CONSIGLIO NAZIONALE DOTT. COMM. E ESP. CON. – Circolare 09 gennaio 2014 n. 37/IR
I rimborsi spese e le spese anticipate dal committente nella determinazione del reddito di lavoro autonomo
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La nozione di “compenso” rilevante ai fini delle imposte sui redditi. – 3. Le spese di vitto e alloggio “prepagate” dal committente.
1. Premessa
Il trattamento fiscale dei rimborsi spese nei confronti di professionisti e lavoratori autonomi non ha ancora trovato una espressa sistemazione normativa.
L’Amministrazione finanziaria ha tradizionalmente ricondotto le somme corrisposte a titolo di rimborso delle spese inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo, anche occasionale, nella nozione di “compenso” rilevante ai fini delle imposte sui redditi. Dette somme sono state pertanto ritenute assoggettabili, ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. n. 600 del 1973, alla ritenuta alla fonte a titolo di acconto nella misura del 20 per cento (NOTA 1).
Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, restano invece esclusi da tale disciplina soltanto i rimborsi relativi a spese, analiticamente dettagliate, anticipate in nome e per conto del cliente, come, ad esempio, quelli per pagamenti di tasse, di diritti di cancelleria e di visura, per acquisto di materiale, fatti dall’esercente l’arte o professione per conto del cliente (NOTA 2).
In termini più generali, rientrano tra i detti rimborsi di spese non soggetti a ritenuta quelli relativi a spese sostenute in forza di specifico incarico professionale riconducibile allo schema del mandato con rappresentanza. Si tratta, quindi, di spese che non sono sostenute per assolvere l’incarico, ma che formano l’oggetto del mandato stesso.
Vi deve inoltre essere una documentazione analitica delle spese sostenute che sia intestata al cliente.
In assenza di un’espressa disciplina fiscale dei rimborsi spese, l’Agenzia delle Entrate ha optato quindi per una interpretazione estensiva della nozione di “compenso” di cui all’art. 54 (NOTA 3) del Testo unico delle imposte sui redditi (NOTA 4) (d’ora in avanti, “TUIR”), tendente ad una sua sostanziale onnicomprensività, facendo in tal modo leva su un criterio ermeneutico invece pacificamente accolto in materia di redditi di lavoro dipendente, nonostante la più ampia formulazione letterale dell’art. 51, comma 1, del medesimo TUIR, che in effetti riconduce espressamente in tale categoria reddituale “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta … in relazione al rapporto di lavoro”.
Più recentemente, il legislatore è intervenuto (NOTA 5), nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo, con una disposizione, inserita nel secondo periodo del comma 5 del citato art. 54, secondo cui le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande in pubblici esercizi “sono integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate nella fattura”.
Si tratta delle cosiddette spese anticipate (o “prepagate”) dal committente ossia di quelle spese inerenti all’espletamento dell’incarico che il committente sostiene direttamente per conto del professionista, il quale non risulta dunque neanche finanziariamente inciso dalle stesse.
La disposizione, sancendo espressamente che le anzidette spese “prepagate” dal committente non soggiacciono al limite di deducibilità previsto in generale dal medesimo comma 5 per le spese di vitto e alloggio sostenute dal lavoratore autonomo (NOTA 6), assimila, sotto il profilo fiscale, tali spese ai compensi in natura.
La norma, secondo il parere dell’Agenzia delle Entrate (NOTA 7), impone di adottare la seguente procedura:
– il fornitore del servizio emette fattura intestata al committente, con indicazione degli estremi del professionista che ha usufruito del servizio;
– il committente comunica al professionista l’ammontare della spesa effettivamente sostenuta, inviandogli copia della relativa fattura (NOTA 8);
– il professionista emette fattura nei confronti del committente, includendo nel compenso le spese di vitto e alloggio “prepagate” dal committente (NOTA 9);
– il committente imputa a costo la prestazione, comprensiva delle spese sostenute per conto del professionista (NOTA 10).
Tale disciplina ha comportato un notevole aggravio e una maggiore onerosità delle procedure amministrative normalmente adottate dalle imprese committenti, rendendole del tutto sproporzionate rispetto ad eventuali (peraltro non dichiarati) intenti antielusivi della norma.
Queste ultime considerazioni ci avevano indotto ad auspicare una rapida abrogazione della disposizione in esame (NOTA 11), abrogazione che ora ha fatto breccia nel disegno di legge governativo (NOTA 12) recante “misure di semplificazione degli adempimenti per i cittadini e le imprese e di riordino normativo”, presentato al Senato il 23 luglio 2013 (NOTA 13).
Ai sensi dell’art. 29 di quest’ultimo disegno di legge viene infatti previsto che il secondo periodo dell’art. 54, comma 5, del TUIR sia sostituito dal seguente: “Le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande acquistate direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista”.
Disposizione la cui applicazione, per effetto del secondo comma del citato art. 29, viene fatta decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento modificativo.
2. La nozione di “compenso” rilevante ai fini delle imposte sui redditi
Ai sensi dell’art. 54, comma 1, del TUIR, i componenti positivi rilevanti ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo sono costituiti, tipicamente, dai “compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili”.
Concorrono, altresì, a formare il reddito le plusvalenze dei beni strumentali, esclusi gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, nonché i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale (NOTA 14).
Al fine di stabilire il trattamento fiscale dei rimborsi spese, occorre domandarsi se gli stessi siano ascrivibili ad una delle tre predette diverse tipologie di componenti positivi di reddito. Risultando pacifica la loro estraneità alle plusvalenze ed ai corrispettivi da cessione di elementi immateriali, resta da verificare se gli stessi rientrino o meno tra i compensi.
Considerato che nella disciplina relativa alle imposte sui redditi manca una definizione di “compenso”, tale verifica deve necessariamente far leva su una delimitazione in via interpretativa dei tratti caratteristici della fattispecie.
Come anticipato in premessa, la prassi dell’Amministrazione finanziaria ha costantemente ricondotto alla nozione di “compenso” non solo le somme e i valori espressamente conseguiti dal lavoratore autonomo a titolo di remunerazione per l’opera svolta, ma anche le somme da questi percepite a titolo di rimborso delle spese sostenute per conto del cliente o comunque a questi forfetariamente riaddebitate.
Tale assunto è stato più volte ribadito dall’Agenzia delle Entrate che, traendo spunto dalla formulazione letterale del vigente art. 54, comma 1, del TUIR (NOTA 15), ha affermato che “i compensi per lavoro autonomo sono computati al netto solamente dei contributi previdenziali e assistenziali”, per cui devono ricondursi tra gli stessi “anche i rimborsi di spese inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo”, ivi comprese le somme corrisposte all’esercente arte o professione a titolo di rimborso delle spese per viaggio, vitto e alloggio da questi sostenute e documentate (NOTA 16).
Secondo la prassi amministrativa, detti rimborsi, salvo quelli relativi alle spese anticipate in nome e per conto del cliente, devono essere quindi assoggettati alla ritenuta alla fonte a titolo di acconto nella misura del 20 per cento, di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 600 del 1973.
Al riguardo, si ritiene che la presunta onnicomprensività della nozione fiscale di compenso non possa estendersi a tal punto fino a ricomprendere anche le somme non aventi funzione remunerativa della prestazione resa.
Laddove il legislatore ha inteso ottenere questo risultato, ha infatti utilizzato, sotto il profilo letterale, locuzioni del tutto diverse, inequivocabili in tal senso: si pensi, come già ricordato in premessa, alla formula prevista per i redditi di lavoro dipendente che, ai sensi dell’art. 51, comma 1, del TUIR, “è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta … in relazione al rapporto di lavoro”. Formulazione letterale, quest’ultima, che mette bene in evidenza la più ampia latitudine adottata per la determinazione del reddito di lavoro dipendente.
Anche la disposizione, interna all’art. 54 del TUIR, che espressamente esclude dai compensi i contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde, lungi dal costituire, come affermato dall’Agenzia delle Entrate, l’unica deroga alla presunta onnicomprensività della nozione fiscale di compenso accolta nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo, non è altro che una conferma della rilevanza in detto ambito delle sole somme percepite a titolo di remunerazione della prestazione resa.
L’esigenza di esplicitare l’esclusione dai compensi dei contributi percepiti in via di rivalsa deriva dalla circostanza che, in tal caso, il “ristoro” da parte del committente – di somme che pur sempre devono restare “a suo carico” – avviene, a differenza dei rimborsi spese, in epoca precedente rispetto all’effettivo pagamento di detti contributi da parte dell’esercente arti o professioni, per cui opportunamente il legislatore ne ha negato la rilevanza reddituale, trattandosi in tal caso dell’incasso di somme che soltanto in epoca successiva troveranno contropartita in un esborso finanziario da parte del lavoratore autonomo.
Così come ricostruito dall’Agenzia delle Entrate, il trattamento fiscale dei rimborsi spese analitici risulta potenzialmente lesivo anche del principio costituzionale di capacità contributiva: qualora le spese oggetto di rimborso siano solo parzialmente deducibili nella determinazione del reddito (NOTA 17), la loro assimilazione ai compensi non farebbe venir meno, secondo l’Agenzia (NOTA 18), il regime di parziale deducibilità delle stesse. Il che darebbe luogo, per la quota indeducibile delle spese rimborsate che incrementa i compensi, all’emersione di un reddito imponibile meramente fittizio, non effettivamente realizzato, la cui tassazione sarebbe in evidente contrasto con l’art. 1 del TUIR (NOTA 19).
Per tali motivi si ritiene che l’interpretazione più coerente dal punto di vista sia letterale che sistematico, ma anche maggiormente conforme ai principi costituzionali, sia quella che considera le spese, analiticamente documentate, rimborsate all’esercente arti o professioni totalmente ininfluenti nella determinazione del suo reddito, il che comporta, da un lato, la non imponibilità del rimborso e, dall’altro, quale naturale contropartita, l’indeducibilità dei costi riferibili alle spese rimborsate (NOTA 20).
I limiti di deducibilità in sede di determinazione del reddito di lavoro autonomo sono stati infatti introdotti per forfetizzare l’inerenza di spese che potrebbero essere sostenute per finalità personali e familiari anziché professionali. Se, però, le stesse sono analiticamente riaddebitate al committente, il contrasto di interessi tra quest’ultimo ed il professionista dovrebbe evitare possibili abusi, a differenza di quanto si potrebbe, invece, verificare per le analoghe spese dedotte, ma non richieste a rimborso.
Le spese analiticamente rimborsate non possono essere considerate, in altri termini, come spese “sostenute” dal professionista, in quanto le stesse, in virtù del rimborso, restano a carico del committente, il che non consente di tenerne conto in sede di determinazione del reddito, prevedendo l’art. 54, comma 1, del TUIR la deducibilità delle sole spese “sostenute”, ossia rimaste a carico del lavoratore autonomo. Di conseguenza, anche il rimborso, non avendo alcuna funzione remunerativa della prestazione resa, non potrà concorrere alla formazione del reddito.
Quest’ultima soluzione è anche conforme, infine, alla nozione di compenso accolta in ambito civilistico. Nel disciplinare i criteri di determinazione del “corrispettivo” o del “compenso” della prestazione d’opera rispettivamente “materiale” o intellettuale (articoli 2225 e 2233 c.c.), il codice civile tiene infatti ben distinti questi ultimi, aventi funzione remunerativa, dalle “spese occorrenti al compimento dell’opera” che, salva diversa pattuizione, devono essere anticipate dal cliente al lavoratore autonomo (art. 2234 c.c.) e devono essere a questi rimborsate “in aggiunta” al compenso per l’opera svolta, in caso di recesso del committente (art. 2237 c.c.) (NOTA 21)
L’interpretazione qui privilegiata, come si è prima osservato, non è condivisa dall’Agenzia delle Entrate che è, di recente, intervenuta nuovamente per ribadire che le norme sostanziali relative alla determinazione del reddito di lavoro autonomo, anche occasionale, fanno rientrare nella nozione di compenso anche le somme che il lavoratore autonomo riaddebita al committente per il ristoro delle spese sostenute per l’espletamento dell’incarico (NOTA 22).
Nel caso di attività occasionali a titolo gratuito, in un’ottica di semplificazione degli adempimenti a carico del committente, l’Agenzia delle Entrate ha tuttavia ritenuto possibile non assoggettare alla ritenuta alla fonte di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 600 del 1973 i rimborsi delle spese di viaggio, vitto e alloggio, nell’ipotesi in cui le spese stesse siano solamente quelle strettamente necessarie per lo svolgimento della prestazione, previa acquisizione dei corrispondenti titoli certificativi.
Detta soluzione, alle medesime condizioni, è stata ritenuta applicabile anche qualora le spese siano direttamente sostenute dal committente.
Ad avviso dell’Agenzia, la semplificazione non si estende, però, agli esercenti arti e professioni in modo abituale, per i quali i rimborsi delle spese, diverse da quelle anticipate in nome e per conto del cliente, sono sempre assimilati ai compensi (NOTA 23). Il differente trattamento troverebbe giustificazione nel presunto diverso criterio di imputazione delle spese sostenute per l’espletamento dell’incarico nell’ambito della determinazione del reddito di lavoro autonomo abituale rispetto a quello avente natura soltanto occasionale.
In particolare, mentre i redditi di lavoro autonomo abituale sono costituiti dalla differenza tra i compensi percepiti nel periodo d’imposta e le spese inerenti all’esercizio dell’arte o professione effettivamente sostenute nel periodo stesso, senza quindi prevedere, secondo l’Agenzia, un collegamento tra compenso e spesa sostenuta per conseguirlo, i redditi di lavoro autonomo non abituale sono determinati, proprio in ragione della loro occasionalità, tenendo conto del collegamento specifico tra compenso e spesa sostenuta per conseguirlo.
Ne consegue che, nell’ipotesi di prestazioni di lavoro autonomo occasionale per il cui svolgimento è previsto solamente il rimborso delle spese strettamente necessarie per l’esecuzione della prestazione stessa o l’anticipo delle stesse da parte del committente, si genera un reddito diverso, derivante dal lavoro autonomo occasionale, pari a zero, anche se le spese sono sostenute in un diverso periodo d’imposta.
Tale “apertura” interpretativa è sicuramente apprezzabile, ma risulta ancora troppo “timida” in quanto basata su una affermata diversità dei criteri di imputazione delle spese sostenute per l’espletamento dell’incarico a seconda della natura abituale o occasionale dell’attività esercitata che, invero, non trova traccia nel corpus normativo del TUIR. Il dato positivo depone semmai in favore della soluzione opposta, ossia per l’identità dei detti criteri di imputazione, il che rende ingiustificabile che il rimborso spese relativo a una prestazione a titolo gratuito sia imponibile per chi esercita l’attività in modo abituale e non imponibile per coloro che la esercitano in modo soltanto occasionale.
Seguendo l’impostazione dell’Agenzia, in presenza di spese solo parzialmente deducibili rimborsate a fronte di una prestazione effettuata a titolo gratuito da un lavoratore autonomo abituale, potrebbe quindi accadere che venga assoggettato ad imposizione l’importo delle spese rimborsate, nonostante si tratti di una mera “partita di giro”. Tale trattamento risulterebbe incoerente e foriero di ingiustificate disparità di trattamento non solo rispetto all’analoga fattispecie riferita ai lavoratori autonomi occasionali, ma anche, limitando l’indagine al solo lavoro autonomo abituale, rispetto ai casi in cui le spese, anziché essere sostenute direttamente dall’esercente l’arte o professione, siano invece anticipate dal committente, restando dette spese, in quest’ultimo caso, interamente deducibili ai sensi dell’art. 54, comma 5, secondo periodo, del TUIR.
3. Le spese di vitto e alloggio “prepagate” dal committente
La tesi dell’irrilevanza reddituale dei rimborsi spese deve essere vagliata alla luce della previsione specificamente rivolta a disciplinare il trattamento fiscale delle spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande in pubblici esercizi sostenute dal committente per conto del professionista, contenuta nel secondo periodo del comma 5 del più volte citato art. 54 del TUIR.
Tale disposizione, sancendo espressamente l’integrale deducibilità delle anzidette spese “prepagate” dal committente, è ovviamente fondata sul presupposto che il costo del servizio acquistato dal committente rappresenti per il professionista un compenso in natura da addebitare in fattura. Il che sembra, ad una prima lettura, coerente con la tesi della rilevanza dei rimborsi spese sostenuta dall’Agenzia.
Nella nostra circolare n. 1/IR del 12 maggio 2008 abbiamo già illustrato i motivi di perplessità che siffatta lettura è in grado di generare e che qui è opportuno richiamare.
A ben guardare, accogliendo la tesi dell’onnicomprensività della nozione fiscale di compenso fatta propria dall’Agenzia, la disposizione in esame risulterebbe, infatti, inutiliter data, essendo sufficiente per attrarre le spese “prepagate” dal committente nella sfera reddituale del professionista la norma “generale” di cui al primo comma dell’art. 54 del TUIR, secondo cui concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo tutti i “compensi … in natura percepiti nel periodo di imposta”.
Il contenuto precettivo del secondo periodo del comma 5 dell’art. 54 del TUIR non può essere circoscritto neppure al riconoscimento dell’integrale deducibilità delle spese di vitto e alloggio “prepagate” dal committente, indipendentemente dalla verifica dei limiti stabiliti dal primo periodo del medesimo comma 5.
Risulterebbe, infatti, del tutto ingiustificato detto riconoscimento soltanto per le spese “prepagate” dal committente e non anche per quelle “sostenute” dal lavoratore autonomo e solo successivamente a questi rimborsate (NOTA 24): ed invero, mancando in quest’ultimo caso una disposizione analoga a quella in esame, le spese di vitto e alloggio rimborsate resterebbero, gioco forza, soggette al predetto limite di deducibilità, il che darebbe luogo ad una evidente disparità di trattamento per fattispecie sostanzialmente identiche, censurabile sotto il profilo di legittimità costituzionale.
La portata innovativa della norma è dunque rintracciabile proprio nella sua specialità, di disposizione cioè che, in deroga alla generale irrilevanza reddituale per il lavoratore autonomo delle spese “prepagate” dal committente, qualifica fiscalmente come compensi in natura le sole spese di vitto e alloggio sostenute dal committente per conto del professionista.
Così ricostruita la ratio della disposizione de qua, il riconoscimento dell’integrale deducibilità di tali spese, indipendentemente dal limite del 75 per cento ed anche per la parte eventualmente eccedente il plafond del 2 per cento dei compensi percepiti, è dunque soltanto la naturale conseguenza della anzidetta “speciale” qualificazione, anziché rappresentare, esso stesso, l’unico elemento di novità recato dalla norma.
La specialità della norma fa sì che il suo contenuto precettivo si esaurisca alle fattispecie in essa espressamente contemplate, per cui tra le spese “prepagate” dal committente andranno assimilate ai compensi in natura le sole spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande in pubblici esercizi (e non anche, ad esempio, le spese di viaggio) e soltanto quelle prepagate per conto di “professionisti” (e non anche di “artisti”).
Pur ricondotta nel suo corretto ambito applicativo, la disposizione in commento risulta in ogni caso criticabile sia sotto il profilo della coerenza sistematica, sia sotto il profilo della razionalità.
Quanto alla coerenza sistematica, si è dimostrato che la nozione di compenso presupposta dall’art. 54 del TUIR resta pur sempre circoscritta ai valori e alle altre utilità corrisposti dal committente in funzione remunerativa della prestazione resa, funzione sicuramente assente nel caso delle spese “prepagate” dal committente per lo svolgimento dell’incarico da parte del professionista.
Circa la razionalità, la norma, come anticipato in premessa, complica oltremodo gli adempimenti contabili e amministrativi in capo sia al committente che al professionista, senza che a ciò corrisponda alcun effettivo vantaggio né per l’Amministrazione finanziaria, in termini di controllo, né per l’erario, in termini di gettito.
Tali considerazioni ci avevano indotto a ritenere fortemente auspicabile una rapida abrogazione della disposizione in esame.
Un intervento, in tal senso, è ora contenuto nel disegno di legge governativo, già citato in premessa, recante “misure di semplificazione degli adempimenti per i cittadini e le imprese e di riordino normativo”, presentato al Senato il 23 luglio 2013 e ancora in fase di approvazione (NOTA 25).
L’art. 29 del provvedimento sostituisce infatti il vigente testo del secondo periodo dell’art. 54, comma 5, del TUIR con il seguente: “Le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande acquistate direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista”.
La disposizione, seppur con qualche imprecisione dal punto di vista della sua formulazione letterale, esclude quindi espressamente l’assimilazione ai compensi in natura delle spese di vitto e alloggio inerenti all’espletamento dell’incarico che il committente sostiene direttamente per conto del professionista.
Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge è precisato che i professionisti non dovranno, di conseguenza, «riaddebitare» in fattura tali spese al committente, né potranno considerare il relativo ammontare quale componente di costo deducibile dal proprio reddito di lavoro autonomo (NOTA 26).
La norma afferma un principio di carattere generale applicabile a tutte le spese “prepagate” dal committente e quindi anche a spese diverse da quelle di vitto e alloggio, in quanto sarebbe incoerente – oltre che irrazionale – ritenere imponibili, ad esempio, le spese di viaggio anticipate dal committente, sol perché non espressamente menzionate nel nuovo testo del secondo periodo del citato comma 5.
La proposta modifica normativa conferma quindi la tesi della specialità dell’attuale precetto normativo in materia di spese “prepagate” dal committente, già sostenuta nella nostra circolare n. 1/IR del 2008.
Per quanto attiene alla sua decorrenza, la nuova disciplina si applicherà, per effetto del secondo comma del citato art. 29, a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della legge.
L’intervento normativo ripristina dunque la regola generale dell’irrilevanza ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo delle spese “prepagate” dal committente.
Considerate altresì le perduranti incertezze interpretative riguardo al trattamento fiscale dei rimborsi spese, sarebbe peraltro opportuno che analoga disposizione sia introdotta anche per le spese inerenti all’espletamento dell’incarico effettuate dal professionista e a questi analiticamente rimborsate da parte del committente.
Tanto al fine di evitare, come più innanzi illustrato, ingiustificate disparità di trattamento tra fattispecie sostanzialmente analoghe e chiarire definitivamente il corretto regime fiscale da riservare ai rimborsi spese.
—
(1) Cfr., tra le altre, risoluzione Agenzia delle Entrate n. 69/E del 21 marzo 2003.
(2) Gli esempi sono ripresi dalla circolare del Ministero delle finanze n. 1/RT/50550 del 15 dicembre 1973 (par. 34).
(3) Relativo alla determinazione del reddito di lavoro autonomo.
(4) Approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
(5) Cfr. art. 36, comma 29, lettera a), n. 2) del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n.248.
(6) Tali spese, si ricorda, sono deducibili nella misura del 75 per cento e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta.
(7) Cfr. circolare n. 28/E del 4 agosto 2006 (p. 38).
(8) A tale stadio della procedura, secondo le Entrate, il costo non sarebbe ancora deducibile per il committente. Si ritiene di non condividere tale affermazione, trattandosi di norma che non impatta sulle modalità di determinazione del reddito del committente.
Se quest’ultimo assume la veste di imprenditore, nei suoi confronti continua infatti ad operare la disciplina del reddito d’impresa, e con essa il principio dell’inerenza, che impedisce di considerare apoditticamente indeducibili le spese sostenute dal committente, collegate all’attività svolta dal professionista nell’interesse dello stesso committente.
(9) Il costo del servizio alberghiero o di ristorazione diventa, in tal modo, integralmente deducibile per il professionista.
(10) Soltanto a questo punto, ad avviso dell’Agenzia, le spese di vitto e alloggio “prepagate” dal committente sarebbero deducibili dal suo reddito di impresa.
(11) Cfr. la nostra circolare n. 1/IR del 12 maggio 2008 avente ad oggetto “La determinazione del reddito derivante dall’esercizio abituale di arti e professioni dopo le modifiche del d.l. n. 223/2006 e della l. n. 296/2006” (par. 8).
(12) Approvato nella seduta n. 10 del Consiglio dei Ministri del 19 giugno 2013.
(13) Il disegno di legge (S. 958) è stato assegnato alla 1ª Commissione permanente (Affari costituzionali) in sede referente il 5 agosto 2013. Scaduti i termini di presentazione degli emendamenti, attualmente il provvedimento è ancora all’esame della predetta Commissione.
(14) Cfr., rispettivamente, i commi 1-bis e 1-quater del citato art. 54 del TUIR.
(15) Ai sensi del quale “i compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde”.
(16) In tal senso, la citata risoluzione n. 69/E/2003. In modo sostanzialmente analogo, si erano peraltro già pronunciati i seguenti documenti di prassi del Ministero delle finanze: citata circolare n. 1/RT/50550 del 1973; risoluzione n. 8/785 del 21 giugno 1976; circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977 (par. 37, lettera D); risoluzione n. 20/E del 20 marzo 1998.
(17) Si pensi al rimborso a piè di lista delle spese d’impiego dell’autovettura utilizzata nello svolgimento dell’incarico.
(18) Cfr. il quesito di cui al par. 2.2 della circolare n. 58/E del 18 giugno 2001. In termini più generali, per l’applicabilità alle spese rimborsate dei limiti di deducibilità previsti dall’art. 54 del TUIR, cfr. la circolare n. 11/E del 16 febbraio 2007 (par. 7.3).
(19) Con un ingiustificato aggravio anche della contribuzione a fini previdenziali.
(20) Quand’anche si ritenesse di non aderire all’interpretazione qui proposta, resta in ogni caso sostenibile, per le evidenziate ragioni di coerenza sistematica e di conformità costituzionale, l’integrale deducibilità di tutte le spese analiticamente rimborsate al professionista inerenti all’espletamento dell’incarico, ivi comprese quindi le spese di vitto, alloggio e d’impiego dell’autovettura.
Tali spese infatti, una volta ritenute imponibili allorché rimborsate, perderebbero la loro qualificazione fiscale originaria e, per l’effetto, non sarebbero più sottoposte ai limiti di deducibilità previsti dal comma 5 dell’art. 54 del TUIR.
(21) L’art. 2227 c.c., con riferimento al contratto d’opera, dispone che “il committente può recedere dal contratto, ancorché sia iniziata l’esecuzione dell’opera, tenendo indenne il prestatore d’opera delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno”.
(22) Cfr. risoluzione n. 49/E dell’11 luglio 2013.
(23) Secondo l’Agenzia, detta semplificazione non è applicabile, inoltre, neppure nei confronti dei lavoratori autonomi occasionali quando il compenso, anche nella forma di spese rimborsate o anticipate dal committente, eccede le spese strettamente necessarie per lo svolgimento dell’attività occasionale, facendo venir meno il carattere sostanzialmente gratuito dell’attività stessa.
(24) Tale è la tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate nella citata circolare n. 11/E del 2007 (par. 7.3).
(25) Per l’attuale stato dei lavori parlamentari, cfr. precedente nota 13.
(26) Nella relazione tecnica si afferma che, trattandosi di una mera partita di giro, non vi sono effetti negativi in termini di gettito per l’Erario.
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