Ai sensi degli articoli 18 e 24 del D. Lgs. n. 546/1992 il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi dedotti col ricorso introduttivo.
Nel processo tributario, il divieto di ultrapetizione e quello di proporre in appello nuove eccezioni (non rilevabili d’ufficio) posto dall’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, riguarda eccezioni in senso tecnico e non le mere argomentazioni difensive, tendenti ad inficiare la sentenza sotto un profilo logico ulteriore rispetto a quello esposto in primo grado, atteso che le difese, le argomentazione e le prospettazioni con cui l’Amministrazione si difende dalle contestazioni già dedotte in giudizio non costituiscono, a loro volta, eccezioni in senso stretto (ex multis, Cass., 03/02/2021, n. 2413; Cass. ordinanza n. 28592 depositata il 5 ottobre 2022; ).
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità nella categoria dell’eccezione in senso stretto sono compresi tutti i vizi d’invalidità dell’atto impositivo per difetto di elementi formali essenziali, incompetenza o violazione di norme sul procedimento, mentre la sola contestazione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria si risolve in una mera difesa, estranea al divieto di cui al citato articolo 57 (cfr Cassazione, 19414/2015; Cass. sentenza n. 12266 del 17 maggio 2017).
il ricorrente – cosi come il resistente – può, ai sensi dell’art. 32, d.lgs. n. 546 del 1992 e nei modi e nei tempi ivi indicati, depositare documenti e memorie finalizzate a illustrare ed argomentare i motivi di ricorso, senza modificarne il thema decidendum (cfr. Cass. 19 ottobre 2012, n. 17950; Cass. ordinanza n. 24305 del 2018);
La preclusione sancita dal menzionato art. 24 va circoscritta alla deduzione di ulteriori vizi di illegittimità che inficerebbero l’atto impugnato, restando sempre possibile per il ricorrente (e per tutte le altre parti), sia pure nel rispetto dei limiti formali e temporali di cui all’art. 32, prospettare ulteriori argomentazione a sostegno del ricorso proposto e dei singoli motivi in cui questo è articolato (Cass. ordinanza n. 24305 del 2018)
Per cui risulta pacifico che è consentito, in appello, proporre nuove argomentazioni difensive (ma non nuove eccezioni in senso tecnico), tendenti ad inficiare la sentenza di primo grado sotto un profilo logico comunque connesso a quello esposto in primo grado.
Inoltre le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza della pretesa non costituiscono a loro volta eccezione in senso tecnico. Pertanto non violano il divieto di proporre nuove eccezioni in appello le argomentazioni con le quali si nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita, costituendo mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o – dove in concreto ne ricorrono i presupposti – l’applicazione del principio di non contestazione.
Con il termine di “eccezioni in senso stretto” vanno intese quelle che il giudice può esaminare solo su istanza di parte attraverso le quali il contribuente fa valere, con i motivi di ricorso, un fatto giuridico avente efficacia modificativa, impeditiva o estintiva della pretesa fiscale.
Le eccezioni in senso stretto sono quelle attraverso con cui si fa valere, con i motivi di ricorso, un fatto giuridico avente efficacia:
- modificativa, della pretesa fiscale;
- impeditiva o estintiva della pretesa fiscale;
- tutti i vizi d’invalidità dell’atto impositivo per difetto di elementi formali essenziali, incompetenza o violazione di norme sul procedimento;
- compensazione;
- prescrizione estintiva;
- rinuncia al diritto;
- sussistenza di atti interruttivi della prescrizione;
- l’eccezione di difetto di titolarità passiva del diritto fatto valere in giudizio.
Diversamente le eccezioni improprie, o mere difese sono quelle volte a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice della:
- inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio;
- mera contestazione delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato con il ricorso introduttivo, alle quali rimane circoscritta l’indagine rimessa al giudice di merito;
- l’eccezione diretta a far dichiarare l’inesistenza del diritto azionato da controparte;
- la deduzione di difese dirette a contestare l’esistenza del fatto costitutivo della pretesa fatta valere in giudizio;
- ogni questione di interpretazione e applicazione della legge;
- la questione di legittimità costituzionale di una norma;
- la deduzione di avere già corrisposto le somme pretese dall’Ufficio impositore;
- contestazione del valore probatorio dei mezzi istruttori esperiti in primo grado;
- le critiche alle risultanze di una consulenza tecnica espletata in primo grado.
La contestazione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria si risolve in una mera difesa, estranea al divieto di cui all’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Il divieto di eccezioni nuove non opera nei confronti delle eccezioni (processuali o sostanziali) rilevabili d’ufficio,
Il giudicato esterno, assimilabile agli elementi normativi, è effettuabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, in quanto corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione (Cassazione n. 15159 del 16 luglio 2020).
Nel contenzioso tributario (Cassazione con l’ordinanza n. 11284 depositata il 28 aprile 2023; ordinanza n. 22231/2023 ) “… l’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 preclude in appello esclusivamente le nuove eccezioni in senso tecnico dalle quali, cioè, deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del thema decidendum; conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria può difendersi dall’impugnazione, da parte del contribuente, del silenziorifiuto su un’istanza di rimborso d’imposta eccependo, anche in appello, il mancato versamento degli importi richiesti o la loro utilizzazione in compensazione, poiché il rilievo integra una mera difesa o un’eccezione in senso improprio, ammissibile in quanto mera contestazione delle censure avanzate col ricorso, non introduttiva di nuovi elementi d’indagine.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20082 depositata il 13 luglio 2023, intervenendo in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c., ha ribadito che “… i motivi di opposizione al provvedimento impositivo si configurano come vere e proprie causae petendi della correlata domanda di annullamento, con la conseguenza che incorre nel vizio di extra o ultra-petizione il giudice adito che fondi la propria decisione su motivi non dedotti o – il che è lo stesso – dedotti sotto profili diversi da quelli che costituiscono la ratio decidendi (Cass. n. 8387 del 1996; si vedano altresì, ex multis, Cass. n. 9087 del 2006, n. 6891 del 2005, n. 3980 del 2004)”; …”
Pertanto i motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo costituiscono la causa petendi rispetto all’invocato annullamento dell’atto medesimo, con conseguente duplice inammissibilità di un mutamento delle deduzioni avanti al giudice di secondo grado ovvero dell’inserimento di temi d’indagine nuovi (cfr. Cass. n. 22010 del 2006; n. 16829 del 2007; n. 13934 del 2011)» (cfr. Cass. civ. Sez. V, Sent., 05-11-2014, n. 23571; Cass. ordinanza n. 14568 depositata il 26 maggio 2021);
Inoltre come riaffermato anche dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 30914 del 2022 che “… Per costante giurisprudenza di questa Corte, si ha domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione della causa petendi quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (Cass., Sez. V, 23 luglio 2020, n. 15730; Cass., Sez. V, 16 febbraio 2012, n. 2201). La novità della domanda o motivo nuovo in appello scaturisce, pertanto, dalla introduzione in grado di appello di un fatto storico diverso da quello allegato in primo grado (Cass., Sez. III, 15 settembre 2020, n. 19186) …”
Infine la Corte di Cassazione sez. tributi con la sentenza n. 2331 depositata il 15 ottobre 2013 intervenendo in tema di ricorso introduttivo ha affermato che qualora il contribuente in mancanza dei presupposti assume direttamente la propria difesa presentando il relativo ricorso, il difensore che interviene successivamente può introdurre nuovi motivi di impugnazione in quanto, in caso contrario, verrebbe leso il diritto di difesa costituzionalmente garantito.
Con il termine causa petendi (in latino significa “ragione del domandare”) si suole indicare l’insieme delle ragioni in fatto e in diritto poste a fondamento della domanda, con il termine petitum si intende il contenuto della domanda stessa, ovvero sul suo oggetto (Il petitum è l’oggetto dell’azione: la parola latina infatti significa “chiesto”, pertanto coincide con ciò che si chiede)
Domande nuove – il divieto dell’art. 57 del D. Lgs. n. 546/1992
L’art. 57 del D.Lgs. n. 546/1992, analogamente all’art. 345 c.p.c., prevede il c.d. divieto di ius novorum.
L’art. 345 c.p.c. contiene un principio generale ed inderogabile dell’ordinamento, il divieto di proporre domande nuove nel giudizio di appello in ragione dell’esigenza di ordine pubblico di garantire il rispetto del doppio grado di giurisdizione.
Per cui costituiscono “domande nuove” tutte quelle tese ad ampliare il petitum (oggetto della domanda), introducendo nel giudizio una pretesa avente presupposti distinti da quelli di fatto della domanda originaria.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27606 del 2023 ha chiarito che “… Costituisce domanda nuova quella che non si limita ad ampliare l’oggetto del pronuntiare, ma amplia l’oggetto del conoscere demandato al giudice: vale a dire quella per la cui istruzione è necessario accertare fatti diversi da quelli posti a fondamento della domanda originaria. …”
Pertanto sono compatibili e non ricadono nel divieto di ius novorum le allegazioni:
- che costituiscono mere prove;
- che integrano motivi nuovi rispetto a quelli contenuti nel ricorso.
L’articolo 58 del D.Lgs. n. 546/1992 prevede, con il comma 2, la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche in appello con la precisazione del limite temporale dei venti giorni liberi prima dell’udienza entro cui esercitare tale attività processuale, ex art. 32 del D.Lgs. n. 546/1992, secondo le formalità previste dall’art. 24 del medesimo decreto.
Il comma 1 dell’articolo 58 statuisce anche la possibilità, in appello, di produrre “nuove prove” a condizione che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile.
Ricorso in appello
Il Supremo consenso ha puntualizzato che la riproposizione, da parte dell’appellante, dei motivi proposti in primo grado “… è sufficiente ad assolvere l’onere d’impugnazione specifica, imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che, nel processo tributario, l’appello ha carattere devolutivo pieno, siccome non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma finalizzato ad ottenere il riesame della causa nel merito nella sua interezza.
Il requisito della specificità dei motivi di appello non può essere inteso nel senso che l’appellante sia tenuto a formulare nuovi argomenti giuridici a sostegno dell’impugnazione, potendo l’appellante limitarsi a sottoporre al giudice di gravame le medesime argomentazioni svolte in primo grado e respinte in quella sede, manifestando un dissenso che investa la decisione di primo grado nella sua totalità (cfr. Cass. n. 30525 del 2018; Cass. n.32838 del 2018; Cass. n. 32954 del 2018; Cass. n. 1200 del 2016; Cass. n. 30341 del 2019; Cass. ordinanza n. 14352/2021). …”
Inoltre è stato ha precisato, con la sentenza n. 10993 del 2023, che “… nel sistema del contenzioso tributario, il thema decidendum sul quale il giudice dell’appello è chiamato, e deve limitarsi, a pronunciare concerne, oltre alle questioni rilevabili d’ufficio (pregiudiziali o conseguenti), quelle sollevate specificamente dall’appellante col motivi d’impugnazione, quelle oggetto di eccezioni esaminate e ritenute fondate dal primo giudice, quelle nuove che l’appellato sia tuttora legittimato a sollevare in procedimenti svoltisi in primo grado nella vigenza del d.p.r. n. 636 del 1972, e, se e in quanto espressamente riproposte dall’appellato, quelle non esaminate o non accolte da detto giudice (Cass. 9 giugno 2000, n. 7907).
In proposito questa Corte ha affermato che, al fine di ridurre la portata del principio appena affermato, non vale invocare il fatto che il processo tributario ha ad oggetto il rapporto tributario e non la legittimità dell’atto. La corretta identificazione dell’oggetto del giudizio nel rapporto sostanziale non contraddice il fatto che il processo tributario è configurato come impugnazione di atti. Ed invero, nei processi che hanno tale struttura, formalmente è il contribuente che assume la veste di attore, sicché è questi che, con le ragioni poste a fondamento della domanda di annullamento dell’atto impositivo, delimita il thema decidendum, anche se poi l’onere della prova della pretesa fiscale, in relazione ai fatti contestati, grava sull’Amministrazione. Per questa ragione, i motivi di annullamento dell’atto impositivo si configurano come causae petendi della domanda proposta (e per questa ragione non potrebbero esserne proposti di nuovi e diversi in appello), ed identificano altrettante distinte domande, e non delle mere eccezioni dirette a paralizzare la pretesa avversaria (Cass. 12 luglio 2016, n. 14190). …”
Nel rito tributario la specificità dei motivi di appello, prescritta dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, non è esclusa dalla riproposizione delle ragioni e delle argomentazioni già poste a fondamento del ricorso introduttivo del giudizio. La norma sopra citata, infatti, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 delle disposizioni preliminari del codice civile, trattandosi di prescrizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia. Secondo la Suprema Corte ogni qual volta sia espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado deve essere consentito il sindacato sul merito dell’impugnazione. Di conseguenza la specificità dei motivi d’appello “va correlata al tenore complessivo dell’atto di gravame, ove, dunque, le ragioni di critica del decisum fatto oggetto di impugnazione debbono desumersi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni” (ex plurimis, Cass. 1571/2021 e 30341/2019).
Ricorso in cassazione – motivi
Nel contenzioso tributario i motivi per il ricorso in cassazione devono essere limitati alle questione proposte nei gradi del giudizio di merito, non essendo ammissibile prospettare nuove questioni ed inoltre non è ammissibile una critica attinente al merito della controversia.
La Suprema Corte (da ultimo con l’ordinanza n. 19076 depositata il 14 giugno 2022 ha precisato che “… «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio» (Cass. 03/05/2022, n. 13987, Cass. 09/08/2018, n. 20694, Cass. 13/06/2018, n. 15430, Cass. 18/09/2020 n. 19560, Cass. 23/03/2021, n. 8125). …”
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21945 depositata l’ 11 luglio 2022 ha ribadito il principio secondo cui «Il ricorso per cassazione deve ritenersi inammissibile nell’ipotesi in cui la censura svolta dal ricorrente assuma, come nella specie, i connotati di una critica attinente al merito della controversia ad all’apprezzamento, pur congruamente motivato, delle risultanze di causa compiuto dai Giudici di appello» (Cass. 13/09/2013 n. 20973).
Ancora, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (Cass. 30/03/2007, n. 7981, Cass. 16/07/2010, n.16632). (Cass. ordinanza n. 7000 del 12 marzo 2021)
In quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado (Cass. 10/05/2005, n. 9765, Cass. 12/09/2000, n. 12025). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito (Cass. 13.9.2007, n. 19164, Cass. 9.7.2013, n. 17041).
Divieto di nuovi motivi ed amministrazione finanziaria
nel contenzioso tributario, il divieto di domande nuove previsto al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 comma 1, trova applicazione anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, alla quale non è consentito, innanzi al giudice d’appello, mutare i termini della contestazione, deducendo motivi diversi, sotto il profilo del fondamento giustificativo, da quelli contenuti nell’atto impositivo (cfr. Cass. 7 maggio 2014, n. 9810; 10 maggio 2019, n. 12467; 26 febbraio 2020, n. 5160) (Cass. ordinanza n. 28470 del 2023)
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