal sistema di controllo automatico delle presenze dei lavoratori in sede: le informazioni tratte dai server aziendali confluiscono nel classico verbale cartaceo che fa fede fino a querela di falso perché sottoscritto da pubblici ufficiali, mentre non sono destinati di per sé a prova privilegiata le informazioni tratte dai sistemi informatici. L’Agenzia delle Entrate provvedeva alla notifica dell’avviso di accertamento, seguito di P.V.C. redatto dalla Guardia di Finanza fondato su verbale di ispezione dell’INPS, per mancato versamento delle ritenute sui maggiori compensi erogati ai dipendenti. Avverso tale atto impositivo la società contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (attualmente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado), la quale rigettava in toto le doglianze della ricorrente. La società avverso la decisione di primo grado propose appello. I giudici di appello confermarono la sentenza impugnata. La contribuente proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi.
I giudici di legittimità lo rigettano.
Gli Ermellini confermano quanto precisato dai giudici di appello ritenendo che “… i dati estratti dal sistema di controllo automatico nell’ambito della ispezione sono confluiti in un verbale cartaceo e sottoscritto dagli operatori che, in quanto redatto da pubblici ufficiali, fa fede fino a querela di falso dei fatti da essi accertati.
(…) I dati, estratti e rielaborati da un sistema informatico, non sono destinati di per sé soli a prova privilegiata, facendo però fede fino a querela di falso non il documento informatico, ma il verbale redatto dai pubblici ufficiali, nella parte in cui attesta che quei dati sono stati estratti da quel sistema e sono quelli ivi indicati, e non assume pertanto alcun rilievo il disconoscimento operato ai sensi dell’art. 2712 cod. civ., e qui richiamato, peraltro inammissibilmente effettuato in via cumulativa nei confronti di tutta la documentazione formata e depositata dall’INPS (arg. da Sez. L -, Sentenza n. 5523 del 08/03/2018; Sez. 1, Ordinanza n. 19155 del 2019, in motivazione, specie sul disconoscimento; Sez. 2 -, Ordinanza n. 5141 del 21/02/2019). …”
Pertanto, per i giudici di piazza Cavour, i dati o documenti informatici raccolti non sono coperti da fede privilegiata, salvo che non siano contenuti in un verbale redatto da pubblici ufficiali (ispettore dell’INPS o del fisco) con cui attestano che le informazioni riportate sono state estratte dai computer dell’impresa in ordine ai fatti accertati dai verbalizzanti. Per cui il contribuente che voglia contestarne la veridicità deve procedere alla presentazione di querela di falso, quand’anche il contenuto e liberamente valutabile dai giudici tributari.