Il principio di non contestazione di cui all’art. 115, comma 1, c.p.c. (“salvi i casi previsti dalla Legge, il giudice deve porre a fondamento della decisone le prove proposte dalle parti … nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”) trova diretta applicazione nel giudizio tributario in virtù dell’art. 1, comma 2, D.L.vo n. 546, come costantemente affermato, anche, dalla Suprema Corte. Tale principio è espressione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo in quanto regola per la semplificazione probatoria.
Il principio di non contestazione va esaminato anche alla luce del del principio costituzionale di imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.) e di quello statutario di collaborazione e buona fede (art. 10, comma 1, L. n. 212/2000), cui è tenuto l’Ente impositore. Per cui l’Ente impositore non solo non ha motivi di contestare immotivatamente i fatti addotti dal contribuente, ma ha il dovere di riconoscere ed ammettere la verità dei fatti (al pari delle tesi giuridiche) dedotti dal privato a sostegno delle proprie ragioni. Pertanto va assegnato valore al comportamento passivo ed inerte in cui si sostanzia la non contestazione.
Nel processo tributario il principio di non contestazione sottende a tutti i fatti allegati, sia quelli cd. “primari” che quelli cd. “secondari”, fermo restando che competa al giudice di merito valutare l’effettiva importanza assunta dalla prova presuntiva articolata sul fatto “secondario” non contestato.
Il fine di tale norma contenuta nel comma 1 dell’art. 115 c.p.c. è quello di imporre al contribuente convenuto (o all’attore in caso di domanda rimborso) una specifica presa di posizione su tutti i fatti allegati dall’attore, in quanto, in caso contrario, il giudice deciderà sulla base di tali fatti.
L’orientamento consolidato della Suprema Corte prevede che “… il principio di non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, si applica anche nel processo tributario ma, attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, esso riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato, e sempreché il giudice, in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza (Cass., 18 maggio 2018, n. 12287; Cass., 6 febbraio 2015, n. 2196; Cassazione ordinanza n. 22694/2023); …”
Gli Ermellini sul tema dell’applicabilità, anche al giudizio tributario del principio di non contestazione, hanno costantemente ribadito che “… Anche al processo tributario – caratterizzato, al pari di quello civile, dalla necessità della difesa tecnica e da un sistema di preclusioni, nonché dal rinvio alle norme del codice di procedura civile, in quanto compatibili – è applicabile il principio generale di non contestazione che informa il sistema processuale civile (con il relativo corollario del dovere del giudice di ritenere non abbisognevoli di prova i fatti non espressamente contestati), il quale trova fondamento non solo negli artt. 167 e 416 cod. proc. civ., ma anche nel carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena, nella generale organizzazione per preclusioni successive, che caratterizza in misura maggiore o minore ogni sistema processuale, nel dovere di lealtà e di probità previsto dall’art. 88 cod. proc. civ., il quale impone alle parti di collaborare fin dall’inizio a circoscrivere la materia effettivamente controversa, e nel generale principio di economia che deve sempre informare il processo, soprattutto alla luce del novellato art. 111 Cost. Né assumono alcun rilievo, in contrario, le peculiarità del processo tributario, quali il carattere eminentemente documentale dell’istruttoria e l’inapplicabilità della disciplina dell’equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo” (Cass. 1540/2007). Ne deriva che in ogni processo vanno individuati “due distinti e non confondibili oggetti del giudizio, l’uno (processuale) concernente la sussistenza o meno del potere-dovere del giudice di risolvere il merito della causa e l’altro (sostanziale) relativo alla fondatezza o no della domanda” (Cass. 2002/ 6737). …” (Cass. sentenza n. 6686/2023)
La corte di Cassazione con la sentenza n. 23584 depositata il 2 agosto 2023, intervenendo in tema di smaltimento dei rifiuti in area portuale, ha ribadito che “… «la non contestazione, assurta dopo la novellazione dell’art. 115 cod. proc. civ., a principio generale del processo, e come tale suscettibile di essere applicato anche nel giudizio tributario, seppure al netto della specificità dettata dalla non disponibilità dei diritti controversi nel processo de quo, concerne esclusivamente il piano (probatorio) dell’acquisizione del fatto non contestato, ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo» …”
Nella sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno ulteriormente affermato che “… inoltre, va altresì considerato che il principio di non contestazione, applicabile anche al processo tributario, trova qui in ogni caso un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento (o di rettifica) non è l’atto introduttivo del processo quanto piuttosto l’oggetto (immediato), per lo meno nei casi in cui venga in questione la pretesa fiscale in esso riportata, sicché la cognizione del giudice è limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso, e anche laddove, in base all’art. 23 del d.lgs. n. 546/1992, l’attenzione sia rivolta […] alle difese dell’amministrazione pubblica resistente, e si intenda sottolineare che la parte resistente deve all’atto della costituzione in giudizio esporre “le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente”, indicando “le prove di cui intende valersi” e proponendo “altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”, non per questo può trascurarsi che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto dal contribuente ritenuto» …”
Gli Ermellini hanno meglio precisato, sul principio sopra riportato ribadendo il principio di diritto che “… Per effetto della struttura dialettica del processo tributario occorre necessariamente che la verifica dei fatti posti a fondamento della domanda (o delle eccezioni) passi attraverso il vaglio di elementi diversi dalla mera affermazione che di essi faccia la parte a proprio vantaggio. In tal caso non si può quindi invocare il principio di non contestazione. Nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di un atto affermativo della pretesa fiscale (similmente a quanto accade nel processo di opposizione all’esecuzione, rispetto all’espropriazione forzata, alla cui base del pari è posto un titolo a fondamento della pretesa creditoria), il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato (preteso) mediante l’atto impositivo, atto preesistente al processo nei quali i fatti costitutivi sono già stati allegati in modo difforme da quanto dal contribuente ritenuto in sede giudiziale. …” (Cassazione sentenza n. 16984/2023)
Il principio di non contestazione, invero, opera tra parti, entrambe presenti nel giudizio, in relazione a fatti che siano stati chiaramente esposti da una parte, e non siano stati contestati dalla controparte, che pure ne abbia avuto l’opportunità. La parte che lo invochi, pertanto, in sede di impugnazione è gravata dell’onere di indicare specificamente in quale parte dell’incartamento processuale il fatto sia stato esposto, al fine di consentire al giudice di verificare la chiarezza dell’esposizione, e se la controparte abbia avuto occasione di replicare. (Cassazione ordinanza n. 31619/2018; Cass. ordinanza n. 20078/2023)
Infine il principio di non contestazione deve essere coordinato con l’ulteriore limitazione in ordine ai motivi in via subordinata come precisato dal Suprema “… nel processo tributario, il principio di non contestazione deve essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in via subordinata non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi). Tale principio, che costituisce una forma di semplificazione processuale, consente di ritenere provato un fatto non solo nell’ipotesi in cui una parte né alleghi l’esistenza e l’altra ne faccia espressa ammissione, ma anche nella diversa ipotesi in cui la parte onerata di provare il fatto lo alleghi in modo specifico e la controparte non contesti specificamente tale circostanza. …” (Cassazione ordinanza n. 29690/2021; Cass., sez. 5, 6 febbraio 2015, n. 2196; Cass., sez.5, 6 dicembre 2018, n. 31619; Cass., sez. 5, 1 ottobre 2018, n. 23710; Cass., sez.5, 13 marzo 2019, n., 7127)
La giurisprudenza della Corte Suprema ha anche precisato che «il principio di non contestazione […] non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario – secondo cui la mancata presa di posizione sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente in linea di subordine non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande subordinate avversarie (cfr. Cass. 7789/06)» (così Cass., Sez. T. 24 novembre 2022, n. 34707; sentenza n. 23584 depositata il 2 agosto 2023 ; Cass. sentenza n. 23555/2023; Cass. ordinanza n. 26679 del 2023).
Il Supremo consesso con la sentenza n. 2529 del 2024 ha precisato che il “… principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., se solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento (Cass. n. 16028/2023). …”
Anche con l’ordinanza n. 15030 del 29 maggio 2023 la Suprema Corte ha ribadito che “… l‘onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dal suddetto art. 23 [d.lgs. n. 546/1992], per quanto interpretato in coerenza col principio di non contestazione desumibile dall’art. 115 cod. proc. civ., non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’amministrazione (o dell’ente consortile, nel caso in esame), un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo, sicché, in definitiva, con riferimento alla fattispecie, è nella richiesta di pagamento dei contributi consortili che va ricondotta l’affermazione, da parte del Consorzio, della spettanza degli importi richiesti circa l’esistenza del beneficio e vantaggio a favore del fondo del contribuente, e la conseguente contestazione delle contrarie deduzioni di quest’ultimo, ed anche un’eventuale mancata, specifica, presa di posizione dell’ente impositore sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi; …” (Cass. sentenza n. 23555/2023).
Infine va evidenziato che nel processo tributario, l’obbligo dell’amministrazione di prendere posizione sui fatti dedotti dal contribuente è ancora più forte di quello che grava sul convenuto nel rito ordinario, in quanto le disposizioni degli artt. 18 legge 7 agosto 1990, n. 241, e 6 legge 27 luglio 2000, n. 212, secondo le quali il responsabile del procedimento deve acquisire d’ufficio quei documenti che, già in possesso dell’amministrazione, contengano la prova di fatti, stati o qualità rilevanti per la definizione della pratica, costituiscono l’espressione di un più generale principio valevole anche in campo processuale. In applicazione del principio, la Corte ha perciò affermato che, qualora il contribuente, che agisca per il rimborso di tasse o diritti non dovuti, eccepisca che documenti comprovanti il pagamento, o la richiesta di rimborso, siano in possesso dell’amministrazione, questa è tenuta a pronunciarsi in modo specifico e motivato sul punto, perché, in difetto, il giudice potrà desumere elementi di prova da tale comportamento (Cass. 05/11/2004, n. 21209; Cass. ordinanza n. 23709/2023; Cass. ordinanza n. 23666 del 2023).
La Suprema Corte ha precisato più volte che “… il principio di non contestazione, applicabile anche al processo tributario, trova qui in ogni caso un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento (o di rettifica) non è l’atto introduttivo del processo quanto piuttosto l’oggetto (immediato), per lo meno nei casi in cui venga in questione la pretesa fiscale in esso riportata, sicché la cognizione del giudice è limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso, e anche laddove, in base all’art. 23 del d.lgs. n. 546/1992, l’attenzione sia rivolta […] alle difese dell’amministrazione pubblica resistente, e si intenda sottolineare che la parte resistente deve all’atto della costituzione in giudizio esporre “le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente”, indicando “le prove di cui intende valersi” e proponendo “altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”, non per questo può trascurarsi che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto dal contribuente ritenuto» (così, da ultimo, Cass., Sez. T, 2 marzo 2023, n. 6268, che richiama Cass. 6 febbraio 2015, n. 2196, e, tra le tante, nello stesso senso, , Sez. T. 24 novembre 2022, n. 34707 e, nello stesso senso, Cass., Sez. T., 21 febbraio 2023, n. 5429); …” (Cass. ordinanza n. 25518 del 2023)
Inoltre la Suprema Corte ha precisato che “… la non contestazione, assurta dopo la novellazione dell’art. 115 c.p.c., a principio generale del processo, e come tale suscettibile di essere applicato anche nel giudizio tributario, seppure al netto della specificità dettata dalla non disponibilità dei diritti controversi nel processo de quo, concerne esclusivamente il piano (probatorio) dell’acquisizione del fatto non contestato, ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo“;
[…]
– “ne consegue che l’onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dal suddetto art. 23, per quanto interpretato in coerenza col principio di non contestazione desumibile dall’art. 115 c.p.c., non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo (…)” (così, da ultimo, Cass., sez. T., 2 marzo 2023, n. 6268, che richiama Cass. 6 febbraio 2015, n. 2196); …” (Cass. ordinanza n. 26679 del 2023)
Principio di non contestazione e provvedimenti negatori dell’Amministrazione finanziaria
Sul tema la Corte di Cassazione, anche con l’ordinanza n. 28233 depositata il 9 ottobre 2023, ha affermato (Cass. n. 29613 del 29/12/2011; Cass. n. 6550 del 27/04/2012; Cass. n. 15026 del 02/07/2014) che quando si controverta su una domanda di rimborso del contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non soltanto formale – come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche sostanziale. Ciò significa, in primo luogo, che l’onere di allegare e provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato in domanda grava sul contribuente; secondariamente, che le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti o contesta che i medesimi siano qualificabili giuridicamente nei termini proposti dal contribuente, costituiscono “mere difese”, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva l’ipotesi del formarsi di un giudicato interno o, ricorrendone i presupposti, l’applicazione del principio di non contestazione. Con riferimento a tale ultimo principio, certamente applicabile anche nel processo tributario (Cass. n. 1540 del 24/01/2007; Cass. n. 7827 del 31/03/2010), è stato chiarito, proprio in relazione ad una fattispecie similare, che esso non può operare nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria neghi in radice l’esistenza del credito, sicché il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa del contribuente può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell’an debeatur. Invero, il principio di non contestazione opera sul piano della prova e non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il thema decidendum ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda (Cass. n. 9732 del 12/05/2016).” (cfr. Cass., V, n. 14998/2023). Ne’ a tal fine può valere il richiamo alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio che, parimenti, non può assurgere a fonte di prova (Cfr. Cass., V, n. 31588/2021).
Ricorso in cassazione
Al fine di non incorrere nell’inammissibilità Il Supremo consesso richiede che “… la pretesa applicazione dell’art.115 c.p.c. non risulta nemmeno autosufficiente non essendo stato prodotto né il conteggio, né gli atti da cui si desume la pretesa non contestazione e pacificità del fatto; dovendo pure rammentarsi in applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5 – , Ordinanza n. 31619 del 06/12/2018) che la parte che deduca una non contestazione in sede di impugnazione è tenuta ad indicare specificamente in quale atto processuale il fatto sia stato esposto, al fine di consentire al giudice di verificarne la chiarezza e se la controparte abbia avuto occasione di replicare. …” (Cass. ordinanza n. 4358 del 2024)
La doglianza di della violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., diviene inammissibile qualora il ricorrente ” non ha osservato le prescrizioni imposte dall’art. 366 n. 6 c.p.c. e, in particolare, ha del tutto omesso di trascrivere, almeno nelle parti essenziali, e di localizzare, gli atti processuali su cui la dedotta violazione si fonda” (Cassazione, sez. lavoro, ordinanza n. 4634 del 2024)
Al fine di rispettare, anche alla luce della CEDU, il c.d. ” … principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., interpretato in modo compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, deve ritenersi rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (v. Cass. n. 12481 del 2022; S.U. n. 8950 del 2022) …” (Cassazione, sez. lavoro, ordinanza n. 4634 del 2024)
Il mancato rispetto del principio di non contestazione va ricondotta nel vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non certo nella fattispecie dell’error Iuris in iudícando. (Cass., sez. tributaria, ordinanza n. 3149 del 2023) In ogni caso il principio di non contestazione ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. 5 marzo 2020, n. 6172; 17 novembre 2021, n. 35037).
Il ricorso in cassazione per violazione del principio di non contestazione diventa inammissibile qualora sia “… inosservante dell’onere di specificità imposto dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., occorrendo al riguardo rammentare che il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto degli atti difensivi dai quali tale non contestazione possa evincersi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (v. e pluribus Cass. 22/05/2017, n. 12840; 31/08/2020, n. 18074); con la precisazione che tale onere di specifica indicazione avrebbe dovuto anche osservarsi con riferimento all’effettivo contenuto delle allegazioni di parte attrice: ricordato, infatti, che l’onere di contestazione riguarda i fatti allegati, nella specie, per potersi in astratto configurare, sarebbe stato necessario che a fondamento della domanda fosse stato anche dedotto il fatto negativo in questione ossia che si trattava di nuovi posti di lavori «non connessi» ad investimenti.
(…) Infine, ma con valenza logica in realtà preliminare, va rilevato che per pacifica acquisizione il principio di non contestazione non opera ove si verta in tema di diritti indisponibili (cfr. Cass. n. 12287 del 18/05/2018) …” (Cass., sez. III, ordinanza n.12910 del 2022)
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