In base alla previsione dell’art. 22, d.lgs. n. 546 del 1992, la Corte Suprema ha chiarito che, in tema di contenzioso tributario, la sanzione processuale della inammissibilità del ricorso è disposta soltanto nel caso di mancato deposito degli atti e documenti espressamente previsti dal comma 1 del citato d.lgs., non anche degli atti previsti dal comma 4 dello stesso articolo, sicché, come è stato affermato, l’originale o la fotocopia dell’atto impugnato può essere prodotto anche in un momento successivo ovvero su impulso del giudice tributario, che si avvalga dei poteri previsti dal comma 5 del citato art. 22, d.lgs. n. 546 del 1992, (Cass. n. 10152 del 2019; Cass. n. 27837/2013; n. 18872/2007; n. 4431/2010).
In particolare in tema di mancato o parziale deposito dell’atto impugnato la giurisprudenza del Supremo consesso ha costantemente affermato il principio di diritto secondo cui “… nel processo tributario non è prevista alcuna sanzione, a norma del D. Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 4, quale conseguenza dell’omesso deposito dell’atto impugnato, con la relativa notificazione, sebbene il contribuente sia pur sempre tenuto a provvedervi allorquando sia eccepita la tardività del ricorso, essendo dalla notifica dell’atto ricavabile la prova della tempestiva introduzione del giudizio, il cui onere grava sul predetto; (cfr. Cass. nn. 25107/2020, 10209/2018; Cass. ordin. n. 10152/2019; Cassazione ordinanza n. 29957/2023) …”
La Suprema Corte è addivenuta a statuire il suddetto principio sulla circostanza che “… le previsioni di inammissibilità, proprio per il loro rigore sanzionatorio, devono essere interpretate in senso restrittivo, limitandone cioè l’operatività ai soli casi nei quali il rigore estremo è davvero giustificato; ciò anche tenendo presente l’insegnamento fornito dalla Corte costituzionale, con particolare riguardo al processo tributario, secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della “tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità” (sentenze C. Cost. nn. 189 del 2000 e 520 del 2002); ( cfr. Cass. n. 21170 del 2005; Cass. n. 6391 del 2006; Cass. n. 29394 del 2008; Cass. n. 15444 del 2010; Cass. n. 6130 del 2011; Cass. n. 20612 del 12/10/2016; Cass. n. 26560 del 17/12/2014; Cass. n. 25107 del 2020 e molte altre); …”
Per cui per i giudici di legittimità “… la chiave di volta dell’intero regime delle inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio tributario va individuato nel d.lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 5 (“ove sorgano contestazioni il giudice tributario ordina l’esibizione degli originali degli atti e dei documenti di cui ai precedenti commi”), il quale stabilisce una sorta di possibile causa di esclusione della sanzione dell’inammissibilità (da intendersi, come si è detto, quale vera e propria extrema ratio) quando vi sia modo di accertare la sostanziale regolarità dell’atto e l’osservanza delle regole processuali fondamentali» (Cass. n. 26560 del 17/12/2014).
Si tratta, invero, di un obbligo del giudice a fronte delle contestazioni sollevate dalla parte resistente (v. Cass. n. 22770 del 23/10/2006; Cass. n. 11435 del 11/05/2018). …”
Sul tema i giudici di piazza Cavour hanno ulteriormente affermato che «ove la parte resistente contesti la tempestività del ricorso, è onere del contribuente allegare l’atto impugnato con la prova della data di avvenuta notifica, dalla quale decorre il termine per la proposizione del ricorso, salvo che si tratti di notifica nulla, ipotesi nella quale l’Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare il momento nel quale il ricorrente ha avuto effettiva conoscenza del predetto atto» (Cass. n. 10209 del 27/04/2018).
Infine va evidenziato che a tali principi fa tuttavia eccezione la prova della tempestività dell’impugnazione in ipotesi di contestazione di parte resistente, la quale deduca l’inammissibilità del ricorso per tardività, che esige l’allegazione dell’atto impugnato, nella specie l’intimazione di pagamento, con specifica indicazione della data dell’avvenuta notifica, atteso che in assenza di tale produzione e, soprattutto, dell’indicazione della data di ricezione dell’atto, non può essere consentito al giudicante di verificare la tempestività dell’impugnazione, considerato che è onere dell’impugnante fornire la prova della ritualità (cfr. Cass. n. 27837 del 2013; Cass. n. 29957 del 2023);
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